Solo nell’Eucarestia troviamo la forza per perfezionare la nostra identità cristiana

“Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” (Mc13,31). La profezia di Gesù dice il vero: tutto passa; ce lo conferma ogni giorno la precarietà della vita terrena. Perciò, sia la Parola di Dio a donarci la forza necessaria per portare il peso della nostra fragilità e per irrobustire la nostra fede vacillante: Cristo è l’inizio della vita eterna e tutto ciò che non passa viene da Dio e ci conduce a Dio. Tuttavia, è proprio vivendo in questo mondo cadùco che a noi è data la possibilità di aprire l’orizzonte del Regno di Dio e di entrarvi, condotti per mano da Cristo, che per noi indossa le vesti di sommo ed eterno sacerdote. Lo sa bene l’autore della lettera agli Ebrei: “avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio” (Eb 10, 12); e ancora: “con un’unica offerta – quella di se stesso – egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10, 14).

Miei cari, se da un lato la precarietà dell’uomo pesa tremendamente sulla sua dimensione esistenziale, dall’altro ci consola sapere che essa è stata già redenta dal sacrificio di Cristo, i cui effetti salvifici imprimono in ogni uomo i segni della santità di Dio. È vero, noi passiamo; tuttavia, è proprio “passando” che, se lo vogliamo, possiamo avvicinarci sempre di più a Dio: questo è il messaggio dell’odierna liturgia. I versetti del salmo responsoriale, carichi di gioia, scacciano la tristezza perché “il Signore è mia parte di eredità 
e mio calice: nelle sue mani è la mia vita” (Sal15,5). Ma cos’è quest’eredità? Certamente è la nostra identità di veri figli di Dio; un dono, assieme a quello della vita eterna, acquistato da Cristo per noi attraverso la sua Incarnazione e con il quale ci è stata rivelata non la bellezza di questa esistenza ma quella della vita eterna. Quante volte ci lamentiamo della nostra sorte terrena, senza considerare seriamente che questa vita non appartiene a noi ma a Dio? Prendere coscienza di questa misteriosa realtà significa: “porre sempre davanti a sé il Signore.
 Allora l’uomo non vacillerà perché Dio è alla sua destra” (cfr Sal 15, 8). E ancora: “Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal15,11). Lasciamoci illuminare dalla sapienza del Salmo. Mettendo da parte la fragilità umana e il dolore di morire a questo mondo, sforziamoci di offrire a coloro che ancora vivono nel dubbio e nell’ angoscia le prospettive certe dell’ineguagliabile speranza cristiana. “Per questo gioisce il mio cuore – proclama ancora il salmista – ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro 
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, 
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa” (Sal15,9-10).

Il nostro salmo accenna alla messianicità di Cristo, prefigurando gli eventi della Passione; esso, inoltre, canta l’obbedienza del Figlio che, accettando di morire in croce e di essere sepolto nella nuda terra, vince il male della morte, concedendo all’uomo di tutti i tempi di partecipare pienamente a questa grande vittoria. “Cristo, infatti, è venuto perché tutti abbiano la vita in abbondanza” (Gv 10, 10). La precarietà dell’esistenza umana – lo sappiamo bene – è contraddistinta da tribolazioni e da sofferenze, “necessarie” aggiunge Gesù, per accogliere la sua ultima venuta. Essa è invocata particolarmente nell’ Eucarestia, al momento della consacrazione, quando il popolo di Dio acclama: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Quando tutto questo accadrà lo sa solo Dio (cfr Mc 13, 32). Questo grande mistero si vive in pienezza all’interno della comunità ecclesiale, soprattutto nella liturgia e nella vita attiva delle parrocchie, ove ciascuno ha il diritto di sentirsi membro vivo ed operante della Chiesa. E noi, oggi, dobbiamo essere lieti di poter vivere questo mistero partecipando alla S. Messa. È il mistero di Cristo morto e risorto, quindi, il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalle tenebre alla luce.

In questo sforzo di profondo rinnovamento spirituale, miei cari, incoraggiamoci a vicenda, certi che solo nell’Eucarestia troviamo la forza per perfezionare la nostra identità cristiana e per procedere spediti sul cammino della fede. Il nostro contributo sia generoso! Le comunità ecclesiali siano vive e ben coscienti della loro missione evangelizzatrice. Diventiamo, perciò, una chiesa viva! Non bastano le pietre a dare gloria a Dio, occorre costanza nella preghiera e promuovere occasioni di fraternità; respingere individualismi, egoismi ed aprirsi, quindi, alla condivisione e alle esigenze della comunità. Partecipando all’Eucaristia, infine, capiremo sempre meglio la nostra identità cristiana e la sua più grande priorità, quella cioè, del servizio generoso e gratuito ai fratelli. Solo agendo così, carissimi, il nostro passaggio su questa terra non sarà vano ed acquisterà quindi, un valido significato proprio perché ispirato a quelle “parole che non passano”. Carissimi, la liturgia di questa domenica ci ha fatto molto riflettere. Ci consegna, perciò, un chiaro invito: “Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21,36). Ci aiuti la Vergine Maria. Impariamo da Lei l’attesa di Cristo, partendo soprattutto dal suo silenzio che non è mera assenza di parole ma ascolto sincero della volontà di Dio.

Fra’ Frisina

Foto: chiesaumbra.it

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