Brexit, cui prodest?

La discussione sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, prevista per marzo 2019, è ormai giunta al suo culmine e sta lacerando la politica come la società civile. Non solo oltre Manica. Molte ripercussioni interesseranno anche i cittadini europei, sia quelli che vivono a Londra o a Birmingham, che lavorano o che studiano in quel pezzo di Unione europea, sia quelli che vivono a Berlino o nel più remoto angolo del territorio dell’Ue. Le ripercussioni le vedremo presto e concretamente già alle elezioni europee di maggio 2019. Solo due mesi dopo la prevista uscita formale, se mai avrà luogo. Ma l’ultima parola non è ancora stata detta ed esiste un barlume di speranza che venga indetto un nuovo referendum e che ai sudditi della regina Elisabetta venga data una seconda possibilità per riflettere e per decidere.

Nel suo ultimo intervento in parlamento Teresa May (foto) ha difeso con convinzione la posizione del governo conservatore e gli accordi raggiunti con l’Ue, ma è stata più volte interrotta e derisa come raramente si è visto accadere nella Camera dei Comuni del Palazzo di Westminster. Londra non è Roma e le dimissioni di ministri avvenute nelle ultime ore sono il segno palese di quanto la premier e il suo governo siano in bilico. Vedremo presto, probabilmente già martedì 20 novembre, se sopravviverà al fuoco incrociato di cui è diventata oggetto o se sarà sfiduciata dagli stessi “Tories”. Opzione questa che, nuovo referendum o no, potrebbe far riconsiderare l’opportunità di uscire dall’Ue.

Nella confusione generale che domina la scena politica mondiale Brexit occupa una posizione di assoluto primo piano. La paventata uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è l’effetto emblematico di cause ben precise. Cause che hanno un nome e un cognome, prodotte dai mali di cui soffrono la società moderna e la democrazia. Diciamolo subito e senza mezzi termini: Brexit è il risultato delle scelte dissennate di alcuni politici che hanno utilizzato a fini elettorali la questione della permanenza o meno nella Ue del loro paese. Il portabandiera di questi politici è stato il laburista David Cameron che nel 2014 ha promesso il referendum in cambio della rielezione a primo ministro. A ruota segue Boris Johnson, personaggio temibile e poco raccomandabile al pari di Donald Trump. L’ex sindaco di Londra prima ha contribuito alla caduta di Cameron schierandosi per la Brexit e poi è diventato ministro degli esteri nel governo conservatore di Theresa May. Johnson puntava tuttavia a diventare primo ministro e recentemente non ha risparmiato critiche alla linea morbida della May nella negoziazione con l’Ue fino al punto da dimettersi da ministro. Ora c’è da temere che punta a governare il Regno Unito nel prossimo futuro.

All’uso irresponsabile del voto da parte della politica si è poi aggiunto quello, altrettanto irresponsabile, da parte degli elettori. Uomini e donne che hanno votato con la pancia e non con il cervello, senza conoscere la posta in gioco, senza avere (e senza aver preteso di avere) una chiara ed obiettiva informazione sulle conseguenze che avrebbe avuto la vittoria del “Leave”. Nelle maglie di quel tessuto impalpabile di cui è fatta la democrazia si sono poi inserite le manipolazioni di forze occulte che hanno puntato alla destabilizzazione. Che hanno avuto gioco facile perché hanno riempito lo spazio della disinformazione con la manipolazione delle fake news. E’ ciò che è successo in America a danno di Hillary Clinton, è ciò che è probabilmente successo in Catalogna ed è ciò che successo anche in Italia, nella notte tra il 27 e il 28 maggio scorsi, successivamente alla richiesta di “impeachment” per Sergio Mattarella, quando da centinaia di profili twitter, tutti riconducibili ad un’unica origine, sono partiti migliaia di messaggi di insulti nei confronti del presidente della Repubblica con richieste di dimissioni. Anche la Brexit è stata oggetto di attacchi occulti e di fake news.

Il 29 luglio scorso il parlamento inglese ha pubblicato un rapporto intitolato “Disinformation and fake news”. Chi volesse lo trova in rete, sono un’ottantina di pagine. Il rapporto riporta i risultati di un’inchiesta indipendente fatta da un gruppo interdisciplinare di professionisti e deputati del parlamento inglese. L’inchiesta ha indagato il ruolo dei social networks nella campagna per la Brexit ed ha accertato responsabilità nella raccolta di dati illeciti da parte di agenzie di web marketing, omissioni nella protezione dei dati da parte di Facebook, e finanziamenti illegali superiori alle cifre permesse per la campagna referendaria.

Fake news” è un’espressione inflazionata, che dice  tutto e niente, questo l’abbiamo imparato. Come abbiamo capito che la pratica di ricorrere deliberatamente a fake news è molto usata nella propaganda politica. Quando l’obiettivo è ottenere il consenso dell’elettorato le conseguenze possono essere devastanti. La realtà e le problematiche che affliggono l’umanità in un mondo complesso come quello in cui viviamo sono diventate di una complessità tale da renderne difficile e laboriosa la comprensione. Ed è lì che le fake news trovano terreno fertile per la loro semina e diffusione. Ma è proprio lì, nello stesso terreno, che bisognerebbe provare ad approfondire, a studiare le questioni che ci assillano, a confrontare pareri diversi.

Se mai avrà luogo Brexit sarà la dimostrazione tangibile che la storia, quella con la esse maiuscola, può andare all’incontrario. Che la sovranità, barattata come ricchezza identitaria, si è invece rivelata impoverimento culturale. Che in politica il progresso può perdere sopraffatto dalla disinformazione e dalla manipolazione. Che l’uso del voto, irresponsabile e strumentale alle proprie ambizioni personali da parte di politici di poco spessore, può avere effetti catastrofici e irreversibili. Ma non è detta l’ultima parola, abbiamo scritto. Un barlume di speranza che Brexit fallisca c’è ancora. La speranza è che il suo fallimento rappresenti uno spartiacque tra passato e futuro. E che da lì si smetta di distruggere e si ricominci a costruire. Ce l’auguriamo come italiani e come europei.

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