Rocca Calascio: il paese abbandonato e poi risorto 

rocca calascio

Rocca Calascio (Aq), altezza 1480 metri. Qui è presente una torre di avvistamento risalente al 1100 con attorno una rocca, costruita successivamente da Ruggero D’Altavilla. La chiesa bramantesca ottagonale è del 1600. Poco discoste le case degli abitanti, una quarantina di belle costruzioni in pietra arricchite da pregevoli opere architettoniche come bifore, architravi diamantate, volte a botte o a crociera, tetti lignei con tegole romane, grondaie e discendenti in pietra. Nel borgo si trovano anche altre due chiese: una è quella di San Francesco, che una volta era usata come ospedale per i lebbrosi.

Ma la vita, per chi abita a Rocca Calascio, è difficile. La gente vive di pastorizia e della coltivazione di ceci, patate e lenticchie. Per lavarsi si usa l’acqua piovana raccolta nelle cisterne scavate sotto le abitazioni. E così un lento abbandono trasforma il luogo in un paese quasi spopolato. 

È il 1957. È appena terminata la realizzazione di una strada tra il paese di Calascio e la sua frazione di Rocca Calascio, quando gli ultimi abitanti di questo magnifico borgo medioevale, la famiglia Antonacci, lasciano per sempre la propria abitazione per trasferirsi altrove. 

Successivamente, dopo gli anni Settanta, Rocca Calascio diventa meta turistica per i suoi impareggiabili panorami. Compare anche su un francobollo da 50 lire. Viene “riscoperta” nel 1978, quando un impiegato del WWF, Valentino Tosatti, se ne innamora. Riesce a comprare una casetta. Occorre rifare il tetto, consolidare le volte, togliere montagne di detriti e calcinacci. Ma il posto è incantevole, con vedute mozzafiato e vista sul Gran Sasso, la Maiella, il Sirente e il Velino.

Dietro questo novello eremita ne arrivano altri: Franca, Patrizia, Margherita, Patrizio. Acquistano i ruderi ma con molte difficoltà: rintracciarne tutti i proprietari è quasi impossibile, ogni casa ne ha numerosi, spesso emigrati all’estero, quindi è complicato rogitare. Ma con pazienza e perseveranza in molti ci riescono e restaurano questi manufatti, usando scrupolosamente materiali, colori, architettura dell’epoca. Il sindaco di Calascio di allora, Antonio Matarelli, intuisce il potenziale storico, artistico, paesaggistico e turistico e spera in una rinascita.

Nel frattempo, il luogo diventa un formidabile set cinematografico per diversi film: “Lady Hawke”, “Amici Miei Atto II”, “La Piovra 7”, “The american”, “Il nome della rosa” ed appare su numerosi documentari.  Nel 1981 il sindaco di Calascio commissiona a due ingegneri e tre architetti uno studio di fattibilità, con rilievi topografici e geometrici e poi realizza un progetto esecutivo per il recupero del borgo, del castello, della chiesa di Santa Maria della Pietà e di quella di San Francesco. Riesce poi a farsi finanziare dalla Cassa del Mezzogiorno le opere di urbanizzazione necessarie: asfalta la strada, realizza le fognature, l’acquedotto, ripristina i vicoli e le stradine interne con una pavimentazione in pietra e le dota di illuminazione pubblica.  Ed ecco arrivare una giovane artigiana, Valeria, che trasforma una abitazione di Rocca Calascio in un laboratorio di prodotti tessili locali.

I turisti aumentano e  c’è chi intuisce il business: riesce a comprare quasi tutte le case diroccate, le restaura ed avvia un agriturismo diffuso. Aprono altre botteghe di artigianato o di vendita prodotti locali. Rocca Calascio diventa la meta di un turismo che approfitta anche della vicinanza a campi da sci come Campo Imperatore. Le ultime case ancora abbandonate vengono comprate e restaurate da altri privati. 

Il luogo si trasforma e l’economia della zona rinasce. Operai edili, negozi di materiali da costruzione, di arredi, supermercati, bar e ristoranti usufruiscono di questa opportunità, con sollievo notevole per l’economia locale. 

Un connubio di amore per l’antico, rispetto per l’ambiente, denaro, fantasia, costituiscono anche un richiamo per lavoratori, stagionali o a tempo indeterminato. Tutto ciò fa così risorgere un paesino stupendo che ora rivaleggia con Civita di Bagnoregio, il paese che non muore più.  

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