Nella vita non si raggiunge pienamente la gioia senza fare prima un po’ di sacrificio

madreteresa

Camminerò alla presenza del Signore” (Sal 115), così ci ha fatto pregare il Salmo responsoriale di questa II domenica di Quaresima e camminare con Dio significa fondamentalmente “ascoltare” la voce di Gesù, il Figlio prediletto del Padre ed imitarLo, mettersi sui suoi passi e alla sua ricerca, ogni giorno. Egli certamente si fa sentire perché è la parola umana del Padre, è una voce udibile, vera, santa che manifesta chiaramente il disegno che il Padre ha per ciascuno di noi. Ma oggi cosa significa cercare Dio e mettersi alla sua ricerca?

Dio, carissimi, non si fa trovare nel chiasso delle nostre città o nella fretta di ogni giorno. Egli è sul monte e Gesù sale sul Tabor perché sa bene che il Padre è lì. Il monte, dunque, nelle pagine della letteratura biblica è il luogo privilegiato della presenza di Dio. Passiamo velocemente a rassegna alcune pagine della Bibbia: Abramo, così come ci viene narrato nella prima lettura di oggi, sale sul monte per immolare il figlio Isacco(Gn 22, 1-18); Mosè sale sul monte Sinai per ricevere da Dio le tavole della legge (Es 24, 12-17); il profeta Elia si reca sul monte Carmelo per radunarsi assieme agli altri profeti (1Re, 18, 20).

Infine, anche Gesù sale sul monte per sperimentare l’amore del Padre (Mc 9, 2-10) ma sale pure sulla collina del Calvario per donare generosamente la sua vita sulla croce. Accanto a questi esempi ci piace menzionare l’esperienza di Francesco di Paola, il cui carisma penitenziale nasce tra gli alberi selvaggi delle montagne dell’appennino paolano. Ma ritorniamo a Gesù. Attraverso la trasfigurazione, Cristo intende dare un anticipo di ciò che Egli è veramente; non dimentichiamo che la vicenda del Tabor accade verso gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù, quindi, volendo manifestare ai discepoli la natura divina, per un attimo nasconde la sua nobile umanità nelle vesti bianchissime della divinità.

Questa scena, impregnata di fascino e di mistero, ci dice che Dio ama manifestarsi ai suoi amici. Egli, infatti, si fa vicino ai discepoli i quali riescono persino a sentire la sua voce. Assieme a Gesù, essi sono protagonisti di un’esperienza bellissima: vivono, cioè, alcuni istanti di una storia d’amore molto intima. A condividere l’intimità di Gesù con il Padre ci sono pure Mosè ed Elia, illustri personaggi dell’antico Testamento che conversando con Gesù ci rivelano la sua continuità tra antico e nuovo testamento.

Gesù, infatti, è pienamente nella Legge antica, non le toglie nulla ma la completa, rendendola più a misura d’uomo. Ricordiamoci, carissimi, che l’antica legge e i profeti parlano e parleranno senza fine di Gesù. Ma ritorniamo sul monte! I discepoli dicono a Gesù che è bello stare lì, quasi vi rimarrebbero per sempre. Ma un’esperienza così bella e straordinaria può trasformarsi per i discepoli, e sovente anche per tutti noi, in una grandissima tentazione, quella cioè, di assaporare il piacere senza prima compiere il dovere.

Gesù, infatti, deve scendere a Gerusalemme, su quel monte non può sostare neanche un minuto in più perchè deve portare a compimento la missione affidataGli dal Padre: morire sulla croce per salvare l’uomo e riconsegnargli la felicità originaria. Pietro, invece, vuole fermare tutta la storia a quel solo attimo; Gerusalemme è proprio fuori dalla sua mente.

Caro Pietro – diremmo – il detto “non c’è Pasqua senza venerdì santo” significa che nella vita non si raggiunge pienamente la gioia senza fare prima un po’ di sacrificio. L’esperienza ce lo insegna. Il Messia, infatti, secondo i canoni di Pietro doveva essere di gloria e non di disonore, di esaltazione e non di umiliazione, acclamato e non arrestato, accolto e non rifiutato. Purtroppo, dietro l’appellativo di Figlio “prediletto” si nasconde il misterioso dramma del sacrificio e della croce. L’amore del Padre porta a questo terribile risvolto, quindi incomprensibile per gli apostoli che rifiutano la prospettiva dello scacco e del fallimento. E forse anche noi in alcuni momenti siamo come Pietro.

Grazie a Dio il più delle volte però siamo chiamati a scendere dal monte, a stare con i piedi a terra, a scontrarci con le difficoltà e il buio della vita di ogni giorno. Un buio fuori e dentro di noi che se letto con gli occhi della fede ci fortifica e ci fa crescere. Carissimi, la trasfigurazione di Gesù è un chiaro anticipo della sua glorificazione ed custodisce per noi cristiani un messaggio colmo di speranza e di attesa: nel gran giorno di Dio anche noi saremo trasfigurati come il Figlio prediletto; le vesti sfolgoranti di Gesù saranno indossate anche da noi al momento della nostra risurrezione.

Forti di questa speranza, senza paura, facciamo esperienza di Dio e avviciniamoci al suo amore. Egli ci attende sempre a braccia aperte. Accostiamoci, pertanto, all’Eucarestia, Egli è vivo e vero in quel pane e in quel vino ed è presente realmente in mezzo ai fratelli che pregano. Viviamo anche noi l’esperienza singolare della trasfigurazione, facciamo esperienza del sacro.

Ogni uomo si porta dentro la sete di Dio, a prescindere se egli professa la fede cristiana, o cattolica, buddista o musulmana. Ognuno di noi, per natura, è incline al sacro, al trascendente e – facciamoci caso – non c’è momento della nostra vita che trascorra senza avvertire per un solo attimo la nostalgia del cielo. Preghiamo intensamente il Signore perché possiamo sentire forte dentro noi il senso di appartenenza al cielo, per potervi entrare un giorno trasfigurati come Cristo sul Monte Tabor.

Fra Frisina

foto: thefreak.it

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