C’è il virologo Christian Drosten dietro il successo tedesco contro CoViD-19

Da quando è scoppiata l’epidemia da Coronavirus, i cittadini di ogni angolo del pianeta seguono con apprensione il susseguirsi dei numeri che vengono forniti giornalmente nei comunicati nazionali. In Europa il virus ha colpito in modo particolarmente duro tutti i principali paesi fatta eccezione per la Germania. A che cosa si deve questa “anomalia” tutta tedesca? “E’ la diagnostica il motivo per cui in Germania ci sono pochi decessi”. Con queste parole il prof. Christian Drosten, direttore dell’Istituto di Virologia dell’Ospedale Charitè di Berlino, ha commentato lo scorso 26 marzo il successo tedesco nella lotta contro il Coronavirus. Il suo intervento è avvenuto in occasione della presentazione di un progetto interdisciplinare, avviato dal Ministero della Ricerca e del valore di 150 milioni di Euro, il cui scopo è quello di mettere in rete le cliniche universitarie del paese per creare sinergie e sviluppare approcci basati sullo scambio delle informazioni e sulla ottimizzazione delle risorse. “La Germania ha cominciato prima a fare test e per questo abbiamo potuto caratterizzare l’epidemia in anticipo rispetto ad altri paesi” ha continuato il professore. 

Ma chi è Christian Drosten e perché con l’esplosione della CoViD-19 è diventato, nel firmamento accademico e scientifico tedesco, uno dei personaggi più in auge? 

L’origine del successo del professore è scritta nel suo curriculum ed è legata al virus della SARS (Severe Acute Respiratory Sindrome). Il virus, chiamato anche SARS-CoV, è un antenato del Coronavirus che sta terrorizzando il pianeta. In ambiente accademico il nome del Coronavirus è, infatti, SARS-CoV-2 o, più semplicemente, nuovo Coronavirus. Il SARS-CoV fu scoperto per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia cinese di Guangdong e nel giro di pochi mesi causò una pandemia. Fortunatamente fu meno violenta di quella scatenata dal suo successore. Dal 1º novembre 2002 al 31 agosto 2003, il virus contagiò circa 8000 persone in una trentina di Paesi, causando 774 decessi, prevalentemente in Cina, Hong Kong, Taiwan e tutto il Sud-Est asiatico. In Italia ci furono solo quattro contagi e nessun decesso. Tra gli scopritori del Coronavirus associato alla SARS c’era anche Christian Drosten e fu lui che riuscì per primo a sviluppare un test diagnostico per il virus appena identificato. Il giovane virologo utilizzò la cosiddetta RT-PCR (Real Time – Polymerase Chain Reaktion), metodologia di biologia molecolare che consente di ottenere molto rapidamente la moltiplicazione in vitro di materiale genetico prelevato con i tamponi e nel quale viene poi individuato il virus. Drosten rese immediatamente disponibili i dettagli delle sue scoperte alla comunità scientifica via Internet, ancor prima che il suo articolo apparisse sul New England Journal of Medicine, nel maggio 2003 (link: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa030747). Questo suo gesto ricevette subito risonanza internazionale sulla rivista Nature (link: https://www.nature.com/articles/423114a). 

All’apparire, nel dicembre 2019, dei primi casi di Coronavirus SARS-CoV-2, Christian Drosten non ha perso tempo e insieme al suo team dell’Istituto di Virologia dell’Ospedale Charitè di Berlino ha sviluppato un test ad hoc che già a metà gennaio 2020 è stato reso disponibile nei laboratori di tutto il mondo. Al di là del risultato scientifico, il vero merito di Drosten è stato quello di rendere subito disponibili, in modo trasparente, i dettagli delle sue ricerche, tanto che tutti i suoi articoli sono disponibili gratuitamente online. La rivista Science lo ha classificato tra i “maggiori esperti mondiali di Coronavirus” (link: https://www.sciencemag.org/news/2020/04/how-pandemic-made-virologist-unlikely-cult-figure). Da quando l’epidemia è entrata nel dibattito pubblico il professore è diventato una star: fornisce consulenza a politici e autorità ed è spesso presente nei media. Dal 26 febbraio, dal lunedì al venerdì, la sua voce raggiunge il grande pubblico attraverso il podcast “Coronavirus-Update” della Norddeutscher Rundfunk, emittente radiotelevisiva pubblica locale dei Länder tedeschi del nord. Il giornale Stern nella sua edizione del 17 marzo 2020, ha scritto: “Il Coronavirus ha reso il virologo Christian Drosten l’uomo più ricercato della Repubblica. E’ lui che vigila sulla crisi e ci guida senza nascondere nulla e senza drammatizzare”.

Nonostante la popolarità, al professore non piace darsi troppe arie. Nel suo podcast ha rimarcato di essere solo uno dei tanti scienziati che hanno fornito consulenza al governo federale e che il ruolo principale è stato svolto dall’Istituto Robert Koch, massima istituzione tedesca per quanto riguarda l’epidemiologia. Col passare delle settimane i bollettini giornalieri dell’istituto sono diventati sempre più dettagliati. L’ultimo che abbiamo consultato, quello del 29 aprile, riporta che i casi di contagio sono stati 157.641, con 6.115 decessi e 120.400 guariti. Il numero dei decessi, relativamente basso rispetto ai principali altri paesi europei, e quello, relativamente alto, dei guariti fanno della Germania un caso unico nel panorama internazionale dell’epidemia. A questi dati aggiungiamo quelli dei tamponi effettuati. Complessivamente sono 2.547.052 i test eseguiti, con una capacità giornaliera che è passata circa 7.000 test iniziali a oltre 140.000 nell’ultima settimana.  
Questi numeri dicono chiaramente che i test sono il punto di forza dell’apparato sanitario tedesco contro il SARS-CoV-2. La diagnostica, ovvero i criteri e i tempi con cui sono rilevati i casi positivi, isolandoli preventivamente e impedendo in tal modo la diffusione del contagio, ha svolto un ruolo essenziale in Germania e i tedeschi devono ringraziare il prof. Christian Drosten se il modello tedesco è diventato un punto di riferimento a livello mondiale.

  1. Il prof. Christian Drosten direttore dell’Istituto di Virologia dell’Ospedale Charité di Berlino – foto: Science

2. L’Ospedale Charité di Berlino

3. Il Virus e l’uomo. Grafica della rivista Science

4. Elaborazione Süddeutsche Zeitung con dati del Robert Koch Institut aggiornati al 1 Maggio 2020

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