Roma Capitale, una riforma tante volte auspicata ma mai veramente realizzata

Roma Capitale. La Costituzione, nella versione attuale, all’articolo 114 recita: “Roma è la capitale della Repubblica“. Ci si aspetterebbe, dunque, che sia anche prevista una forma giuridica consona al suo ruolo, in grado da affrontarne onori e oneri. Niente di tutto ciò. Le norme che regolano l’amministrazione e la gestione del Comune di Roma sono sostanzialmente uguali a quelle degli altri 7902 comuni d’Italia. Le stesse di Monteone, provincia di Lecco, che vanta 30 abitanti, a fronte dei 2.837.339 residenti nella Capitale al 31/12/2019. O di Atrani, provincia di Salerno, che ha una superficie di 0,12 kmq, a fronte dei 1287 kmq di Roma.

Con Legge 7 aprile 2014, teoricamente, sarebbe stato riconosciuto un ruolo specifico alle 14 più importanti aree metropolitane d’Italia. In realtà ci si è limitati a cambiare il nome alle province di riferimento che, da allora, si chiamano “Città metropolitane”. Se poi si considera che in precedenza, alle provincia erano state sottratte quasi tutte le funzioni e che gli organi delle città metropolitane non sono stati ancora eletti dal popolo, ci si rende conto di quanto sia stata inutile tale riforma. Un provvedimento senza contenuti e solo sulla carta.

Anche tra le 14 città metropolitane d’Italia non si è tenuto conto del fatto che Roma sia anche “capitale della Repubblica”, secondo la costituzione. Nè delle dimensioni demografiche della sua area metropolitana. La sua popolazione, infatti, ammonta a 4.335.849 abitanti. A Cagliari, con tutto il rispetto per il capoluogo sardo, ne vive appena il 10%, cioè 430.372.

La legge per Roma Capitale si è limitata a cambiare i nomi degli organi e della polizia

In realtà, con Legge n. 42 del 2009, il Parlamento avrebbe riconosciuto un ruolo speciale al Comune di Roma, in virtù del suo ruolo di capitale d’Italia e di sede delle rappresentanze politiche e diplomatiche. Ma, praticamente, nulla è andato oltre al cambiamento del nome degli organi comunali. Il Consiglio comunale si è da allora chiamato “Assemblea capitolina”. La giunta comunale: “Giunta capitolina”. I consiglieri comunali: “consiglieri capitolini”.

La polizia municipale ha poi assunto il ridondante nome di “polizia locale di Roma Capitale”. L’unico risultato concreto è stata la compartecipazione dello Stato (per un terzo) al risanamento del debito pregresso del comune. Ma, per il futuro, la legge non ha previsto speciali finanziamenti. Per il resto, come detto, Roma è rimasta un comune come un’altro, al pari di Canicattì (AG), Scurcola Marsicana (AQ) e di Celle di Macra (CN). Con tutto il rispetto per le popolazioni locali.

Il confronto con le capitali di tutti gli altri Stati industrializzati è disarmante. Washington è conformata in distretto speciale (District of Columbia) parificato agli altri 50 Stati USA. Berlino è un länder (Stato) a sé della Repubblica federale tedesca. Londra è conformata in due livelli, quello dell’Autorità della Grande Londra e quello dei 33 distretti (boroughs). Anche Madrid è conformata in due livelli: la Comunità autonoma, cioè una specie di regione a statuto speciale e i suoi comuni sottostanti (tra i quali quelllo della città di Madrid). Parigi di livelli ne ha tre: quello dei 20 arrondissements (amministrazioni comunali in tutto e per tutto). Quello del Comune di Parigi che è considerato uno dei dipartimenti della Repubblica francese. Infine, la “regione parigina”, formata da otto dipartimenti.

Una proposta di “regionalizzazione” di Roma Capitale

Rispetto alle capitali dei nostri partners euro-americani, siamo – come al solito – in forte ritardo. Definire un assetto idoneo alla Capitale d’Italia è sempre più stringente. Ma a quale modello fare riferimento? Uno dei candidati a Sindaco delle prossime consultazioni elettorali, Tobia Zevi, sembra convinto della necessità della riforma. Ma la ricetta che propone è assolutamente riduttiva. Elezione diretta del Sindaco metropolitano (l’ex “presidente della provincia”) e la suddivisione del territorio metropolitano in aree omogenee.

Più interessante la proposta del sottosegretario ed ex assessore all’urbanistica di Roma, Roberto Morassut. Questi propone la “regionalizzazione” di Roma, con l’attribuzione alla Capitale di tutti i relativi poteri delle altre venti regioni italiane. Nell’ambito di un territorio da definire ma – grosso modo – coincidente con quello della vecchia provincia. Secondo il proponente, tale riassetto andrebbe inserito in una più ampia riforma costituzionale. In tale ambito, propone di sopprimere la regione Lazio, di trasferire il territorio delle altre province laziali alle regioni limitrofe e l’accorpamento/riduzione di gran parte delle regioni più piccole.

A nostro parere, la proposta Morassut sarebbe la soluzione ideale da perseguire. Ma – referendum Renzi insegna – quando si perseguono disegni troppo grandi, è facile trovare più di un granello nell’ingranaggio che li fa rimandare alle calende greche. In questo caso sarebbero le burocrazie delle sopprimende regioni a mettere il bastone tra le ruote alla “riforma Morassut”. D’altronde, sinora è stata la burocrazia provinciale a bloccare l’accorpamento provincia-comune di Roma, previsto nel “progetto Roma Capitale”. Forse è meglio procedere secondo il proverbio cinese, il quale recita: “un grande viaggio comincia con dei piccoli passi”.

Come operare per bypassare gli ostacoli frapposti dalle varie burocrazie

Perché sopprimere la Regione Lazio? Se il problema è l’interruzione della continuità territoriale, una volta “regionalizzata” Roma Capitale, basterebbe non comprendere nella nuova regione Roma una fascia di comuni montani tra le province di Viterbo, Rieti e Frosinone. D’altronde, non hanno mai fatto parte dell’area metropolitana di Roma che, invece, comprende anche la città di Aprilia, in provincia di Latina. Personalmente, non vedo nemmeno la necessità di individuare un capoluogo per la nuova regione Lazio.

La sede politica regionale e gli uffici amministrativi potrebbero benissimo rimanere a Roma, che si trova in posizione centrale al resto del territorio laziale. In tal modo, l’eventuale opposizione della burocrazia regionale alla riforma sarebbe ridotta al minimo. Per tacitare, invece, la burocrazia provinciale si potrebbe introdurre una specie di “bicameralismo imperfetto” per l’amministrazione di Roma Capitale. In Campidoglio risiederebbe l’Assemblea Capitolina, eletta direttamente dal popolo con tutte le prerogative consiliari.

A Palazzo Valentini – già sede della Provincia e ora della Città metropolitana – potrebbe risiedere una specie di “Consiglio dei Comuni”, con i consiglieri eletti dalle singole amministrazioni comunali. Alla Camera dei Comuni si potrebbe attribuire una sorta di veto sospensivo sulle deliberazioni riguardanti specificatamente uno o più comuni e non la generalità dei cittadini. E’ evidente che agli attuali Municipi della città di Roma dovranno essere attribuite le stesse competenze degli altri comuni. Tutto ciò dovrà essere previsto con legge costituzionale, dando a Roma la veste di una regione a Statuto speciale.

Detto ciò, quali sarebbero i vantaggi della regionalizzazione per i cittadini di Roma e del suo hinterland? Tre, in particolare: la potestà legislativa, il potere di imposizione tributaria e, soprattutto, l’acquisizione di trasferimenti dallo Stato, partecipando alla conferenza Stato-regioni. Vi pare poco?

Foto di Serghei Topor da Pixabay

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