Papa Prevost Leone XIV, i retroscena che lo hanno portato sul soglio pontificio

papa

Papa Prevost Leone XIV. “Chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”, recita il detto. Anche stavolta la saggezza popolare ha visto giusto. Alla vigilia dell’ultimo conclave, infatti, i pronostici dei “vaticanologi” erano distribuiti su un gran numero di cardinali. Addirittura otto. Tra costoro, non era presente il cardinale Robert Francis Prevost, che poi sarà eletto con il nome di Leone XIV.

Gli otto papabili, secondo i ben informati, erano anche suddivisi in due gruppi di quattro, in base alle probabilità di essere eletti. Tra i primi quattro – nell’ordine – vi erano ben tre italiani. Il Segretario di Stato Pietro Parolin, il Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa e il Presidente della CEI Matteo Zuppi. Seguiti dal cardinale filippino Antonio Luis Tagle.

Il secondo gruppo di quattro erano tutti cardinali stranieri, più o meno con le stesse probabilità. Erano il cardinale ghanese Peter Turkson, il francese Jean-Marc Aveline, il maltese Mario Grech e l’ungherese Péter Erdő. Quest’ultimo, collocato tra i conservatori, era però ritenuto troppo vicino al primo ministro ungherese Orban. E il Sacro collegio dei cardinali elettori non sembrava tanto favorevole a farsi condizionare “politicamente”.

Papa Prevost non era compreso nel numero degli otto favoriti

I tre cardinali posti ai primissimi posti, segnalavano la forte convinzione dei “bookmakers” che dal conclave sarebbe uscito un Papa italiano. Difficilmente però poteva esserci un testa a testa tra cardinali italiani. La loro rappresentanza complessiva, infatti, è minoritaria. Inoltre, le ricorrenze storiche (se proprio non vogliamo chiamarla “cabala”) penalizzavano Parolin e Zuppi.

Negli ultimi 350 anni, infatti, nessun Segretario di Stato fu mai eletto Papa (unica eccezione: Pio XII). Né vi è mai riuscito alcun Presidente della CEI. Pizzaballa, infine, era penalizzato dalla giovane età: soli 60 anni. Sarebbe stato improbabile che si votasse un candidato che avrebbe potuto tranquillamente regnare per un altro quarto di secolo. Tagle, poi – a nostro parere – era penalizzato dal fatto che i cardinali elettori asiatici erano solo 24, a fronte di un quorum di 89 voti per essere eletti.

L’ingerenza di Donald Trump avrebbe potuto penalizzare il cardinale Prevost

Durante i funerali di Papa Francesco, inoltre, si verificò una clamorosa ingerenza del potere politico sui candidati. Nei secoli tale situazione era addirittura codificata con una specie di diritto di veto dei sovrani su questo o quel candidato. Ma, allo stato attuale, non si verificava dal lontano 1963. Quando Montini entrò in conclave con il “veto” del cancelliere Adenauer, del generale Franco e di Antonio Segni. E poi fu eletto.

È avvenuto infatti che il Presidente francese Macron e quello statunitense Trump, riunissero ciascuno i cardinali propri connazionali. Chiaramente, con la richiesta di votare – rispettivamente – un candidato francese o uno statunitense. Con il risultato – tenuto conto di quanto detto sopra – di “bruciarli”. E allora, perché è stato eletto lo statunitense Prevost? Andiamo con ordine. 

Il segretario di Stato Parolin è entrato ‘Papa in conclave’

Visto lo schieramento dei cardinali, il nome del nuovo Papa non poteva non scaturire dall’alleanza tra sudamericani ed europei. I primi costituivano la cosiddetta maggioranza relativa degli elettori. I secondi un numero ancora abbastanza cospicuo. Gli asiatici, come detto, solo 24. Gli africani addirittura solo 18. Niente cardinale terzomondista, quindi, a meno che non fosse sudamericano.

Nelle ultime quarantotto ore precedenti l’extra omnes, un uomo solo sembrava essere rimasto al comando del gruppo dei papabili. Si trattava del Segretario di Stato Pietro Parolin, con un portafoglio accreditato di circa 40-50 voti. Fu quindi Parolin ad “entrare Papa in conclave”.

Nell’imminenza del conclave, però, un noto quotidiano romano citava in forte risalita il cardinale “americano” Robert-Francis Prevost. Sarebbe stato lui a contendere la veste bianca a Parolin, sia pure in posizione di rincalzo.

Tre soli scrutini sono bastati a Robert Prevost per essere eletto Papa

Il resto è storia. Ci sono volute solo tre fumate per eleggere Prevost al soglio pontificio. Negli ultimi trecento anni solo due volte i cardinali in conclave si sono espressi così velocemente. Avvenne nel 1878, con l’elezione di Leone XIII e nel 1939, con l’elezione del Segretario di Stato Eugenio Pacelli (Pio XII). Entrambi favoritissimi al momento di entrare in conclave. Ciò faceva pendere la bilancia dei pronostici, a fumata bianca avvenuta, in favore del cardinale Parolin. Invece, come oggi tutti sanno, a benedire la folla vestito di bianco è apparso lo statunitense Robert-Francis Prevost, con il nome di Leone XIV. Cardinali tutti allineati ai desiderata di Donald Trump, dunque? Niente affatto.

Come dicevano i “numeri”, il nuovo Papa è stato eletto dall’alleanza tra i candidati sudamericani e gli europei. Ad essi si sono necessariamente uniti i nordamericani. Prevost, infatti, ha potuto superare la “bruciatura” di cui sopra, perché probabilmente considerato “in quota Sudamerica”. Ha infatti la doppia cittadinanza USA-Perù. È vescovo di una diocesi peruviana. Inoltre è Presidente della commissione per i cristiani del Sudamerica.

A Parolin va il merito di non aver voluto il braccio di ferro (dalla quale sarebbe stato comunque sconfitto). I cardinali, quindi, hanno dimostrato un’intesa maggiore dei parlamentari italiani quando si riuniscono per l’elezione del Presidente della Repubblica. Per i credenti, tutto ciò è dovuto soltanto all’assistenza dello “Spirito Santo”.

Foto di Oliver Lechner da Pixabay

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.