«Né mai più toccherò le sacre sponde/ove il mio corpo fanciulletto giacque» scrive Ugo Foscolo nei primi due versi del sonetto A Zacinto (composto tra l’agosto del 1802 e l’aprile del 1803). Le «sacre sponde» sono quelle di Zante (di cui Zacinto è il nome greco antico), l’isola greca nel mar Ionio che diede i natali all’autore. Facendo parte della Grecia, Zante è anche la culla della civiltà e del mito. Grazie a Foscolo diventa mito a sua volta: è la Itaca di un eroe che, al contrario di Ulisse, non farà più ritorno alla sua patria.
Le sventure dell’eroe romantico
La poesia inizia con la parola «Né», una congiunzione negativa che segna la prosecuzione di un discorso che il poeta inizia a formulare nella sua mente e lascia parzialmente inespresso. Una rassegna mentale delle avversità che lo affliggono, nel contesto del quale il mancato ritorno al grembo della terra-madre è solo il culmine della sventura. Sventurato, dolente, sradicato: questa è la condizione dell’eroe romantico in cui Foscolo si identifica. Una figura condannata a un esilio senza soluzione che lo porta a errare senza approdo e a morire in terre lontane e sconosciute, dove nessuno potrà piangerlo.
Siamo lontani dalle peripezie e dalla circolarità del viaggio dell’eroe omerico, che si faceva portatore dei saldi valori della classicità antica. Foscolo rispecchia pienamente la crisi dell’uomo moderno, che non si riconosce più nei valori del suo sistema sociale e che quindi è condannato a essere un senza-patria isolato e sconfitto. La terzina che chiude a A Zacinto sintetizza tutta la differenza che c’è tra l’epilogo delle peregrinazioni di Ulisse (che «baciò la sua petrosa Itaca») e quello del vagabondaggio del Foscolo-eroe romantico. Quest’ultimo infatti si rivolge a Zacinto affermando: «Tu non altro che il canto avrai del figlio/o materna mia terra; a noi prescrisse/ il fato illacriminata sepoltura».
Il valore della sepoltura
La sepoltura «illacriminata» è l’esatto contrario della «sepoltura lacrimata» auspicata in Dei sepolcri e in alcune epistole di Ultime lettere di Jacopo Ortis. Una tomba su cui gli affetti possono piangere è il privilegio che spetta a coloro che vengono sepolti nella «terra dei padri». È il simbolo che garantisce la sopravvivenza del defunto nel ricordo affettuoso e nel compianto delle persone care. Rappresenta anche la conservazione dei meriti degli uomini virtuosi e dell’azione moralizzatrice che il loro esempio può ancora compiere sui vivi. Certamente è una prospettiva di sopravvivenza illusoria, ma è l’unica dato che nell’ottica profondamente atea di Foscolo la morte corrisponde a un annullamento totale dell’essere e a una sua conseguente caduta nell’oblio.
La «sepoltura lacrimata» è la consolazione che sprona l’uomo a continuare a lottare contro la crisi storico-politica corrente. È ciò che lo spinge a non diventare inerte davanti alla prospettiva amara di una situazione bloccata e della morte come disintegrazione definitiva dell’essere. «E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata esistenza?» scrive Foscolo nell’epistola del 25 maggio dell’Ortis. Chi mai può accettare che la propria vita, con tutti i suoi travagli, cada nella dimenticanza eterna? Nessuno, nemmeno l’eroe romantico, anche se l’impossibilità di tornare alla «terra dei padri» lo costringerà a farlo.
L’approdo in terra straniera e il riscatto della memoria
Foscolo muore il 10 settembre del 1827 nel villaggio di Turnham Green, un sobborgo di Londra. È solo, ridotto in miseria, malato e inseguito dai creditori. Ma soprattutto è lontano da Zante, e anche dall’Italia, dove ha trascorso la maggior parte della vita. Come le sue proiezioni letterarie, Foscolo è stato un animo inquieto, costretto a spostarsi continuamente a causa delle sue idee politiche e di un carattere troppo difficile per consentire legami stabili.
Trova così l’approdo definitivo su un’altra isola, quella britannica: la terra straniera in cui incorrerà nell’ «illacriminata sepoltura». Tuttavia la memoria di Foscolo non andrà perduta, verrà anzi riscattata e onorata con una sepoltura d’eccezione. Si tratta del bellissimo monumento funebre situato nella Basilica di Santa Croce a Firenze, dove i resti del poeta verranno portati nel 1871. Qui, tra le tombe dei grandi uomini cantati in Dei sepolcri, la sua memoria e il suo esempio potranno sopravvivere in eterno. Siamo infatti nel «tempio delle itale glorie», l’unica patria a cui Ugo Foscolo sia mai realmente appartenuto.
Foto di Julius Silver da Pixabay
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