Ma davvero piace ancora così tanto la “commedia degli equivoci”?

Se non fosse per la straordinaria bravura di Paola Minaccioni ed Emilio Solfrizzi, interpreti all’Ambra Jovinelli in questi giorni nella commedia “A testa in giù”, scritta dal quarantenne drammaturgo francese Florian Zeller, sarebbe da mettersi le mani tra i capelli.

Forse anche l’impropria traduzione del titolo della commedia, che nel testo originale è “Dietro il paesaggio”, esprime qualcosa che forse è andata fuori posto (se non per l’uso dell’espressione da parte della protagonista verso la fine del dramma), se pur l’ottima regia di Gioele Dix ha contribuito a vivacizzare i dialoghi che – in ben due ore e mezza di spettacolo – ha reso il tutto estremamente realistico e talora spiritosamente movimentato.

Ma la situazione proposta è scontata e spesso umiliante, quanto banali sono gli aspetti reconditi di una patetica quanto tristemente classica situazione di gelosia femminile tra due donne, una delle quali è la giovane fidanzata del vecchio amico del protagonista, sposato da vent’anni con quella che poi era diventata la migliore amica della moglie del “fortunato” anziano che aveva “avuto il coraggio” di lasciare la “vecchia ciabatta” (perché questo è il senso reale della storia) per una giovane, bella aspirante attrice, sensuale, esuberante e piena di vita.

Quindi il tema centrale è sempre quello della coppia eternamente in crisi, incentrata su queste mogli attempate ormai tristi e rompiscatole per definizione che però, alla fine, riescono ad “avere la meglio” sui loro mariti, riuscendo a tenerseli grazie ad utili alleanze femminili volte a conservare quel che c’è e a convincerli che è meglio evitare di “lasciare il certo per l’incerto”, visto che la giovinezza delle donne in carriera artistica è spesso orientata sugli aspetti economici del vecchio fidanzato che, una volta spremuto, viene soppiantato dal successivo.

Sono messaggi terribili, non si capisce se ne escono peggio le donne che però “vincono sempre” trattenendo il partner con trucchetti vari oppure gli uomini nel perenne atteggiamento di servilismo idiota verso giovani donne che li ghermiscono con scollature, accavallamenti di gambe e sguardi ammiccanti.

Si diceva che Paul Newman, ogni sera, preferiva tornare a casa per stare con la moglie anziché uscire con le attricette, sostenendo che non aveva senso andare a mangiare hamburger quando c’era la garanzia serale di un’ottima bistecca; ma quello era amore, di cui in questa commedia non vi è minima traccia.

Anche lo schema del doppio linguaggio, peraltro già visto da tempo nella straordinaria commedia agrodolce “Una serata in famiglia” di Steven Berkoff interpretata in assolo dall’ottimo Stefano Viali, ove tra un dialogo e l’altro si inserisce il pensiero malcelato che anticipa lo stato d’animo sistematicamente tradotto in goffaggine, gaffe, retropensiero malcelato e altre risposte di stampo faticosamente comico, porta ad ottenere un panorama patetico, fondamentalmente triste ed annoiato.

E certamente anche le isolate risatine del pubblico a fronte delle battutine ormai scontatissime e tipiche in ogni rapporto coniugale, non contribuiscono a dare valore alla relazione, anzi.

Il lieto fine che vorrebbe esprimere l’autore non infatti è percepibile come tale perché evoca più l’idea di “aver trovato una soluzione” piuttosto che lasciar immaginare il reale desiderio di proseguire su una strada volta a tenere viva una scelta sentimentale autentica; il protagonista, fino alla fine, nonostante il disprezzo (indotto dalla moglie) che prova per il suo amico storico, lo immagina invidiosamente al mare, al ristorante e nel letto con performances sessuali strepitose ormai dimenticate con la sua nuova giovane fiamma e – al momento –  felice e ringiovanito grazie alla sua nuova vita.

Ma la speranza recondita che gli possa andar male.

Tutto questo è assolutamente diseducativo ed irreale in una società contemporanea ove la libera rimessa in gioco dei sentimenti assume valore preminente; difatti quel che stupisce maggiormente è che l’autore di questo “vero” dramma ha soltanto quarant’anni.

Viene allora da pensare che davvero è possibile che “vecchi si nasce”.

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