Maschere a Roma, i personaggi tipici della comicità romana dal III secolo a.C. ad oggi

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Maschere a Roma. Nel teatro greco l’oggetto aveva la funzione di caratterizzare il personaggio e di fungere da cassa di risonanza sonora per amplificare la voce. Ciò ha condotto a valorizzare la gestualità del corpo dell’attore e a rendere più udibili i dialoghi. A Roma l’uso delle maschere giunse con l’Atellana nel III secolo a.C. Si trattava di uno spettacolo giocoso portato dal commediografo Gneo Nevio dalla natìa Atella. Il luogo d’origine era situato ai confini dell’odierna provincia di Caserta con quella di Napoli. Quindi fortemente soggetto all’influenza greca.

Le maschere della commedia di Nevio avevano caratteri fissi, ognuno ricollegato ad un personaggio. Questi erano principalmente quattro. Il Maccus (il mangione sciocco), il Pappus (il vecchio stupido), il Bucco (il fanfarone e parlatore petulante) e il Dossennus (gobbo astuto). Furono loro le prime maschere romane.

Maschere a Roma, lo Pseudolus e il Miles gloriosus di Plauto

Il maggiore commediografo romano fu però Plauto. Giunse a Roma proveniente da Sarsina, una generazione dopo di Nevio. La sua città natale era una cittadina dell’appennino tosco-emiliano, quindi di cultura etrusca. L’influenza greca, però, anche nella commedia plautina, è enorme. Di lui ci restano ventuno commedie, riconosciute autentiche dagli esegeti. Sono due i personaggi plautini che hanno avuto una popolarità tale da poter assumere il ruolo di “maschera” della commedia romana antica. Lo Pseudolus e, soprattutto, il Miles gloriosus.

Pseudolus, cioè “Il subdolo” è il protagonista della commedia omonima. Si tratta di un servo furbo, antecessore di Arlecchino che spilla i soldi al padrone e gli porta via anche la ragazza amata. Il Miles gloriosus è invece “il soldato fanfarone”, cioè una presa in giro del militarismo romano. Possiamo identificarlo come un precursore di Rugantino, quanto meno nella sua prima versione settecentesca. Recentemente, una certa critica ha definito un vero e proprio “miles gloriosus” il personaggio recitato da Diego Abatantuono nel film Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

Maschere a Roma, il capo trasteverino Meo Patacca

Prima di trovare nuovamente maschere a Roma, devono trascorrere almeno altri diciotto secoli. Alla fine del seicento, nell’epoca d’oro della commedia dell’arte, ecco apparire la prima maschera moderna di Roma. Si tratta di Meo Patacca, protagonista del poema omonimo di Giuseppe Berneri, scritto intorno al 1690.

Capopopolo del rione Trastevere, Meo è sicuramente reduce di qualche campagna militare. La “patacca”, infatti, era la paga del soldato. Lo si trova spesso all’osteria ed è il prototipo dei bulli di Roma. Indossa una giacca di velluto, un panciotto allacciato lateralmente e un grosso fazzoletto colorato per cintura, ove tiene il pugnale. Di solito raccoglie i capelli in una retina e ha al collo un altro fazzoletto colorato. Sul palco teatrale, chiaramente, si presenta con l’immancabile maschera.

A rivaleggiare con i trasteverini era, all’epoca, la malavita del rione Monti. Le due bande si sfidavano spesso alla sassaiola in Campo Vaccino, lo spiazzo dell’attuale Foro Romano. In particolare, il rivale di Meo Patacca era tale Marco Pepe, un’altra maschera della commedia dell’arte romana. Il momento clou del poema è, infatti, la sfida tra i due con la fionda ed il coltello nel Campo Vaccino. Al fin della tenzone, Meo Patacca atterra il rivale che è costretto ad arrendersi. Come si vede, Meo ha poco del miles gloriosus. Oggi lo si definirebbe un “vincente”, dedito a dar ordini ai suoi sgherri di fronte a un fiasco di vino.

Maschere a Roma, Rugantino

Un miles gloriosus del settecento era invece Rugantino, così chiamato perché arrogante e strafottente. Nella sua prima versione, infatti, Rugantino rappresentava la caricatura del gendarme pontificio. In alcuni casi recitava la parte del capo dei briganti travestito da guardia. Indossava un vestito appariscente di color rosso e il cappello a due punte. Sul palco assumeva atteggiamenti da duro. Poi, con il prosieguo dell’azione, si scopriva che era uno spaccone soltanto a parole ma pavido nei fatti. Un miles gloriosus, appunto.

Alla fine del settecento, Rugantino divenne il protagonista delle scene del burattinaio Gaetano Santangelo, detto “Ghetanaccio”. Il personaggio mantenne il suo atteggiamento da spaccone arrogante ma si trasformò in un povero popolano. Vestiva ora una camicia con casacca, leggeri calzoni logori, fascia intorno alla vita e fazzoletto al collo. Il Rugantino del Santangelo era perciò una vittima della società papalina. Pur essendo sempre il primo a provocare e a cercare la rissa. Tipica di lui è la famosa frase: «Me n’hanno date, ma quante gliene ho dette!».

Un’altra maschera romana deriva da una marionetta. Si tratta di Cassandrino, animata da Filippo Teoli al Teatro Fiano, tra il 1815 e il 1844. Cassandrino era un cinquantenne borghese, molto arguto ed educato. Indossava un cappello a tricorno su una parrucca, un abito rosso a coda di rondine, camicia di flanella e brache di seta. Il suo punto debole erano le gentil fanciulle, che fingevano interessarsi a lui ma si divertivano a dileggiarlo. A Cassandrino, come a Rugantino, fu anche dedicato un foglio satirico. Per un periodo le due testate si fusero. Ora è in edicola il solo Rugantino (al netto delle frequenti pause editoriali) fondato da Odoardo Zuccari nel 1848.

Ghetanaccio, da burattinaio a personaggio teatrale

Dopo aver maneggiato maschere e burattini per una vita, Gaetano Santangelo divenne anche lui un personaggio della commedia romana. Poverissimo e cagionevole di salute, Ghetanaccio era vestito in ogni stagione con un semplice abituccio di cotone e un berretto con la visiera. Sbarcava il lunario esibendosi nelle feste portandosi appresso il castelluccio/teatrino sulle spalle. Deceduto nel 1832, risorse sulle scene grazie alla vena di Augusto Jandolo. Le sue esilaranti rappresentazioni erano, in realtà, una denuncia delle condizioni in cui il governo papalino e la nobiltà “nera” teneva il popolo affamato. Ma, ridendo a crepapelle, i potenti non ci facevano caso. Ghetanaccio fu poi rappresentato in una commedia musicale da Gigi Proietti nel 1978 e da Giorgio Tirabassi, quarant’anni dopo.

Anche Rugantino ebbe una riedizione teatrale, in una commedia musicale di Garinei & Giovannini di successo mondiale. Il Rugantino “moderno”, ormai senza maschera, è però ancora più sfortunato del suo antenato. Finisce infatti sul patibolo, sotto la mannaia del famoso boia Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta. Interpretato da Aldo Fabrizi, l’incappucciato boia è forse diventato l’ultima maschera di questa città arrogante ma tutto sommato bonacciona.

Foto di jean-françois PRIEUR da Pixabay

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