L’amica geniale nella gabbia del rione

«La sua prontezza mentale sapeva di sibilo, di guizzo, di morso letale. E non c’era niente nel suo aspetto che agisse da correttivo. Era arruffata, sporca, alle ginocchia e ai gomiti aveva sempre croste di ferite che non facevano mai in tempo a risanare. Gli occhi grandi e vivissimi sapevano diventare fessure dietro cui, prima di ogni risposta brillante, c’era uno sguardo che pareva non solo poco infantile, ma forse non umano». Siamo tra le pagine del romanzo L’amica geniale di Elena Ferrante, e a parlare è Lenù, anche lei battezzata Elena.

Racconta di un passato lontano in cui giganteggia la figura dell’amica Lila Cerullo, una ragazzina selvaggia ma talmente geniale da rendere prodigioso tutto quello che tocca. In un contesto misero come quello del rione la sua intelligenza è un meccanismo raffinato che si autoalimenta. Attrae e respinge, disorienta chiunque vi si accosti. Lila è l’incarnazione di un vero e proprio imprevisto per la società meschina che la circonda, una forza che non può essere controllata perché agisce secondo una logica sconosciuta. In lei ogni caratteristica umana si manifesta a un livello superiore: la capacità di apprendere, di inventare, di cogliere il senso più profondo delle cose, perfino di essere cattiva… 

Lila contro il rione

Lila però non è solo una mente luminosa, ma anche un’anima piena di ombre. La cattiveria è la prima cosa di lei che salta agli occhi della piccola Lenù: «Lila comparve nella mia vita in prima elementare e mi impressionò subito perché era molto cattiva». In questo caso la parola cattiva ha molto a che fare con la parola cattività, non a caso vengono entrambe dal latino captivus: prigioniero. Lila si comporta come una tigre in gabbia. Sembra sempre pronta ad attaccare, in realtà combatte per non farsi sottomettere (quando tira le pietre a Enzo, quando litiga con il padre perché vuole andare alla scuola media, quando punta un taglierino alla gola di Marcello Solara…). 

La sua prigione è rione Luzzatti, quartiere povero di Napoli dove i signori sono i camorristi e gli strozzini. Ma il male non viene solo dai cattivi soggetti. Crudeltà e frustrazione investono ogni angolo del rione, corrompono cose, persone, parole, e nessuno può sottrarsi. Un onesto usciere del comune e sua moglie possono darle di santa ragione a una bambina di dieci anni solo perché ha marinato la scuola, un ciabattino può lanciare sua figlia dalla finestra perché gli disubbidisce, due donne possono accapigliarsi in un modo talmente barbaro che rischia di scapparci il morto… È un mondo di violenza fisica e verbale, dove la morte è un fatto quotidiano e le gerarchie vengono imposte con le minacce. 

La casa di Don Achille

I confini da non oltrepassare sono tanti, ma Lila sfida i limiti con un coraggio che lascia sgomenti. Si può dire che il suo conflitto con le regole del rione sia uno dei temi portanti del romanzo. Non a caso il libro si apre sul ricordo della più grande barriera infranta dalla Lila bambina: la visita a casa di Don Achille, colpevole di aver rubato la sua bambola e quella dell’amica Elena. Don Achille è l’uomo più potente del circondario, tutti lo temono e lo rispettano. Ai bambini non è concesso nemmeno di guardarlo negli occhi. Per le due piccole protagoniste è una sorta di orco delle favole: «me l’ero immaginato grosso, pieno di bolle violacee, furioso malgrado il “don” […]. Era un essere fatto di non so quale materiale, ferro, vetro, ortica, ma vivo, vivo col respiro caldissimo che gli usciva dal naso e dalla bocca». 

Lo raggiungono mano nella mano e Lila — davanti a quella figura brutta ma inaspettatamente umana — pretende con forza che le vengano restituite le bambole. Il senso di giustizia la trascina oltre la paura, quel confronto agisce su di lei come un rito di iniziazione con prova di coraggio annessa. Lenù si aspetta una reazione violenta, invece Don Achille dà alle bambine dei soldi per ricomprare quello che avevano perso. È l’ennesimo gesto di sopraffazione, un piccolo risarcimento da cui scaturisce una grossa esternazione di potere. Io ti dò qualcosa perché tu possa ottenere qualcos’altro, ma dovrai ricordartene perché con questa concessione ti ho sottomesso.

Sapere è libertà

Tuttavia, da quel gesto arrogante non vengono fuori due bambole nuove, ma un libro: Piccole donne. Da questa lettura emerge tutta la passione di Lila per le parole. Parole che nella sua mente di bambina possono portare al benessere, addirittura a forzieri pieni d’oro: «Scoprì che l’autrice di Piccole donne aveva fatto così tanti soldi che aveva dato un po’ delle sue ricchezze alla famiglia. […] Lila si mise al lavoro e scrisse un romanzo».

Usare la parola scritta per guadagnare, guadagnare per dare agio alla famiglia, dare agio alla famiglia per ottenere dal padre (lo scarparo del rione) il permesso di cibarsi della parola scritta: questo è il piano di Lila. Ma il suo libro, la Fata blu, entusiasma solo Lenù e lo scarparo non prende nemmeno in considerazione l’idea di farle continuare gli studi. Nel suo piccolo mondo grigio la scuola è solo una perdita di tempo, non è necessaria per forgiare buoni lavoratori e donne di casa. Così la mente geniale di Lila rischia di restare senza nutrimento. 

L’orgoglio, l’invidia, il sogno

Studia da sola le lingue antiche e l’inglese, prende in prestito libri su libri dalla biblioteca del maestro Ferraro, legge l’Eneide e resta affascinata dalla figura di Didone… Tuttavia, la vita del rione finisce per soffocare quella voglia di imparare e incastra Lila nel calzaturificio di famiglia. Diventa un tassello — per quanto speciale — della vita del rione. Intanto vede l’amica Elena che, pur meno dotata, continua brillantemente gli studi. La invidia almeno quanto l’altra invidia lei, sminuisce ogni suo successo scolastico con battute sarcastiche o virando il discorso sui suoi piccoli successi.

Non è semplice invidia, dietro l’atteggiamento orgoglioso di Lila c’è un grande sogno infranto: quello di essere libera di diventare la versione migliore di se stessa. Ma alla fine, proprio nel giorno che dovrebbe essere il più bello della sua vita chiede all’amica di farsi custode del suo sogno e di portarlo avanti a ogni costo: «Qualsiasi cosa succeda, tu continua a studiare». «Ma a un certo punto le scuole finiscono» risponde Lenù. «Non per te: tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine».

Dissolvenza

In L’amica geniale troviamo dunque una ragazza fuori dal comune, capace di fare cose sorprendenti come riconoscere i corpi che si smarginano, che rompono la loro stessa forma per trasformarsi in qualcos’altro. È come se Lila avesse una doppia vista, che sa penetrare la scorza dura dei solidi e trarre la fluidità dell’essenza che li compone. Arrivare con facilità al senso ultimo delle cose è la sua grande dote, perdersi completamente in esso il suo grande privilegio.

Eppure è solo Lenù quella che può aspirare a spezzare le catene che la tengono legata al rione grazie alla forza della conoscenza. Lila passerà quasi tutta la sua esistenza a Napoli. Il  suo momento di essere libera arriverà molto più tardi, conseguenza di una delle sue tante decisioni estreme. Un giorno decide di dissolversi, di cancellare tutte le tracce concrete del suo passaggio nel mondo. Rimarrà solo nei cuori di chi l’ha amata, come Lenù che deciderà di conservare il suo ricordo in un libro, scomponendolo com’era destino in pagine e parole.

Fonte foto: ilsole24ore.com

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