La Volpe e Montale: dall’incontro alla poesia

volpe montale

La letteratura è piena di incontri fortuiti e fortunati. Incontri da cui nascono parole, versi, componimenti che si fissano su pagine, libri, antologie, e se sanno toccare le corde dell’anima, anche su menti e cuori.  Eugenio Montale lo sapeva bene. La sua poesia è popolata di incontri avvenuti per caso nella vita reale, che sulla pagina si sono tradotti in vere e proprie epifanie. Uno di questi è certamente quello con la poetessa Maria Luisa Spaziani, nata esattamente cento anni fa (7 dicembre 1922) e nota al pubblico montaliano con il nome che il poeta le affida nella sezione Madrigali privati della Bufera (1956): Volpe. 

L’incontro che rischiava di non realizzarsi mai

Maria Luisa Spaziani e Eugenio Montale si incontrano per la prima volta al Teatro Carignano di Torino nel 1949. In un’intervista la Spaziani afferma che, pur essendo sempre stata una lettrice appassionata delle opere di Montale e pur sapendo a memoria gran parte di Ossi di seppia, non voleva conoscerlo. Questo perché qualcuno le aveva parlato male di lui definendolo aggressivo, avaro, ostile alle donne, in particolare alle poetesse, e non voleva incorrere in una terribile delusione. 

Quando però al Teatro Carignano la direttrice del ciclo di incontri letterari che aveva organizzato la conferenza di Montale insiste perché si presenti al poeta, la Spaziani scopre di essergli già nota come colei che «dirigeva una rivista che si chiamava Il dado». Resta sbalordita quando Montale le dice «Ma lei non mi ha mai invitato a collaborare […] Io mi aspettavo che mi invitasse». Comincia così una lunga amicizia che la poetessa definisce — inaspettatamente, date le apparenze e la seriosità dei temi della poetica montaliana — divertentissima. Afferma: «Eugenio Montale quando c’erano poche persone aveva un senso umoristico straordinario: era divertente e paradossale, diceva che se tutte le sere noi pensassimo alla giornata che abbiamo vissuto ci troveremmo qualcosa di comico».

Il sodalizio letterario e la genesi di Volpe

L’amicizia con la Spaziani è fin da subito anche un sodalizio letterario. Già il 14 aprile del 1949 Montale le invia una trascrizione di Il gallo cedrone e di L’anguilla, (le due poesie che chiudono la sezione Silvae, di La bufera) e le scrive: «ho copiato il Gallo in ufficio ma qui non ho la penna che funzioni e debbo completare a macchina sia l’Anguilla che queste poche righe». 

Come afferma Marica Romolini nel suo Commento a «La Bufera e altro» di Montale , L’anguilla può essere considerata «l’anello di congiunzione tra Clizia e Volpe». O meglio, il definitivo abbandono della dimensione celeste del visiting angel e il passaggio alla vitalità erotica tutta terrena che solo successivamente — l’incontro con la Spaziani avviene dopo la prima stesura della poesia —  si attaglierà alla Volpe che domina Madrigali privati.

Perché Volpe?

La sezione Madrigali privati viene inserita nel progetto di La Bufera con diversi anni di ritardo rispetto alla pubblicazione su rivista della prima sezione (Finisterre). Qui al posto dell’ «Iddia che non s’incarna» troviamo una divinità minore, sensuale, ferina e fenomenica come il «raggio di sole» che è la «pagana forza fecondatrice della terra». Con Volpe si annulla quella distanza insormontabile che rendeva Clizia irraggiungibile. In lei si realizza una forza salvifica nascosta, che solo il poeta può cogliere («se non seppero/crederti più che donnola o che donna/con chi dividerò la mia scoperta[…]?»). Ma perché Volpe?

Volpe è un soprannome dato a Maria Luisa Spaziani dai suoi familiari. Montale lo riprende per rappresentare le caratteristiche della sua nuova dea letteraria. Ne nasce, tra le altre cose,  uno dei più bei ritratti poetici di La Bufera. Una nuova versione del topos della descriptio puellae che si realizza nella poesia Se t’hanno assomigliato: «Se t’hanno assomigliato/ alla volpe sarà per la falcata/ prodigiosa, pel volo del tuo passo/che unisce e che divide, che sconvolge/e rinfranca il selciato […]/ o forse solo/ per l’onda luminosa che diffondi dalle mandorle tenere degli occhi,/ per l’astuzia dei tuoi pronti stupori,/per lo strazio/di piume lacerate che può dare/la tua mano d’infante in una stretta;/se t’hanno assomigliato/ a un carnivoro biondo[…]/è forse perché i ciechi non ti videro/sulle scapole gracili le ali».

Foto di Dominik Fuchs da Pixabay

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