Noia, violenza, delitto: la borghesia crudele secondo Moravia

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«La donna era morta, questo lo sapevano, ma l’idea di aver commesso un delitto, di aver ucciso, e di essere perciò in stato di colpa, non aveva ancora sfiorato la loro coscienza». Siamo tra le pagine del racconto Delitto al circolo del tennis di Alberto Moravia. Coloro che hanno compiuto il delitto sono cinque uomini dell’alta borghesia italiana, autori di un gioco crudele che si è spinto troppo oltre. La loro  è una storia cruda in cui la noia e il cinismo avvelenano gli animi al punto da portare ad uccidere. Il contesto è quello di un circolo molto prestigioso, i cui membri appartengono «per la maggior parte a quella classe comunemente chiamata grossa borghesia». È un mondo fatto di gente ricca e annoiata che ama organizzare feste sfarzose e condirle con una buona dose di goliardia feroce.   

La principessa e il gioco crudele

Il racconto è stato scritto nel 1927 ma gli argomenti sono estremamente attuali: la violenza che nasce dall’aridità di chi ha già tutto e non ha più niente da conquistare, l’incapacità di provare quella pietà e quel senso di colpa che distinguono l’uomo dalla bestia, la dignità calpestata di chi è solo e fragile. Protagonista suo malgrado della vicenda è la cosiddetta “principessa”, che in realtà è una contessa né bella né giovane che vive in solitudine e ha un gran bisogno di attenzioni. Un personaggio tragicomico: apparentemente ridicolo, ma con un dramma interno che se portato alla luce suscita il pirandelliano “sentimento del contrario”, ovvero quel sentimento di compassione per la fragilità umana che ci accomuna tutti.

All’ultima festa la principessa si è ubriacata e ha dato spettacolo, ma il comitato del circolo decide di invitarla a un nuovo ballo. In particolare, i soci Ripandelli, Lucini, Micheli, Mastrogiovanni e Jancovich ordiscono un piano per divertirsi a sue spese. Durante la festa Ripandelli attira la malcapitata in una stanzetta piena di armadietti bianchi con la scusa di volerla sedurre. Poi arrivano gli altri quattro e in breve il gioco si trasforma in una vera e propria violenza sia fisica che psicologica. I soci aggrediscono e offendono la principessa, che terrorizzata si divincola e tenta di fuggire dalla stanza. Ma al culmine della tensione Ripandelli la colpisce alla testa con una bottiglia, uccidendola. 

Critica alla borghesia

La concitazione lascia spazio al silenzio. Il corpo giace a terra esanime, alcuni degli aggressori non riescono nemmeno a sostenerne la vista. Comprendono la gravità di ciò che è accaduto, ma più che avvertire senso di colpa sono preoccupati per le conseguenze che il delitto avrà sulla loro vita e sulla loro reputazione. A questo punto non resta che sbarazzarsi del corpo. Dice Ripandelli: «noi ora andiamo a ballare, e comportiamoci come se nulla fosse successo… quando il ballo sarà finito, la caricheremo sopra la mia automobile e la porteremo in qualche altro posto, fuori di città… oppure… possiamo gettarla nel fiume… così crederanno che si sia uccisa… viveva sola… in un istante di sconforto… son cose che succedono… in tutti i casi se ci domandano dov’è diremo che ad un certo momento è uscita dalla sala e non è stata più riveduta… siamo intesi? ».

Il racconto termina con i cinque soci che tornano alla festa facendo finta di niente  («entrarono tutti e cinque nella folla e vi si confusero, indistinguibili ormai dagli altri ballerini che come loro vestiti di nero, a passo di danza, abbracciati alle dame, sfilavano lentamente davanti al palco dei suonatori»). Non si sa se riusciranno ad occultare il cadavere. Ma non importa perché lo scopo di Moravia è quello di narrare lo sfacelo morale, la caduta dei valori, l’ipocrisia e la menzogna della classe sociale da cui lui stesso proviene, la borghesia appunto, proprio come farà di lì a poco nel celebre romanzo Gli indifferenti.

Foto di Matteo Venturella da Pixabay

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