Quirinale: ieri, Mattarella, domani!

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Quirinale. Le elezioni del Presidente della Repubblica sono sempre state un termometro della situazione politica in Italia e del suo stato di salute. Le ultime, conclusesi ieri sera con la rielezione di Sergio Mattarella, non sono state da meno. Proviamo a descrivere tutti i passaggi che hanno portato alla votazione finale, dopo sette scrutini senza esito.

Alla vigilia della consultazione gran parte dei pronostici arridevano all’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi. Oltre alla grande considerazione internazionale di cui aveva credito, giocava in suo favore la sua posizione di “terzietà”, non provenendo dai ruoli di nessun partito. Draghi, in un discorso natalizio, senza candidarsi esplicitamente, si era definito “un nonno al servizio della nazione”. Si era però augurato che la maggioranza degli elettori del nuovo Presidente della Repubblica coincidesse con quella del suo governo. Possibilmente ancora più ampia.

Dietro Draghi, i “bookmakers” ponevano a una certa distanza Pierferdinando Casini. L’ex Presidente della Camera, infatti, dopo una lunga militanza del centro-destra era stato eletto come indipendente nel Partito democratico. Per questi molti lo ritenevano al di sopra delle parti. Seguiva la ministra della giustizia Marta Cartabia, ex Presidente della Corte Costituzionale. Staccate altre personalità di spicco ma ritenute troppo caratterizzate in un senso o nell’altro. La Presidente del Senato Elisabetta Casellati era ritenuta espressione del centro-destra, anche se votata – a suo tempo – anche dal M5S. Gli ex Presidenti del Consiglio Giuliano Amato e Paolo Gentiloni, anche se fuori dal quadro politico attuale per motivi vari, erano ritenuti espressione del centro-sinistra.

Quirinale, dubbi costituzionali sulla possibile rielezione

Dato il quadro politico non era escluso, secondo molti, che alla fine il Parlamento in seduta comune avrebbe finito per scegliere di rieleggere il Presidente Mattarella. Questi, tuttavia, aveva da tempo fatto capire di essere recisamente contrario ad una rielezione. Da ex-giudice della Consulta aveva ribadito che tale eventualità sarebbe stata una palese forzatura del dettato costituzionale. Infine per dare una “concreta” visibilità al suo parere, aveva anche acquistato un nuovo appartamento a Roma ed iniziato il trasloco.

Ora, è vero che la Carta costituzionale non prevede la rielezione del Presidente della Repubblica, ma nemmeno la nega. A modesto parere di chi scrive – che agli esami universitari di diritto costituzionale non è andato oltre il 27 – sembra più forzata l’elezione a Capo dello Stato del Presidente del Consiglio in carica. È questo il caso di un’eventuale elezione al Quirinale del presidente Draghi.

Nelle precedenti dodici elezioni del Presidente della Repubblica, infatti, una rielezione del Presidente in carica c’è già stata. Quella di Giorgio Napolitano nel 2013. Una elezione del Presidente del Consiglio a Presidente della Repubblica, invece, sarebbe stata la prima. In materia costituzionale – si sa – la prassi è spesso fonte di diritto consuetudinario. La norma prevede infatti che il Presidente del Consiglio rassegna le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Questi in attesa di conferire un nuovo incarico lo invita a restare per gli affari di normale amministrazione.

Le dimissioni del Presidente del Consiglio investono tutto il governo da lui presieduto. Anche l’eventuale vice-presidente o il ministro supplente. Non si è mai verificato che il Presidente della Repubblica abbia accettato le dimissioni del Presidente del Consiglio ma abbia invitato il vice-presidente o chi per lui a svolgere “gli affari correnti”. Sarebbe questa, infatti, l’unica soluzione per permettere al Presidente del Consiglio, una volta eletto Capo dello Stato, di prendere possesso delle sue nuove funzioni. Diversamente, svolgerebbe contemporaneamente le funzioni di Presidente della Repubblica e di Capo del governo. Il ché è palesemente incostituzionale. Anche agli occhi di chi è appena alfabetizzato in diritto come noi.

Quirinale, tutto inizia con la candidatura Berlusconi

A un paio di settimane dal primo scrutino, appaiono sui media le dichiarazioni dell’ottantacinquenne Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, pur non candidandosi esplicitamente “sogna” di concludere la sua carriera al Quirinale. Gli altri leader di centro-destra, insieme al portavoce di FI Tajani, si riuniscono e chiedono a Berlusconi di candidarsi. Il centro destra dispone di 450 voti circa. Per essere eletti Presidente della Repubblica servono 672 voti al primo scrutino e 505 dal quarto in poi.

Berlusconi incarica Vittorio Sgarbi di sondare in tutte le direzioni per verificare la possibilità di ottenere i rimanenti. Sgarbi gli fa prioritariamente notare che non servono soltanto 55 voti. Per evitare le trappole dei “franchi tiratori” sarebbe necessario acquisirne almeno altri trenta. Alla fine del giro, Sgarbi riferisce a Berlusconi di non aver ottenuto i consensi necessari. Il leader di Forza Italia passa la mano.

Il tentativo di Berlusconi finisce per condizionare in senso negativo le successive trattative. Ripropone, infatti, l’alleanza di centro-destra che non coincide con la maggioranza del governo Draghi. Come è noto, Fratelli d’Italia con i suoi 64 grandi elettori, non ne fa parte. Anche il centro sinistra con circa 380 voti non dispone dei suffragi per eleggere da solo il Presidente della Repubblica. Dopo il tentativo Berlusconi, Giuseppe Conte propone (senza candidarlo) il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi. PD e LeU la ritengono una buona base di partenza. Il centro-destra rifiuta sdegnosamente, ritenendosi in diritto di individuare prioritariamente un candidato.

Quirinale, si va al voto

Al primo scrutinio, sia il centro-destra che il centro-sinistra scelgono di votare scheda bianca. Il gruppo “Alternativa” (fuorusciti dal M5S) sceglie di candidare il giudice Paolo Maddalena che ottiene 36 voti. Azione e +Europa candidano il ministro Cartabia (9). Anche il secondo scrutinio si conclude con un nulla di fatto ma, a sorpresa, Mattarella appaia Maddalena con 39 voti. Cartabia scende a 8 e Luigi Manconi, candidato da Sinistra Italiana, altrettanti.

Dopo le votazioni del II scrutinio il centro-destra presenta in conferenza stampa una rosa di tre candidati. Non c’è Draghi e nemmeno il “centrista” Casini. Sono Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio. Il leader della coalizione Matteo Salvini (Lega Nord) comunica, però, che vi sono almeno altri due candidati “votabili”. Cita esplicitamente la Presidente del Senato Elisabetta Casellati e l’ex Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Dei cinque nomi citati, quattro sono di Forza Italia e uno (Nordio), un magistrato indipendente indicato da Fratelli d’Italia. Stupisce il fatto che la Lega non sia riuscita a esprimere nessun candidato. Ciò mette in ombra la leadership di Matteo Salvini nella coalizione di centro-destra.

Per il centro-sinistra risponde il segretario del PD Enrico Letta. «Non facciamo controproposte – sostiene – né accettiamo alcun candidato cdx “a scatola chiusa”. Chiudiamoci tutti in una stanza a pane e acqua e buttiamo la chiave sinché non esce un candidato comune». Salvini ribatte sdegnato: «A me a pane e acqua non mi ci mette nessuno!» e pone sul piatto la candidatura unica di Elisabetta Casellati. Letta rifiuta. Così come Italia Viva di Matteo Renzi (43 grandi elettori).

Dal terzo al quinto scrutinio

Al terzo scrutino le due coalizioni proseguono a votare scheda bianca. Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, però annuncia che avrebbe votato Guido Crosetto. Probabilmente per dimostrare di avere un seguito superiore al numero dei suoi elettori (64). Infatti Crosetto vola a 114 voti e Maddalena sale a 61. Ma, nel silenzio dell’urna, anche molti centristi votano Casini (52 voti) e Mattarella si colloca in testa con 125 voti. Il cdx si ricompone sul muro contro muro auspicato da Giorgia Meloni. Filtra la candidatura Frattini che viene subito “bollato” dalla stampa come filo-Putin. Si vuole allora puntare su Elisabetta Casellati. Prima però il cdx preferisce contarsi astenendosi.

Al quarto scrutinio si astengono in 441. Non basterebbero per eleggere Casellati al quinto. Mattarella si conferma al primo posto con 166 voti. Sembra che ad averlo votato siano i seguaci di Luigi Di Maio, in dissenso con il capo politico M5S, Giuseppe Conte. Se così fosse ben 5 elettori M5S su 7 sarebbero dalla parte di Di Maio e contro il capo politico. Voci di corridoio sostengono che Conte avrebbe promesso a Salvini i cinquanta-sessanta voti che rimangono per eleggere Casellati. Per bloccare “l’inciucio”, Letta impone a tutto il centro-sinistra di astenersi.

Al quinto scrutinio del 28 gennaio (mattina) la candidatura Casellati ottiene solo 382 voti. I “franchi tiratori” del cdx che non l’hanno votata sono una sessantina. A questo punto, Salvini già non sa più che pesci prendere. Votare Draghi significherebbe dividere il cdx e la sua già traballante leadership. Optare per Casini o accettare il summit con il csx trova l’opposizione della Meloni. Nel pomeriggio (VI scrutinio) il centro-destra decide di astenersi e il centro-sinistra vota scheda bianca. Mattarella ottiene spontaneamente la valanga di 336 voti. Di Matteo, subentrato alla candidatura Maddalena, 41. Manconi 8, Cartabia 5.

Quirinale, solo dopo il quinto scrutinio si ricerca un’intesa complessiva tra i partiti

In serata si va finalmente al summit ma il centro-destra è rappresentato soltanto da Salvini. Il csx propone una rosa di cinque nomi: Casini, Draghi, Mattarella, la ministra Cartabia e la direttrice dei Servizi Segreti Elisabetta Belloni. Salvini accetta la Belloni ma condizionatamente al parere favorevole dei suoi alleati. Investito dalla stampa subito dopo l’incontro, Salvini non riesce a trattenersi. Dichiara che, grazie al cdx: «Si avrà per la prima volta, in Italia, un Presidente della Repubblica donna». Giuseppe Conte dichiara altrettanto e poi convince Beppe Grillo a inviare un tweet. «Benvenuta signora Italia ti aspettavamo da anni#Elisabetta Belloni» twitta l’ex comico.

A questo punto gli avvenimenti precipitano. Matteo Renzi inizia a sbraitare contro l’incolpevole Belloni, minacciando l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza di governo. I centristi e Tajani, a nome di Forza Italia, dichiarano di non riconoscere Salvini come unico rappresentante del cdx. Avrebbero proposto Casini al csx. Anche Di Maio accusa Conte di aver deciso senza consultare la base, ingannando il “garante” Beppe Grillo.

La mattina del 29 gennaio, Pierferdinando Casini, in conferenza stampa, annuncia di fare un passo indietro. Invita i grandi elettori a votare per la rielezione di Sergio Mattarella. La Meloni è furiosa ma, a questo punto, Salvini l’abbandona. Al nuovo summit annuncia di accettare la rielezione di Mattarella. L’incontro si conclude con la richiesta dei leader di inviare Mario Draghi per convincere il Presidente a restare altri sette anni. Mattarella accetta ma a patto che siano i presidenti dei gruppi parlamentari e delle Regioni – e non i leader dei partiti – a richiederglielo. Nel frattempo, il settimo scrutinio ha un risultato analogo al sesto.

All’s well that ends well

Finalmente dopo la richiesta dei presidenti dei gruppi parlamentari e delle Regioni, Sergio Mattarella scioglie finalmente la riserva. Intorno alle nove di sera del 29 gennaio è ri-eletto con 759 voti, davanti al “meloniano” Carlo Nordio (90 voti) e a Nino Di Matteo (37). È la seconda maggioranza della storia delle elezioni presidenziali dopo quella di 832 voti con cui fu eletto Sandro Pertini nel 1978. Ci sono voluti otto scrutini, non tantissimi. Ma se ogni leader di partito avesse evitato sin dall’inizio ogni mania di protagonismo, forse la politica italiana avrebbe dato un’impressione di maggior serietà.

Fonte foto: quirinale.it

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