Una nuova religione chiamata amor cortese

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«Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Com’è noto, siamo nel V canto dell’Inferno dantesco. A parlare è Francesca da Rimini che, relegata nel cerchio dei lussuriosi, rievoca il momento in cui lei e suo cognato Paolo Malatesta hanno ceduto alla passione che li ha condotti alla morte e alla dannazione eterna. A spingerli al peccato è stato un libro che si è fatto“galeotto”, ovvero “intermediario d’amore”. Come riporta l’enciclopedia Treccani: «I versi danteschi rimandano ai romanzi in lingua d’oïl […] che vedono protagonisti re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Galeotto è infatti adattamento da Galehaut, un personaggio del Lancelot in prosa: siniscalco amico del cavaliere Lancillotto, gli procurò il primo colloquio d’amore con Ginevra».  

Le insidie del romanzo cortese e la dedizione di Lancillotto

Con questi versi, Dante intende mettere in guardia il lettore sui rischi della letteratura amorosa. Il romanzo cortese infatti viene condannato dalla Chiesa medievale come fonte di peccato e perdizione. Viene visto come espressione di un laicismo che rasenta la blasfemia. Figlia della Chanson de geste — ma non erede delle sue basi storiche e della sua rigida morale cristiana — il romanzo cortese sostituisce il culto della donna al culto di Dio. 

E il cavaliere dell’amor profano per eccellenza è proprio il valoroso Lancillotto, fedele al suo amore per la regina Ginevra ancor più che alla Tavola rotonda. Lancillotto è un vero e proprio “servo d’amore” e per Ginevra si farebbe martire come l’Orlando della Chanson de Roland a Roncisvalle, quando cade combattendo contro gli infedeli in nome di Dio. Testo esemplificativo di questa dedizione estrema è il Lancillotto o il cavaliere della carretta (1170-1180), romanzo in francese antico di Chrétien de Troyes. 

La signora e il suo servo

Nel suo Lancillotto, de Troyes narra che Ginevra, la moglie di re Artù, è stata rapita dal perfido Meleagant. Quest’ultimo è figlio del re di Gorre, terra misteriosa in cui è difficile entrare e dalla quale i forestieri non possono uscire. Grazie a un nano si offre di condurlo nel regno caricandolo su una carretta di condannati a morte, Lancillotto riesce a raggiungere Gorre e a sconfiggere Meleagant. Vorrebbe uccidere il nemico, ma per volere della regina non lo fa. 

«Colui che ama è molto ubbidiente, e fa subito e volentieri […] ciò che sa che piace alla sua donna. Era naturale quindi che Lancillotto, che amava più di Piramo […] facesse questo. Lancillotto udì le parole [della regina al re di Gorre]; e dopo che […] essa ebbe detto: ‘Dal momento che voi volete che egli si astenga dal colpirlo, io pure lo desidero’, Lancillotto, per nessuna cosa al mondo, non lo avrebbe toccato e non si sarebbe mosso, anche se quegli avesse dovuto ucciderlo». Il cavaliere obbedisce immediatamente alla donna amata. Ne subisce senza protesta anche il biasimo quando, dopo aver rischiato la vita e averla salvata, Ginevra si mostra offesa per la sua esitazione nel salire sulla carretta dei condannati. 

La religione dell’amor cortese

Ginevra si mostra come una domina tiranna e calcolatrice, pronta all’adulterio al solo rischio e pericolo dell’amante. Lancillotto continua a mostrarsi pronto a qualsiasi sacrificio pur di conquistarla. Quando il cavaliere e la regina si riconciliano e si danno appuntamento, per raggiungere la camera di Ginevra Lancillotto rimuove a mani nude le inferriate della finestra e si porta via una falange. Ma il desiderio di raggiungere l’amata è talmente forte che inizialmente non si accorge del sangue che sgorga dalla ferita. Il sangue del cavaliere ha il valore simbolico del sacrificio, una laicizzazione estrema del valore del sangue di Cristo nella religione cristiana. Ma questo non è l’unico elemento che dà all’amore cortese il sapore di una nuova religione. 

Quando Lancillotto entra nella stanza della regina «la adora e si inchina, poiché in nessuna reliquia crede tanto». Quando deve separarsi da lei viene definito «martire» e si inginocchia «verso la camera, comportandosi come se fosse stato davanti a un altare». Questa traslazione laica del lessico religioso non deve far pensare che nel XII secolo (quando la letteratura cortese si diffonde) il cristianesimo perda influenza sulla società. Significa solo che la società è cambiata e si è arricchita di una nuova aristocrazia. Un’aristocrazia più consapevole della propria identità e smaniosa di affermare i propri valori. Una classe che vede nella donna — non una qualsiasi, ma la consorte del signore — l’incarnazione del proprio sistema di virtù. 

Foto di ha11ok da Pixabay

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