Vivere non di musica ma con la musica. Intervista a Glomarì

Glomarì. Giovane, artista, fotografa, regista e cantautrice. Abbiamo chiesto a questa ragazza emiliana di spiegarci parte della sua vita e del suo talento sicuri che è solo l’inizio di una strada ricca di idee e proposte per l’arte e la musica italiana. Prima di seguire l’intervista, però, diamo voce a qualcuna delle sue canzoni.

“Ridi, gioca e scordati la regola che quel bel gioco è la vita e non puoi vincerla” (Pianeta Tenda)

“La vera eleganza è quando è per sbaglio” (Panni Stesi)

“Giovane un po’ cresciuto. Perché invecchiare non è un mestiere” (Giovane Adulto)

“Il ruggire di uno sbadiglio è come la mostarda” (Mostarda)

“L’estate è un orco che riposa. Io ti guarirò. Il Sole è caldo e non scotta. Tutto è tiepido” (Ciao Settembre)

Allora Gloria… Domanda “Così”: perché sei qui in questo momento?
Per salutare un amico che dovrebbe andarsene.

Ma perché Cremona?
Perché Cremona è il luogo dove ho capito veramente cosa avrei voluto fare nella vita: vivere non di musica ma con la musica. L’ho scoperto grazie alla Città della Canzone, un workshop che ho fatto qua e che mi ha permesso di conoscere persone che mi hanno cambiato la vita.

Cambiato la vita? Addirittura?
Bè, si! Perché sono tutte persone che mi hanno permesso di portare a termine, con contributi diversi ma tutti equamente fondamentali, progetti importanti, come la trilogia o l’album. Quindi, si! Cremona mi ha portato a loro.

Cioè, tu parli di Città della Canzone, Cremona, trilogia, album, persone, però di cos’è che ti occupi esattamente?
Di cosa mi occupo? Bella domanda! Non lo so… di sensazioni, emozioni e di spazio. Lavorare con la musica per me è come occuparmi di architettura in modo alternativo, significa lavorare con una spazialità, che però non è fatta di cose concrete, di muri. La musica crea dei percorsi nei quali le persone possono muoversi e ritrovarsi, percorsi fatti di scorci. Quello che voglio fare è progettare canzoni che la gente possa abitare in modi diversi.

Perché dici architettura?
Perché il mio background è quello di un architetto, per molti anni l’architettura è stata il mio pane quotidiano.

Interessate! Come se dicessi: “Si! Ora sto facendo musica, non l’architetto; tuttavia il mio lavoro non è mai cambiato”
Da un certo punto di vista, si! Sicuramente sono cambiati gli strumenti: non uso più autocad ma l’ukulele.

E le tue canzoni di cosa parlano? Dici di spazi, emozioni, emotività… Dici che eri un architetto… Dici della Città della Canzone… Cremona… Tutte queste cose le troviamo nelle tue canzoni o c’è altro?
mmm… C’è sempre altro! Certo, le troviamo nelle canzoni perché le canzoni parlano, di fatto, di me! Però di una parte di me che cerco sempre in qualche modo di universalizzare. Nelle mie canzoni, anche se sono strettamente legate al mio vissuto e ai miei sentimenti, non sono mai didascalica. Cerco sempre di dare immagini nelle quali tutti si possano ritrovare in modi diversi. Tendenzialmente parlo delle emozioni, dei miei stati d’animo più complessi, e il mio disperato tentativo di capirli o di risolvere enigmi che a volte sembrano irrisolvibili.

E per questo usi l’ukulele?
No. (ride) L’ukulele è una casualità! Mi sono ritrovata con quello in mano. Se avessi studiato pianoforte le farei col piano, anzi, sarebbe molto più figo. O con un arpa. Le mie capacità musicali sono limitate non avendo invero mai studiato musica.

Però, non riesco a capire. A un certo punto sei architetto e a un certo punto sei una musicista. Dov’è il mezzo? C’è un mezzo?
Non lo so quando è stata la svolta. Si sono intrecciate casualmente diverse le strade.

Quindi quando ti sei presa l’ukulele hai iniziato a scrivere canzoni o pensi che ci fosse già qualcosa prima?
Secondo me qualcosa c’era prima. Mi ricordo…penso sia uno dei ricordi più forti della mia infanzia: c’era un giorno in cui le maestre hanno chiesto a tutti cosa avrebbero voluto fare da grandi. E io ero sicura, convinta, che avrei voluto fare la poetessa. Nella vita avrei voluto scrivere, raccogliendo i fiori (spesso maledetti) dell’anima. E come profetizzato dalla bambina che fui, ecco che mi ritrovo a scrivere usando come tramite la musica.

Hai la poesia, hai la musica, ma non è solo questo. C’è anche l’arte in mezzo.
Sì! L’arte mi ha sempre affascinata.Anche questa fin da piccola, passavo le gironate a disegnare gatti e alberi. Ora che ci penso, in un certo periodo mi ero messa anche a scrivere delle canzoni, orribili ovvimanete. (ride) Mi immaginavo un gruppo fatto tra cugine chiamato le “sfingi blu”, un nome proprio schifoso! (ride) Super trash! Avevo già quest’idea che mi sarebbe piaciuto cantare, anche se, ovviamente, era un’altra epoca, ero un’altra persona. Però non mi ricordo cosa mi hai chiesto. (ride)

(rido) Parli di poesia e di musica ma in realtà è arte.
Non saprei… Io non amo dare definizioni. Io seguo molto il mio istinto senza pormi il problema di “genere”, assecondo la necessità di scoprire cose e provare poi a farle mio attraverso la musica, ma non solo. A dirla tutta la musica per me è qualcosa di estremamente “concreto”, è un po come fare un album di fotografie dei sentimenti.

C’è anche la fotografia?
In un certo senso si. Quando io riascolto i pezzi è come entrare dentro ad una fotografia. Mi riporta a momenti di me stessa. Questo forse è ciò che lega la musica all’arte in quanto tentativo di fotografare un punto di vista o una sensazione. Sia che sia una foto, che è una cosa più implicita, che sia un video, che sia una canzone, una poesia… è sempre un cercare di fossilizzare qualcosa e dargli una sua possibile eternità.

Perciò Glomarì non è solo musica. So che in mezzo c’è anche una mostra fotografica e dei video musicali. Alla fine si può dire che hai fatto anche la regista, in un certo senso.
Sì! Ma diciamo che la musica ha veicolato tutto. Se non fosse sbarcata nella mia vita probabilmente non sarei finita a fare quelle cose che ho sempre comunque desiderato fare ( come anche la regista, da piccola infatti un’altra delle mie passioni era quella di fare riprese con la telecamera che mi regalarono i miei genitori).
La musica ha chiuso il cerchio. Mi ha riportata a me stessa e a tutte le cose che avrei voluto fare e mi ha permesso di farle in una chiave completamente nuova; più completa se vogliamo.

Se Glomarì ha qualcosa da dire al mondo lo fa con la musica.
Non con la musica ma grazie alla musica. “Con” è diverso perché la musica non è un fine, bensì sempre un mezzo che mi porta altrove: a fare un video, a fare una mostra fotografica o quello che capita.

Quando hai parlato di video, telecamera, ‘piccola’, mi è venuto in mente Pianeta Tenda.
Sì. Quello è un video molto simpatico.  Non è di quelli che considero più significativi, anche per il semplice fatto che è stato un esperimento un po’ improvvisato.Tuttavia nel suo “piccolo” dice molto di me e della mia visione del mondo.

Cioè di che parla la canzone? E di cosa parla il video?
Allora…. La canzone, innanzitutto, non è nata come Pianeta Tenda ma come Stilt House. E’ nata in inglese quando ero in Erasmus a Bruxelles. Si tratta di una metafora che paragona la vita ad una palafitta, un qualcosa di precario. Ad un certo punto la marea si alza e ti porta ad andar via. L’Erasmus mi ha fatto sentire così; Mi sono ritrovata a mettere radici “precarie”, un controsenso che mi ha fatto riflettere molto. L’avevo scritta con questo sentimento. Quando ho deciso di tradurla in italiano mi è venuto in mente che l’immagine della palafitta ha accompagnato la mia vita fin dall’infanzia, per il semplice fatto che in un bosco poco lontano da casa mia ce n’era una dove ero solita andare a giocare, la stessa dove ho girato il video.
Il titolo ho deciso di cambiarlo in Pianeta Tenda per motivi di metrica, il significato però è rimasto lo stesso, rimanda a qualcosa di precario e fragile, alla difficoltà di mettere radici stabili, alla natura illusoria del concetto di “radici” nella vita dell’uomo.

Quello è un video in cui hai lavorato solo tu. Però so che sono usciti anche altri video, anche ultimamente.
Sì, sì, sì. Poi è uscita la trilogia.

Vuoi parlarne?
La trilogia è stato un progetto molto importante, un progetto con il quale sono cresciuta, in un certo senso, che mi ha permesso di riflettere su me stessa e sulla mia “missione” in quanto cantautrice.
Innanzi tutto l’idea di trilogia è nata strada facendo, sono partita da un video e alla fine sono diventati tre in modo naturale, sviluppandosi come parti distinte di uno stesso discorso.
Io li vedo come un manifesto della mia poetica, volta a indagare il lato nascosto della realtà, il mondo dell’intimità, quelli che io chiamo “inaccadimenti” insomma.

Puoi già vantare un’esperienza concertistica di una certa entità?
In realtà non mi considero né una musicista performer, né un animale da palcoscenico. Di concerti ne ho fatti, però non tantissimi e sempre in situazioni abbastanza “intime”.

Concerti futuri in cui possiamo vederti?
Ci sarà il Festival di San Rito, forse un’intervista su RDS, forse un concertino in un appartamento a Milano molto figo. E poi a Santu Lussurgiu in Sardegna dove, più che un concerto, terrò un workshop.

Hai già fatto workshop?
Ho fatto un workshop in Oman, ma legato all’arte: non sono andata in qualità di musicista ma di video artista, grazie al video di “mostarda”. Il workshop che ho tenuto parlava di “autoritratto non figurativo”, ovvero dei vari modi in cui un’artista può ritrarre la sua interiorità al di là dell’apparenza esteriore e dei lineamenti del viso. Ritengo che ogni mia canzone, così come ogni mio video, sia una forma di autoritratto.

Invece alla Biennale di Venezia? Perché so che anche lì hai avuto una presenza.
Sì! Mostarda era molto in linea con il tema della Biennale che era “May You Live in Interesting Times”, un detto ironico che fa riflettere sul fatto che spesso gli episodi più interessanti sono quelli catastrofici o negativi, dal momento che, come dice lo stesso Hegel, i momenti felici nella storia sono pagine vuote nella cultura.
Mostarda si focalizza sulla figura dell’artista alle prese con la creazione, sulla sua capacità di trasformare le proprie angosce in materia prima.

Parlando delle tue canzoni… C’è una canzone delle tue che vorresti che tutti ascoltassero? O una che magari hai pubblicato sul tuo canale Youtube e che non ti piace? O una canzone particolare tua di cui vorresti parlare?
Amo molto Mille Anni, la trovo in un certo senso universale, dal momento che parla degli uomini in relazione allo scorrere del tempo, del loro essere frammenti quasi insignificanti, se pensati nella totalità dell’universo, ma allo stesso tempo parti essenziali di un unico grande discorso.
Sono molto soddisfatta anche del video che ho realizzato, nella sua semplicità penso sia stato in grado di rendere l’idea esatta di quello che intendevo. Il video immortala un flusso di persone di cui vengono riprese solo le gambe e che nel passare depositano le proprie scarpe sull’asfalto. La scena che inizialmente era vuota si riempie piano piano di scarpe.
E’ una metafora della vita degli uomini: il loro breve passaggio influenza quello degli altri che verranno (alla fine le ultime persone devono fare lo slalom tra le scarpe già depositate per passare). Il video è un invito a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, anche quelle più banali, e sulle nostre responsabilità.

Il video è bellissimo!
Poi, mi piace molto una canzone che ancora non ho pubblicato che è L’ultimo esemplare di Guagga. Mi piacerebbe che tutti la ascoltassero perché parla di una tematica abbastanza attuale che è quella dell’estinzione ma in modo diretto e indiretto, dando voce in capitolo all’ultimo esemplare di una specie, che ci parla in prima persona descrivendo la sua condizione di totale solitudine e inutilità.
Mi commuovo sempre nel cantarla, è come se lo avessi provato le stesse emozioni in qualche modo. Magari in un’altra vita quell’esemplare ero io.

Qualche artista, invece, che a te piace tanto? Cantante, autore, italiano, straniero?
Mi piace Camille che è francese. Lei è super carismatica, trasmette tantissimo. Io penso di essere carismatica ma in un modo molto timido, molto delicato. Lei invece è davvero esplosiva, la sua presenza scenica è incredibile: balla, urla. Vorrei arrivare un giorno a essere come lei. Penso che sia la mia artista preferita attualmente..

La mia ultima domanda… Non è: cosa dobbiamo aspettarci noi da Glomarì, ma cosa Glomarì si aspetta da noi. E quando dico Noi intendo: noi spettatori, noi persone che lavoriamo con Glomarì, noi musicisti, noi persone comuni.
E’ una domanda difficile!

Lo so.
Quello che mi aspetto dagli altri coincide con quello che mi aspetto dal destino. E dalla musica.
Che mi permetta di arrivare a più persone possibili. Non solo come musicista ma anche e soprattutto umanamente. Anzi, mettiamola così, quello che mi aspetto dal destino è che gli altri arrivino a me grazie alla mia musica.

Vuoi dire qualcosa ai nostri lettori di InLibertà?
Che il cielo è un casino. (ride)

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