L’uomo del sottosuolo

Il 15 aprile del 1864 la prima moglie di Fëdor Dostoevskij, Marija Dimitrevna, muore di tisi. La fine arriva dopo giorni di sofferenza, tanto è vero che il 2 aprile Dostoevskij scrive al fratello Michail: «Mia moglie sta morendo, letteralmente. […] Le sue sofferenze sono spaventevoli e si ripercuotono su di me… Il racconto mi si allunga». Il racconto in questione è Ricordi dal sottosuolo, pubblicato per la prima volta nello stesso anno sulla rivista Epocha. Con quest’opera lo scrittore non solo realizza la sua svolta artistica e filosofica, ma introduce una figura che avrà grande seguito nella letteratura europea: l’uomo malato che vive ai margini della società, in un sottosuolo che lo protegge e nel frattempo lo imprigiona. 

L’antieroe

Il protagonista è un vero e proprio antieroe, lo specchio dell’individuo contemporaneo che, lacerato da miriadi di contraddizioni, ha perso ogni certezza. Il racconto comincia così: «Sono un uomo malato… sono un uomo cattivo». Parole dure che forse, in un momento tragico come quello passato al capezzale della moglie, Dostoevskij rivolge anche a se stesso. Sa infatti di non essere stato un marito esemplare, con i suoi vizi e le sue storie extraconiugali (poco tempo prima aveva interrotto la relazione con l’amante Apollinarija Suslova). Ma il protagonista di Ricordi dal sottosuolo oltre a essere figlio del rimorso, nasce anche dalla volontà di contrapporsi all’eroe promosso dal razionalismo di stampo illuminista, a cui si ispirava il pensiero politico dei progressisti della società colta russa. 

Due più due fa quattro

Scrive Dostoevskij: «Due più due fa quattro, secondo me, è una vera e propria impertinenza. Due più due fa quattro vi fissa negli occhi con aria spavalda, si pianta in mezzo alla strada, si punta le mani sui fianchi e sputa per terra. Io posso pure ammettere che due più due fa quattro è una cosa stupenda, ma se vogliamo dare a ciascuno il suo, ebbene, anche due più due cinque qualche volta può essere una cosetta graziosissima». La metafora del due più due suggerisce che l’autorealizzazione dell’uomo non può dipendere esclusivamente da fatti razionali. L’esattezza matematica del quattro rappresenta un ideale che manca di profondità, una sintesi che limita l’infinità dell’essere umano senza tenere conto delle sue contraddizioni. Lo rende un dato calcolabile che non prevede imprevisti. Ma senza imprevisto non c’è vita, non c’è evoluzione, non c’è trasformazione. 

Anche la volontà umana può essere un imprevisto. Il libero arbitrio — che Dostoevskij da uomo di fede considera sacro — è quel due più due cinque che crea una breccia nel muro delle certezze e lascia trapelare parti dell’io che non necessariamente riusciamo a mettere in relazione. Così la versione definita di noi stessi diventa il fine a cui tendiamo e che ci stimola a andare avanti, efficace solo nella sua impossibilità di essere raggiunto. Al contrario «La volontà […] è manifestazione di tutto il nostro essere, cioè di tutta la vita umana, con la ragione e tutto il resto. E sebbene la nostra vita, nelle sue manifestazioni volitive, si presenti spesso sotto un aspetto piuttosto miserabile, essa è pur sempre vita e non soltanto un’estrazione di radice quadrata»

L’uomo d’azione e l’uomo pensante

L’uomo del sottosuolo è l’unico a cogliere questa verità. Un privilegio che vive come la manifestazione di un’intelligenza superiore, ma anche di una colpa: «sono colpevole perché sono più intelligente di tutti quelli che mi stanno intorno». Tutti gli altri — diversi e opposti rispetto a lui — vivono in un mondo pieno di «due più due fa quattro». Si muovono sicuri in una realtà fondata su certezze salde e universalmente condivise. Dostoevskij li chiama uomini d’azione, persone immediate, o semplicemente uomini normali. Normali perché sciocchi, sciocchi come li vuole madre natura. A loro è contrapposta la gente che pensa ma che non agisce perché schiacciata dal peso della propria coscienza ipertrofica. Queste persone non sono uscite «dal seno della natura», ma «da un alambicco» e ciò le rende meno umane, più simili a topi.

Il topo nel sottosuolo

Il topo è l’animale che vive nel sottosuolo, la creatura nascosta, umiliata e indifesa in cui l’uomo pensante non fatica a riconoscersi. Rispetto all’uomo d’azione — che nella sua semplicità reagisce all’offesa con la vendetta — l’uomo pensante è in grado di accumulare una grandissima quantità di rabbia. Il suo essere malato sta proprio nell’assommare offese, dubbi e questioni irrisolte che nel tempo si mescolano, dando vita a un sentimento così complesso che non può essere espresso, ma vissuto solo nelle viscere dell’individuo stesso. Per questo, così come il topo, egli può solo «abbozzare timidamente con la zampetta un gesto di sconforto e con un sorriso di affettato disprezzo […] tornare a rintanarsi vergognosamente nel suo buco». E allora «Là, in quel suo miserabile e puzzolente sottosuolo, il nostro topo offeso, battuto e deriso sprofonderà immediatamente in uno stato di fredda, velenosa e soprattutto eterna malvagità».

Il sottosuolo non è un luogo ideale, ma quello in cui l’uomo-topo espia la sua condanna. Concepito come una stanza interiore, nutre e è nutrito da una frustrata ossessione di rivalsa, per diventare un coacervo di odio e umiliazione che scade nella crudeltà. Come dice Gianlorenzo Pacini nella sua introduzione al testo di Ricordi dal sottosuolo (edizione Universale Economica Feltrinelli): «quel sottosuolo […] è la quintessenza di ciò che chiude l’uomo nel cerchio dell’odio e della lotta, che lo fa arroccare su se stesso, condannandolo a macerarsi nella solitudine».

L’amore e la rinuncia

Per spezzare il cerchio c’è una sola soluzione: l’amore vero e incondizionato. Inaspettatamente, il protagonista lo trova in Liza, una prostituta dal cuore puro che riesce a donargli il primo istante di autentico abbandono della sua vita. Quel momento gli spalanca davanti la strada che conduce alla pienezza dell’essere che in fondo aveva sempre cercato. È l’equivalente dell’amore divino, l’unica forza superiore in cui l’uomo pensante può credere.

Il protagonista dovrebbe esultare, invece respinge Liza umiliandola. Lo fa perché non riesce a staccarsi dalla volontà di sopraffazione che ormai si è imparentata con il suo sangue e gli impedisce di smettere di essere l’uomo del sottosuolo. Il ricordo di Liza, tuttavia, gli resta come un «fastidioso motivo musicale che non vuole più andarsene dalla memoria», segno di un rimorso che continuerà a nutrire per sempre la sua inesorabile amarezza.

Fonte foto: svizzeri.ch

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