
Con l’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito, la Toscana diventa la prima Regione italiana a regolamentare il fine vita. Il provvedimento stabilisce tempi e procedure certe per chi sceglie questa via, in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale del 2019
Un passo avanti per il fine vita: la legge Toscana
Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una legge che disciplina il suicidio assistito, rendendo operativo il diritto sancito dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza n. 242 del 2019. Questo provvedimento rappresenta un traguardo per chi sostiene il diritto all’autodeterminazione, ma scatena anche un acceso dibattito tra sostenitori e oppositori.
La norma, nata su iniziativa popolare grazie all’Associazione Luca Coscioni e forte del sostegno di oltre 10mila firme, stabilisce criteri chiari e tempi certi per chi richiede l’accesso al suicidio assistito. Il Comitato per l’etica clinica ha venti giorni per verificare i requisiti del paziente. Nei successivi dieci giorni vengono definite le modalità di somministrazione del farmaco letale, mentre nei sette giorni seguenti la procedura viene attuata con il supporto del sistema sanitario regionale.
I requisiti per accedere alla possibilità del suicidio assistito, come stabilito dalla Consulta, prevedono che la persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, sia affetta da una patologia irreversibile con sofferenze fisiche o psicologiche giudicate intollerabili, sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli e che tali condizioni siano verificate da una struttura sanitaria pubblica.
La legge è stata approvata con 27 voti favorevoli espressi da Partito Democratico, Italia Viva, Movimento 5 Stelle e un consigliere del gruppo misto, mentre 13 voti contrari sono arrivati da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.
Le difficoltà nell’attuazione della legge sul fine vita: ostacoli etici, politici e medici
La Chiesa cattolica si oppone fermamente alla norma sul suicidio assistito, basandosi su principi teologici e morali radicati nelle Sacre Scritture e nella dottrina cristiana. Il suo punto di vista si fonda sull’idea che la vita umana sia un dono di Dio, sacro e inviolabile in ogni fase dell’esistenza.
Fondamenti biblici e teologici
Nella Bibbia, il quinto comandamento – Non uccidere (Esodo 20,13) – viene interpretato dalla Chiesa come un divieto assoluto di togliere la vita, compresa la propria. In Genesi 1,27, si afferma che l’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, conferendogli una dignità inalienabile. Inoltre, Giobbe 1,21 esprime il principio della sovranità divina sulla vita e sulla morte: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”.
Dal punto di vista teologico, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 2277) considera l’eutanasia e il suicidio assistito come “moralmente inaccettabili”, perché implicano la diretta intenzione di porre fine alla vita. La sofferenza, pur drammatica, viene vista in una prospettiva redentiva, come unione con le sofferenze di Cristo (Colossesi 1,24).
La promozione delle cure palliative
In alternativa al suicidio assistito, la Chiesa sostiene con forza le cure palliative, come sottolineato anche da Papa Francesco. Il magistero cattolico invita a prendersi cura dei malati fino alla fine, alleviando il dolore con mezzi leciti e offrendo sostegno umano e spirituale. L’enciclica Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II (1995) condanna ogni forma di eutanasia e promuove un modello di accompagnamento che rispetti la dignità del morente senza accelerarne la fine.
La posizione della Chiesa nel dibattito attuale
Il cardinale Paolo Augusto Lojudice, presidente della Conferenza Episcopale Toscana, ha definito la nuova legge “una sconfitta per tutti”, riaffermando l’impegno della Chiesa nel supportare i malati attraverso cappellani ospedalieri e volontari negli hospice. Questa posizione è condivisa da diversi gruppi politici conservatori, che temono un “effetto domino” con l’estensione della pratica ad altre Regioni italiane.
Tuttavia, i promotori della legge ribattono che la norma non impone nulla, ma offre una possibilità nel rispetto della libertà individuale. Il dibattito rimane aperto, anche perché l’Italia non ha ancora una legge nazionale sul suicidio assistito, lasciando la regolamentazione alla discrezione delle Regioni e dei singoli medici e strutture sanitarie.
Attualmente, la normativa sul fine vita è frammentaria. Il testamento biologico, regolato dalla Legge 219/2017, permette ai pazienti di rifiutare trattamenti salvavita, ma non prevede il suicidio assistito. Il suicidio assistito è stato riconosciuto legittimo dalla Corte Costituzionale solo in alcuni casi, ma senza una legge nazionale, il percorso rimane incerto. L’eutanasia attiva, ovvero la somministrazione diretta di un farmaco letale da parte del medico, resta vietata e punita penalmente.
Questo quadro legislativo incerto crea difficoltà sia per i malati sia per i medici, esponendo questi ultimi al rischio di procedimenti giudiziari se le loro scelte non fossero ritenute conformi alle interpretazioni giurisprudenziali.
Un altro nodo cruciale è la posizione del personale sanitario. Sebbene la legge toscana preveda un iter regolato, rimane aperta la questione dell’obiezione di coscienza da parte di medici e infermieri. Molti professionisti della sanità, per motivi etici o religiosi, potrebbero rifiutarsi di collaborare a una procedura di suicidio assistito. Il che, renderebbe difficile garantire l’accesso alla pratica in modo uniforme su tutto il territorio regionale.
Le alternative: il turismo della dolce morte in Svizzera e le soluzioni “Fai da te”
L’assenza di una legge nazionale e le difficoltà burocratiche spingono molti italiani a cercare soluzioni all’estero.
La Svizzera è uno dei pochi Paesi al mondo dove il suicidio assistito è legale anche per cittadini stranieri. Organizzazioni come Dignitas ed Exit offrono la possibilità di accedere alla morte assistita, ma il percorso è oneroso. I costi si aggirano tra i 7.000 e i 10.000 euro per l’intera procedura, con un iter burocratico complesso che richiede al paziente di dimostrare la volontarietà della scelta e la presenza di una condizione medica irreversibile. Inoltre, il trasferimento in un Paese straniero rappresenta un ulteriore ostacolo emotivo e logistico per il paziente e i suoi familiari.
Alcune persone, scoraggiate dai costi o dagli ostacoli burocratici, tentano di trovare soluzioni alternative, spesso rischiose e illegali. Negli ultimi anni sono emersi casi di persone che hanno acquistato farmaci letali online o si sono rivolte a metodi improvvisati.
Questa situazione evidenzia l’urgenza di una regolamentazione chiara e accessibile anche a livello nazionale, per evitare che chi desidera porre fine alle proprie sofferenze sia costretto a cercare strade clandestine o a viaggiare all’estero.
Una legge necessaria, ma non sufficiente
L’approvazione della legge in Toscana è un passo storico che segna un punto di svolta nel dibattito sul fine vita in Italia. Tuttavia, senza una normativa nazionale, il rischio è quello di creare disuguaglianze tra Regioni, lasciando molte persone senza un reale accesso a questa possibilità.
La battaglia per il diritto all’autodeterminazione è ancora aperta e richiede un confronto serio e approfondito tra istituzioni, società civile, mondo medico e Chiesa. Solo una legge nazionale potrà garantire equità e rispetto delle volontà di ogni individuo, mettendo fine a un limbo normativo che costringe troppi malati a scelte dolorose e difficili.
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