La rivoluzione del tempo

«Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora» afferma Albert Einstein a proposito della relatività del tempo. Siamo nel 1915 e finalmente si ha la dimostrazione scientifica di ciò che filosofi e letterati avevano già intuito da tempo. Non esiste solo il tempo scandito dagli orologi, ma anche un tempo soggettivo dipendente dal sentire di ognuno. Si tratta di una dichiarazione che nella cultura del mondo occidentale del primo Novecento ha l’effetto di una rivoluzione.

Bergson e Freud

La teoria della relatività sollecita le riflessioni sul tema del tempo del filosofo francese Henri Bergson. Egli parla di «un tempo interiore, continuo, indivisibile e irripetibile, che è quello della nostra coscienza, nella quale i vari momenti si compenetrano gli uni negli altri senza soluzione di continuità». Per Bergson questa durata interiore è l’autentica temporalità. Non è più dunque l’uomo a essere inserito nel tempo, ma il tempo a essere inscritto nell’uomo. Questo ribaltamento incide profondamente sul concetto di identità, stravolgendolo.

Prima ancora della pubblicazione della teoria di Einstein, l’idea di linearità del tempo viene smontata dallo psicanalista Sigmund Freud. Anche secondo lui il tempo lineare è un’illusione in quanto il passato si mescola continuamente al presente, determinando un presente inevitabilmente influenzato dal passato e un passato sempre in trasformazione. All’inizio delle sue sedute Freud invita i pazienti a togliere l’orologio. Vuole che abbandonino «qualsiasi preoccupazione rispetto alla percezione del tempo». Il processo delle libere associazioni infatti necessita di una completa indipendenza dal senso della cronologia («Qui, il ma questo viene prima e quello dopo non ha alcun senso», dice). Solo così il paziente può lasciarsi andare al flusso dei propri pensieri senza condizionamenti esterni e far emergere le cause reali della propria nevrosi.

Il tempo e la coscienza secondo Joyce e Proust

Il ribaltamento del concetto di tempo tocca tutti gli ambiti della cultura. In particolare la letteratura, in cui la nuova concezione temporale dà vita a due capolavori mastodontici e fondamentali: A la recherche du temps perdu di Marcel Proust e Ulysses di James Joyce. Nella Recherche appare chiaro come solo la memoria possa cogliere le trasformazioni applicate dal tempo su uomini e cose. Essa è l’unica vera dimensione della realtà in quanto porta alla più autentica conoscenza del sé e costituisce l’unico mezzo in grado di restituire al soggetto la sua identità. 

Nell’Ulysses, James Joyce applica la tecnica dello stream of consciousness (flusso di coscienza). Tale tecnica consiste nel riportare sulla pagina i pensieri del personaggio così come affiorano alla sua mente, senza nessun intervento da parte del narratore né collegamenti di tipo strutturale. A parlare è una voce che si muove tra coscienza e inconscio. Essa delinea un romanzo in cui tutti gli elementi, sia tematici che formali, concorrono a sottolineare il carattere sempre mutevole, inafferrabile e fluido dell’esperienza umana.  

In Italia

La vita come flusso, la memoria e il tempo soggettivo sono tematiche ampiamente trattate anche in Italia. Tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento la letteratura italiana si popola di individui resi fragili dal fatto che non è più possibile pensare all’identità e alla realtà come entità uniche e organiche. Ci sono i personaggi isolati nella propria realtà che cercano di liberarsene per gettarsi in un flusso vitale concepito come pienezza e autenticità dell’esistenza (il pirandelliano Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila); oppure di individui frammentati, incoerenti e inattendibili che non riescono a inserirsi nella vita del proprio contesto sociale (gli inetti di Italo Svevo).

Il rapporto tra l’intellettuale e la realtà — già precario ai tempi del Petrarca — raggiunge in questo frangente il culmine della crisi. Tutto diventa precario, instabile, inattendibile. È l’effetto della mancanza di punti di riferimento assoluti e sempre validi in ogni circostanza. Se anche le categorie del tempo e dello spazio si scoprono relative significa che la vita dell’individuo è affidata al suo punto di vista. Dunque, è ingabbiata in uno spazio parziale, mutevole, incontrollabile, da cui non è possibile evadere. 

Foto di Jakub Luksch da Pixabay

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