Il 2016, sul piano degli equilibri geopolitici, ha dato due responsi che, apparentemente, sembrerebbero un deciso colpo di freno ai processi di globalizzazione in corso dalla fine del XX secolo sullo scenario mondiale, e cioè l’elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti e la Brexit.
I meandri della globalizzazione, in realtà, generano flussi inarrestabili e ormai l’economia mondiale opera in un sistema con troppi vasi comunicanti per essere arrestata alzando fittizie barriere doganali.
I prodotti cinesi troveranno comunque nuovi mercati
Il programma di Donald Trump prevede l’applicazione di una tariffa del 45% alle merci importate dalla Cina e, contemporaneamente, la denuncia dei trattati di libero scambio stretti dall’amministrazione Obama (Partenariato Trans-Pacifico-TPP) o in corso di stipulazione (TTIP con l’Europa). Ne consegue che il mercato interno USA sarà precluso ai prodotti cinesi ma anche il mercato cinese sarà precluso alle merci USA (20% di tutto l’import cinese). A rimetterci, saranno solo gli Stati Uniti.
La “chiusura” del mercato statunitense all’industria transpacifica, infatti, avrà come effetto il sorgere dell’esigenza di Pechino di trovare nuovi mercati per dare sbocco al suo surplus di produzione industriale. Per questo, il programma di Trump gli fornisce un insperato e incredibile assist: infatti, quando il neo-presidente denuncerà ufficialmente i trattati di libero scambio già sottoscritti, i paesi del Pacifico e del Nord America (Canada e Messico), anziché prodotti made in USA, compreranno, a minor costo, i prodotti made in China.
Lo sbocco naturale della superproduzione cinese, tuttavia, sarà l’Europa, che il neo-isolazionista Trump si appresta a lasciare al proprio destino, mandando a quel paese ogni trattativa per il TTIP, un trattato che avrebbe fatto gli interessi solamente degli Stati Uniti. In tale ottica, la nuova “via della seta” per la produzione cinese è rappresentata dal Canale di Suez, raddoppiato grazie agli investimenti di Pechino. Una “via della seta” con due terminal naturali per penetrare nel mercato europeo: Gioia Tauro e, soprattutto, Trieste, per le sue connessioni con l’Europa centrale e l’area danubiana.
Si profila, quindi, all’orizzonte, la grossa opportunità per l’economia e il capitalismo italiano di controllare il flusso della produzione cinese sin nel cuore dell’Europa. E scusate se è poco.
South Stream
Il programma elettorale di Donald Trump, per quanto riguarda i rapporti con la Russia, l’Europa e il Medio Oriente non è stato smentito. Si hanno tutte le ragioni, quindi, per presumere che la sua politica estera, nell’area mediterranea e medio-orientale, si riassuma nella chiusura di tutte le vertenze con la Russia, delegando addirittura Putin alla stabilizzazione dei conflitti in corso.
Putin avrà così via libera per concludere il passaggio della Turchia di Erdogan sotto la sua ala protettiva (anche se, nominalmente, resterà un paese NATO) e per la realizzazione del South Stream, il gasdotto che rifornirà il Sud Europa bypassando la Germania. Anche tale operazione, consistente senza alcun dubbio in un ulteriore passo in avanti del processo di globalizzazione, può rappresentare un’opportunità per l’Italia, e soprattutto per l’ENI, se uno dei suoi terminali – come sembra – si attesterà a Brindisi e, forse, un secondo, ancora a Trieste.
Finta Brexit
Dopo l’euforia degli ambienti anti europeisti d’oltre Manica, anche a Londra appaiono evidenti i segnali di ripensamento, quanto meno sul piano della sostanza, se non in quello della forma. Ciò dipende dal fatto che, se la Brexit può essere efficace per porre argine all’immigrazione, per quanto riguarda i mercati può rivelarsi un disastro.
Prima o poi, anche i “falchi” della Germania dovranno prendere atto di ciò (110 miliardi di euro/anno l’export verso UK che potrebbe andare in fumo), per non penalizzare ulteriormente l’economia tedesca, a causa della chiusura dei mercati USA voluta da Trump, dalla concorrenza del South Stream e dalla crisi ucraina. Alla lunga, sia Londra che Berlino dovranno per forza dialogare, nonostante gli anti europeisti e i no-global.
Borsa di Milano sotto il segno del Toro
Nel frattempo, però, l’approdo della “via della seta” e del South Stream nei porti italiani dovrà necessariamente portare un affluenza di capitali nella borsa di Milano, così come il rialzo dei prezzi del greggio (già in corso), per la stabilizzazione dei conflitti medio-orientali, affidata da Trump alla Russia.
Questo perché i rapporti dell’Italia con Mosca e l’Islam sono sempre stati tradizionalmente migliori di quelli di tutti gli altri partners europei, sin dai tempi di Enrico Mattei, Amintore Fanfani e Giovanni Agnelli. Non a caso, Putin ha sempre ritenuto l’Italia come l’interlocutore europeo più affidabile e il fondamentalismo islamico non ha mai effettuato attentati terroristici nel nostro territorio.
Milano potrebbe così rimpiazzare Londra, temporaneamente auto isolatasi a seguito della Brexit, negli investimenti azionari arabi e cinesi. Il problema, a questo punto è uno solo: chi guiderà l’Italia, nel 2017?
[…] all’Italia, è quello del posizionamento a Genova del terminale Mediterraneo della Nuova Via della Seta, l’enorme percorso commerciale di prodotti cinesi e di componenti industriali che il gigante […]