La figura dell’editore è spesso associata a quella di un mecenate, un talent scout di manoscritti, quasi una figura mitologica, ai confini del poetico.
Forse questa visione poteva in passato avvicinarsi alla realtà, facendo riferimento ai grandi editori del XX secolo come Einaudi, Mondadori, Bompiani, Rizzoli che oggi non ci sono più, o meglio, al loro posto ci sono manager a capo di imprese editoriali miliardarie.
Cosa avevano in comune questi editori? Una missione: attraverso la ricerca di uno stimolo culturale, comunicare e dire qualcosa con i libri.
Ma cosa fa di un editore, un buon editore?
È una domanda a cui si potrebbero dare molte risposte, ma facendo una riflessione mirata al ruolo dell’editore all’interno del sistema culturale ed economico del Paese, potremmo iniziare col dire che c’è una distinzione fondamentale che divide la figura dell’editore in due categorie: da una parte, quello che viene definito editore puro ovvero colui che mira a una scelta qualitativa e fa parte di quella che si può considerare “editoria culturale”; dall’altra c’è l’editore industriale che agisce secondo logiche di mercato, puntando sulla quantità.
Banalmente, un buon editore è colui che riesce a trovare un giusto equilibrio tra queste partes.
In qualche modo, l’editore deve essere in grado sia di cogliere le esigenze del mercato, sia valutare il prodotto da pubblicare secondo criteri non generali.
Si rischia, nel primo caso di cavalcare l’onda passeggera di una moda o nel secondo di ritagliarsi uno spazio troppo di “nicchia” e non acquisirne di visibilità.
Spiritus durissima coquit è il motto di una delle case editrici che hanno segnato la storia dell’editoria italiana, la Giulio Einaudi Editore, di cui a rappresentarne lo spirito fu scelto il marchio dello struzzo nell’atto di ingoiare un chiodo ed è proprio Einaudi stesso a dirci che il lavoro editoriale non può essere forzato, perché è un lavoro che dovrebbe essere felice.
Quella della Giulio Einaudi Editore è stata una storia densa, ma anche la storia di un gruppo di persone, di amici che condividevano il sogno di realizzare qualcosa di ambizioso, nonostante la serie di eventi che l’hanno coinvolta sin dall’inizio. Era un collettivo formato da diverse situazioni, spesso conflittuali, tuttavia segnato da un legame profondo.
La casa editrice nasce ufficialmente nel 1933 e sotto l’insegna dei cambiamenti e della guerra si fa strada e si spinge a dare voce a quelli che poi saranno cardini fondamentali della letteratura italiana del Novecento.
Faccio riferimento a Elsa Morante, Fernanda Pivano, ma anche a figure che, prima di scrittori, sono stati parte integrante della macchina Einaudi come Leone Ginzburg a cui si deve il suggerimento, a un allora giovanissimo Giulio Einaudi (21 anni), di aprire una casa editrice e la paternità di collane come i “Saggi”, “La Biblioteca Di Cultura Storica” e “Narratori Stranieri Tradotti”; come Cesare Pavese che dopo la scomparsa prematura di Ginzburg, avvenuta nel 1944 a Regina Coeli, ha ricoperto il ruolo di direttore editoriale e ha dato vita alla celebre “Collana Viola”; o come Italo Calvino, Elio Vittorini e molti altri ancora.
Secondo un’intervista rilasciata a Severino Cesari (Colloquio con Giulio Einaudi, Edizioni Theoria s.r.l, Roma-Napoli, 1991), l’editore per Einaudi vi è un criterio con il quale ha scelto di essere un editore puro.
Si sta parlando di un’editoria attiva, viva e alla costante ricerca di nuovi stimoli che, come tutte le grandi storie, ha avuto il suo momento di splendore e crisi, dovuta principalmente alla grave situazione economica in cui era caduta la Einaudi, culminata nel 1983.
Ma qual è la situazione dell’editoria oggi?
Guardando da una prospettiva generale, forse il mondo del libro tende a essere gestito da un’editoria prevalentemente industriale che risponde agli stimoli e alle domande del mercato, affrontando un periodo in cui non ci si affida molto alla ricerca del contenuto quanto alla vendibilità del prodotto.
Si è parlato molto della crisi che sembra gravare su quella che è l’editoria indipendente, piccola e media molto più che sui colossi dei grandi gruppi editoriali e nonostante si siano trovate soluzioni per difendere l’indipendenza e il libero mercato, resta ancora acceso il dibattito che ha portato alla creazione della ADEI (Associazione degli Editori Indipendenti) nel 2018.
Da quello che si legge nell’ultimo rapporto sulla situazione del mercato del libro, i dati Istat sulla lettura confermano che i lettori attivi in Italia non superano il 41% della popolazione e che l’editoria classica sembra cedere il posto al vasto mondo del digitale:
“Continua a crescere il mercato digitale: circa 27 mila titoli (oltre il 38% dei libri pubblicati nel 2017) sono disponibili anche in formato e-book; la quota supera il 70% per i libri scolastici”
Tuttavia, emergono anche elementi positivi, come possiamo vedere dal seguente grafico, promosso dall’Istat in occasione della giornata mondiale del libro dello scorso aprile 2018.
Ma non solo. Possiamo vedere come se da una parte è vero che la maggioranza degli editori attivi nel 2017, quasi l’85% non pubblica più di 50 titoli all’anno e che di questi più del 50% è costituito dai piccoli editori che pubblicano un massimo di dieci libri l’anno, le prospettive che si affacciano per il mercato editoriale italiano, non sono dei più oscuri:
“Nel 2017 si rileva un netto segnale di ripresa della produzione editoriale: rispetto all’anno precedente i titoli pubblicati aumentano del 9,3% e le copie stampate del 14,5%.
La ripresa, tuttavia, sembra aver interessato esclusivamente i grandi marchi (+12,6 per i titoli e +19,2% per le tirature) mentre per i piccoli e ancor più per i medi editori si sono riscontrate flessioni”
Lo scorso 2 aprile il Consiglio regionale del Lazio ha discusso dell’esigenza di mettere mano alla situazione che si è venuta a creare nel territorio a causa della progressiva riduzione di fondi.
A sostegno dell’esigenza di un intervento pubblico, il tema è stato introdotto nella legge di stabilità nazionale 2019 (legge 145/2018) e presentato ai sensi dell’articolo 33 dello Statuto della Regione Lazio dai consiglieri Eleonora Mattia e Emiliano Minnucci (PD).
Si legge che tale documento debba essere al centro dell’attenzione delle autorità competenti affinché si provveda a un finanziamento pubblico all’editoria e, appellandosi all’articolo 21 della Costituzione, si sottolinea che i problemi economici legati al settore, ledono ai diritti di libertà, indipendenza, imparzialità e pluralismo dell’informazione e che sono da rinvenirsi proprio nei tagli che sono stati effettuati a livello nazionale.
Le prospettive più rosee, dunque, partono con “il piede giusto”. Nella speranza che tali fondi vengano effettivamente messi a disposizione e che si possa iniziare a uscire da questo periodo di blocco culturale, restiamo in attesa di novità.
Clicca qui per leggere la rassegna stampa completa dei dati Istat 2018
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