Milano Fashion Week Autunno/Inverno 21-22: tra moda democratica e nuova generazione

milano fashion week

Una visione nostalgica come punto di ripartenza per la femminilità moderna. E poi la ricerca di un rapporto con la natura, che in alcuni casi si rivela infestante e glamour, in altri invece, è base di un’estetica ludica e consapevole, con la moda digitale che dovrà essere più democratica.

Da qualche giorno si è conclusa la settimana della moda meneghina, in diretta streaming dal 23 febbraio all’1 marzo 2021. Il calendario dedicato alle collezioni donna – e ad alcune presentazioni co-ed -, si è mostrato più inclusivo nei confronti dei designer di nuova generazione, che rispetto agli anni pre-Covid hanno finalmente attirato l’attenzione di stampa e buyer. Sarà che alcuni hanno saputo brillare per ingegno, o sarà anche per lo spirito di adattamento con il nuovo asset, dietro la proposta di fashion film evocativi e originali – come l’esperimento surreale di Act N°1 in uno spazio pieno di sabbia con pareti mobili, o quello futuristico e multiculturale di Annakiki. Sarà anche questo, ma gran parte del merito va al calendario digitale di Camera Moda. Una scaletta condivisa a ritmo sincronico dallo schermo del computer agli smartphone, e che ha esibito per una settimana intera e senza troppe preferenze una commistione di big della moda e talenti di nuova formazione. Alla fine, l’occhio è immancabilmente caduto su tutti (o quasi), grazie al tempo a disposizione dietro una fruizione per lo più domestica dei contenuti, facendoci puntare il mouse su progetti che forse avremmo tranquillamente ignorato. In questo senso, la moda online si è mostrata più inclusiva, anche se lascia molto da pensare il fatto che per alcune piattaforme digitali, sia necessaria ancora una login per accedere live agli eventi. Permesso accordato solo agli operatori del settore (stampa e buyer) escludendo una rete di contatti, potenziali ospiti, che farebbero community, alzando il numero di spettatori dal vivo e forse anche l’engagement dei singoli brand sui social network. Una storia da non sottovalutare in futuro, per un approccio inclusivo e più democratico, nel caso infelice del protrarsi delle restizioni dovute alla pandemia. Anche se il Presidente di Cnmi, Carlo Capasa, conta di tornare gradualmente alle presenze fisiche, già a partire da giugno con il calendario della moda uomo. Lo speriamo.

In ordine cronologico: ecco i nomi di alcuni designer di nuova generazione, attraverso le ultime collezioni Autunno/Inverno 21-22 

L’Appuntamento nostalgico e cosmopolita di Calcaterra

Un ambiente cementato dall’aspetto incompiuto diventa passerella della moda inverno Calcaterra, brand milanese che fa della sartorialità italiana il punto di partenza nella ridefinizione della femminilità moderna. Classe 1973, dopo gli studi presso l’Istituto di Moda e Design di Milano, Daniele Calcaterra inizia a collaborare con gli uffici stile di diversi brand italiani. Alle sue spalle: uno studio personale di design e la direzione stile da Piazza Sempione e Lavia 18. Vent’anni di esperienza che lo stilista meneghino mette a supporto dell’eponimo brand, fondato nel 2014, con l’intento di celebrare in chiave cosmopolita il savoir-faire italiano. 

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Daniele Calcaterra

Durante la settimana della moda milanese presenta L’appuntamento, un ready to wear nostalgico e contemporaneo. Abbandonando l’idea di power dressing, nella sua accezione originaria, che negli anni Ottanta vede le donne alle prese con uno stile androgino per affermare la loro autorità nel lavoro, la linea A/I 21-22 amplifica gli stilemi dell’abito formale, liberandolo da ogni ingessatura. L’utilizzo di materiali esclusivi e di alta gamma, lavorati appositamente da tessilifici biellesi rafforza il desiderio di Calcaterra, che punta tutto sull’eccellenza del made in Italy. Nonostante i volumi, le sovrapposizioni cenobitiche e le rigide abbottonature compiute da cravatte a contrasto, ogni uscita celebra la femminilità in carriera donandogli scioltezza e notabilità. La palette cromatica ha le sfumature della pietra, da cui la linea sembra richiamarne la forza. Un carattere deciso a supporto di un design contemporaneo che ci trasporta in un posto distante, ripescando dagli anni Novanta quell’idea nostalgica di minimalismo borghese. Un’alchemica combinazione di potere ed etnie, sospese in un tempo flemmatico e pronte a mostrare la donna d’affari cosmopolita: milanese nell’animo, globetrotter di propensione, a sostegno di una vocazione internazionale che eleva il brand oltre i confini di qualsiasi ostruzione mentale e culturale. 

Il debutto di Daniel Del Core con la Collezione Zero

In quello Zero della collezione debutto c’è molto del percorso che Daniel Del Core vorrebbe intraprendere con l’eponimo brand. Ripartire da zero, nel senso più pieno del nulla, in un periodo di incertezze come questo, lasciando alla creatività il timone, sembra una spiaggia sicura in cui arenarsi per il giovane designer tedesco, di adozione milanese. Ma un background iper patinato e la spinta risanante che dal mondo naturale spesso si pretende, mostrano già delle ottime basi per la costruzione di un’estetica nuova, immaginaria, pronta a giocarsela con quello che ne sarà del gusto del bello post pandemia. Il passato di Daniel Del Core, infatti, veste di glamour il suo presente intrappolato negli effetti speciali del ruolo di celebrities designer ricoperto da Gucci, con Alessandro Michele al comando. Ripescare nella semantica naturale, tutti gli elementi infestanti da cui trarre ispirazione, è invece il twist evocativo della linea A/I 21-22, presentata dalla Cittadella degli Archivi con un show phygital, perchè oltre al pubblico da casa, ad assistere dal vivo, due filtratissime file di ospiti. 

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Daniel Del Core

Nel frattempo, funghetti grigi e altezzosi appaiono poco prima dello show per ingannare l’attesa, rotta da una parata di completi sartoriali che escono dalle fratte e camminano sull’acqua, quasi richiamando quei luoghi con le rose selvagge di Nick Cave, con una Kilye Minogue morente, nella famosa ballata pop barocca del 1995. Una distopia in crescendo che accompagna fino all’esasperazione con prove sceniche e dirompenti, dove cinture obi e sfarfallii di piume si alternano a fiori 3D e incrostazioni batteriche, che seguono la mutazione di una donna che pian piano diventa fungo. Stuzzica l’immaginazione, la linea di Del Core, e proietta in un gusto post pandemia. Accanto al desiderio di celebrazione e leggerezza, l’ammorbante maschera botanica cela una visione inquieta, che rispecchia il desiderio di farsi notare, in un futuro prossimo dove chi vince, esaspera i confini di un’esistenza vera e “instagrammabile”. 

Dima Leu e la sua Wool Only

Il corridoio della cantra, all’interno del tessilificio Marzotto a Valdagno, diventa passerella per Wool Only, la linea A/I 21-22 di Dima Leu, eponimo brand di matrice italo-moldava, che per la seconda volta sfila in calendario a Milano. Lanciato nel 2016, il marchio rispecchia la sfida del suo creativo che dopo gli studi in economia e la formazione presso lo IUAV di Venezia vede l’occasione di combinare quel rigore tipico del tailoring con l’aspetto pratico e confortevole dello sportwear. Due mondi opposti che dopo un anno di pandemia e vita traslata su Zoom sembrano collimare oltre che nell’estetica ludica e contemporanea di Leu, anche nell’iscrizione di quel confine sempre più labile tra outdoor/indoor. A questo si aggiunge l’esigenza di un modus operandi consapevole, grazie alla “primordiale, umana e resiliente” lana e all’innovativo touch 96, tessuti pregiati forniti dagli archivi Marzotto, a cui la linea è dedicata.

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Dima Leu

Audace, liberatorio e dolcemente schizofrenico, il ritmo di Maria Sole investe con segni di squilibrio la presentazione, che invece l’equilibrio lo brama. Nella sua sperimentale ricerca, tra athleisure e sartoriale, qualcosa si perde con l’intenzione giocosa del designer che tra tagli improvvisi e colori vitaminici, lascia sbirciare cinture e cravatte dalle giacche combinate a sua volta con cappucci e cerniere. A supporto di una narrazione co-ed per disturbare la donna con il menswear – premiato durante l’ultima edizione di Who is on Next?20 -, vi è anche la mission del brand: “Dovremmo essere in grado di ridefinire tali schemi e liberi di reinventare nuovi paradigmi” afferma Leu in una nota, ripensando alla progressiva fusione dei generi messa in pratica con Wool Only

Infestante come Del Core, ma solo dal punto di vista ludico, anche qui, c’è una forza naturale che prova a far mutare forma e universo di appartenenza, grazie alla trascrizione di quei dettagli tipici della sartorialità classica. Una forza contagiosa e giullaresca che smorza l’aplomb dei lapel, e scarica la sua elettricità sui copricapi disegnati dall’artista Meital Katz Minerbo. E la pedana di ferro è l’unica da toccare, nella scongiura di una psicosi sospesa tra il folclore e l’ilarità. 

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