Re Saul e la tragedia della follia

re saul

Nel 1782 la stagione tragica di Vittorio Alfieri si trova a un bivio: concludersi oppure cambiare impostazione. Ma è proprio sull’onda di questa crisi e degli studi biblici intrapresi a Roma che l’autore piemontese realizza il suo capolavoro drammaturgico: Saul. L’idea nasce dal Libro di Samuele presente nella Bibbia e si inserisce in un contesto in cui la tradizione biblica e quella mitologica erano fonti quasi imprescindibili nella drammaturgia italo-francese. Alfieri stende tutti e i cinque atti dell’opera tra marzo e luglio dello stesso anno. Il risultato è una tragedia costruita ancora secondo i canoni aristotelici, ma con una novità importante. Il conflitto tra eroe e tiranno — generalmente espresso da due forze contrapposte — qui  si interiorizza in un unica grande figura. Un uomo agli sgoccioli della propria vita, che pur segnato dalla solitudine e dalla debolezza fisica non è ancora disposto a rinunciare al potere. Re Saul, appunto. 

Il dissidio interiore

«Oh! quanto in rimirar le umane cose, diverso ha la giovinezza il guardo, dalla canuta età! Quand’io con fermo braccio la salda noderosa antenna, ch’io reggo appena, palleggiava; io pure mal dubitar sapea… Ma, non ho sola perduta ormai la giovinezza… Ah! meco fosse pur anco la invincibil destra d’Iddio possente!… e meco fosse almeno David mio prode!…» dice il re d’Israele all’apertura del secondo atto. Dopo essere stato introdotto dai ritratti che di lui fanno gli altri personaggi, finalmente compare sulla scena come un uomo gravato da un forte dissidio interiore.

Saul è oppresso da un duplice peso: da una parte soffre per la giovinezza e la forza perdute; dall’altra per l’abbandono da parte di Dio che si manifesta nell’avversione dei sacerdoti al suo trono. Ossessioni che negli ultimi giorni della sua vita sfociano in un delirio d’onnipotenza e disperazione. Tiranno e eroe, guerrafondaio e padre straziato dalla morte dei suoi figli, alterna momenti di vaneggiamento a momenti di lucidità. Ora i suoi occhi sono accecati dall’ira, ora si sciolgono in lacrime al pensiero della devozione del suo scudiero e musico nonché genero David. Ed è proprio lui, il giovane e valoroso David, l’oggetto principale intorno al quale si manifesta principalmente la follia di Saul.

L’altro re

Saul è consapevole che David è l’uomo scelto da Dio per prendere il suo posto sul trono di Israele. Nel genero vede tutto ciò che era lui una volta, tutto ciò che ha perso a causa della vecchiaia e dei gesti empi che gli sono valsi «l’astuta ira crudel tremenda de’sacerdoti» mossa da Dio. Ma l’astio non gli impedisce di continuare a nutrire una qualche forma d’affetto per il giovane.

Emblematico è l’episodio narrato nel terzo atto quando ripone momentaneamente il suo odio per David e gli consente di stargli vicino e confortarlo con il suo canto. Tuttavia quando il giovane osa associare le sue vittorie a quelle di Saul, il rancore del sovrano riprende vigore. Preso da un furore accecante costringe il genero a allontanarsi e successivamente uccide il sacerdote Achimelec — rappresentate della casta sacerdotale ritenuta favorevole a David — e i suoi figli. Da questo momento la vicenda precipita definitivamente fino a arrivare al tragico epilogo: il suicidio del protagonista. 

Il suicidio e la riaffermazione della libertà

La morte auto-inflitta completa il profilo del personaggio e trasforma quello che in origine doveva essere un colpevole castigato da Dio in oggetto di compassione, se non di assoluzione. Come dice Bruno Maier nell’introduzione all’edizione Garzanti delle Tragedie: “La scena finale della tragedia, in cui Saul si uccide con la propria spada, è a un tempo catastrofe e catarsi; e in essa compiutamente si esprime la più profonda poesia dell’Alfieri: che è poesia del forte sentire, del dolore e della morte come affermazione estrema della libera volontà, e come indice di un riscatto che ha una componente morale.”

Dopo la predizione che diceva che sarebbe morto da vile, il sovrano d’Israele decide di ribaltare la situazione e morire da re. Brandisce la spada e decide la propria fine, passando dall’essere un tiranno delirante a un eroe che riafferma la propria dignità e la propria libertà di scelta. Un’operazione in perfetto stile alfieriano, in cui come dice Giuseppe Petronio nel manuale L’attività letteraria in Italia: «l’eroe, nella sua grandezza solitaria, lotta contro forze nemiche, e per lo più soggiace a esse o al destino (…), ma anche quando soggiace (…) afferma la propria libera volontà e la propria vittoria sui suoi vincitori». E dunque se anche nel chiaroscurale Saul gli scuri dominano sui chiari, la sua storia dimostra che nessun destino è già scritto. Che fino all’ultimo istante c’è sempre una possibilità di riscatto.

Foto di Martin Ludlam da Pixabay

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