Le altre vittime della guerra: bambini, donne, anziani e disabili

le altre vittime

L’infanzia rubata dalla guerra

Oggi, più di 420 milioni di bambini sono intrappolati in ambienti devastati dalla guerra, una spirale di sofferenza che sembra non avere fine. Un bambino nato in una zona di conflitti ha più probabilità di morire prima di compiere cinque anni che di imparare a leggere. La guerra gli strappa via ogni prospettiva di futuro: cancella i sogni, spezza le speranze e nega il diritto a una vita serena. Le sue prime esperienze non saranno ricordi di giochi ma di fughe disperate, di privazioni estreme, di paura incessante e di lotte quotidiane per la sopravvivenza.

Le bombe, le mine antiuomo e le malattie causate dal collasso dei sistemi sanitari non sono eventi occasionali ma la dura realtà vissuta ogni giorno milioni dai bambini nelle zone di conflitto. Il tragico esempio del 2017, con oltre diecimila fanciulli uccisi o mutilati nel conflitto in Yemen a causa di bombardamenti indiscriminati, è solo uno dei tanti episodi che fa comprendere la portata del fenomeno. Ma la violenza che travolge l’infanzia non è solo fisica: il trauma psicologico subito da queste “vittime innocenti” può sfociare in disturbi mentali come ansia cronica, depressione e disturbo da stress post-traumatico (PTSD), e può compromettere il loro sviluppo emotivo e sociale. La paura costante, l’ansia per la sopravvivenza, la perdita di figure di riferimento e la devastazione dell’ambiente circostante costringe, infatti, i più piccini a confrontarsi con la morte e con una realtà che li spoglia della loro innocenza. Inoltre, molti di essi sono costretti a diventare soldati, arruolati forzatamente in una guerra che li priva non solo dell’infanzia, ma anche della loro ingenuità. 

Le donne: umiliate ed annientate

Se i bambini sono le vittime silenziose dei conflitti, le donne spesso diventano oggetto di violenza. Lo stupro è una delle armi più devastanti: uno strumento per annientare, umiliare e distruggere l’avversario. In guerre come quelle in Bosnia, Ruanda e Siria, ma anche in numerosi altri scenari di conflitto, la violenza sessuale è una strategia deliberata per spezzare la coesione sociale delle comunità, seminare il terrore e ridurre in frantumi l’umanità delle persone. Le vittime sono costrette a vivere con il trauma, la vergogna e la negata giustizia.

Le dimensioni di questa tragedia sono spaventose: l’ONU stima che una donna su cinque sia vittima di queste atrocità e, nelle aree di guerra, lasciate completamente sole. Non hanno un numero da chiamare, né una rete di supporto pronta a intervenire. La paura di essere abbandonate o addirittura punite per la violenza subita le rende ancora più vulnerabili. In molti di questi contesti, non solo la legge è assente ma la violenza sessuale è spesso ignorata o, peggio, tollerata. Ma non finisce qui.

Gli anziani e i disabili: i dimenticati della guerra

Quando la violenza esplode, le famiglie, spesso costrette a fuggire in preda al panico e alla disperazione, non possono prendersi cura dei più fragili. Quelli che non sono in grado di camminare, di muoversi, di difendersi, rimangono indietro, abbandonati in un angolo oscuro della guerra. La loro sofferenza non è mai raccontata nei notiziari, non suscita indignazione né attenzione da parte delle istituzioni internazionali. Non ci sono telecamere a immortalare il loro martirio, né voci celebri che si facciano portavoce delle loro grida di aiuto. Nei campi di battaglia le statistiche sono impietose: oltre il 60% degli anziani nelle zone di conflitto non ha accesso a cure mediche, e l’80% delle persone con disabilità non ha possibilità di fuggire dai combattimenti.

Il nostro dovere di intervenire

Le storie che arrivano dai teatri di guerra sono strazianti. La sofferenza di chi ha perso la vita, o di chi ha visto morire i propri figli, non può più essere ignorata. La guerra non è una fatalità, è una scelta. E le scelte che compiamo, come cittadini, come Stati, come membri di una comunità globale, sono fondamentali per fermare questo ciclo di violenza. Le organizzazioni internazionali come l’UNICEF, Save the Children, Medici Senza Frontiere, fanno un lavoro straordinario, ma la risposta globale resta ancora insufficiente.

La domanda che dobbiamo porci è: come possiamo contribuire? Come possiamo fermare questa macchina di distruzione e sofferenza? Non possiamo distogliere lo sguardo, non possiamo far finta di non vedere. Ogni bambino ucciso, ogni donna stuprata, ogni anziano lasciato morire di fame è un fallimento collettivo della nostra umanità.

La guerra è anche nella nostra indifferenza, nel nostro silenzio, nella nostra incapacità di alzare la voce. Se non agiamo ora, se non chiediamo giustizia e aiuto per queste persone, siamo complici del crimine.

Foto di abdulla alyaqoob da Pixabay

Fonti dei dati: Unicef e Save the Children

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