La paura di un futuro precario sembra offuscare la bellezza del cristianesimo

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Viviamo in un’epoca nella quale dinanzi alle tante vicende della vita ci poniamo diverse domande. È pur vero che l’uomo, nel corso del tempo, non ha mai smesso di interrogarsi. Tuttavia, oggi, a causa del particolare momento storico, tante domande si pongono più frequentemente. Di conseguenza, anche l’uomo della post-modernità si scopre ‘assetato’ di sapere, di conoscere, di sperimentare, di verificare, di toccare con mano, forse e spesso si ritrova, insoddisfatto, a sguazzare anche inconsciamente in un mare senza fondo di ‘passioni tristi’, i cui effetti lo rendono debole, inerme e vulnerabile.

La paura di andare incontro ad un futuro precario, i falsi modelli a cui guarda la gioventù confusa, i bisogni che erroneamente diventano valori e l’educazione impartita senza parametri sembra offuscare la bellezza plurisecolare di un cristianesimo che, anche a prezzo di sangue, ha sempre annunciato Gesù Cristo, grande certezza che si è fatta persona e Dio-Uomo realmente esistito, il cui fascino, ancora oggi, segretamente attrae, cattura, illumina. Il ‘Gesù della storia’ e il ‘Cristo della fede’ sono la stessa persona, Colui che ancora oggi ci ripete: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) e “Venite a me, voi tutti, che siete stanchi ed oppressi ed io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Tuttavia, nonostante una così grande certezza, la domanda si pone lo stesso: “Chi è questa persona che si presenta a noi veramente uomo e nello stesso tempo veramente Dio?” A trovare la risposta ci aiutano il Vangelo di Matteo e S. Paolo, i cui scritti ci conducono speditamente ad approfondire maggiormente il mistero di quest’uomo che ha spaccato in due l’intero corso della storia.

Quello di Gesù di Nazareth – sorridano pure tutti coloro che relativizzano – è il grande mistero di un Dio che non teme di scendere nei panni umani e di morire su una croce. È la logica di Dio questa, diversa da quella dettata dagli uomini; la prassi di un Dio che è in grado di farsi vita umana anche nella fragilità, fin su una croce, soprattutto nell’Amore che sa annientarsi per compiere la volontà del Padre. E ciò – è chiaro – non è ascrivibile né a dottrina e nè a filosofia ma a storia concreta, a quella di Gesù, il figlio di un falegname di Nazareth, testimoniato dal Vangelo e di fronte al quale la razionalità umana inevitabilmente deve arrestare il suo corso. Tutti i Vangeli ci conducono a Gerusalemme. sotto la croce di Gesù, perché con gli occhi fissi sul Crocifisso possiamo prendere responsabilmente ed in piena libertà la personale decisione di aderirvi o meno.

Il brano del Vangelo (Mt 21, 28-32) proposto dalla liturgia odierna, pur non essendo di facile lettura, ci aiuta a considerare la fede come porta di ingresso alla conoscenza della missione di Gesù, attuata questa, nel momento in cui Egli, nutrendo grande fede nel Padre, compie liberamente la sua volontà. Anche a noi oggi, come ai due figli menzionati nella Parabola del Vangelo odierno, viene chiesto di compiere la volontà di Dio. E ciò non è facile! Il ‘compiere la volontà di Dio’ ha alla base la relazione filiale che ciascuno di noi instaura con il Padre. Da qui deve scaturire l’ascolto costante della sua Parola che supera di gran lunga il mero ‘sentire’, la conformazione piena alla persona del Cristo che si erge a modello per tutta l’umanità e, infine, l’esercizio responsabile della personale libertà che nobilita, rafforza ed impreziosisce la dignità di figli di Dio.

Il messaggio che ci giunge chiaro dalle pagine del Vangelo di questa domenica non è tanto il “fare la volontà di Dio” finalizzato a se stesso, ma il “lasciarsi fare” da Dio. Attraverso la narrazione di questa suggestiva parabola, Gesù vuole realizzare in noi lo stesso progetto che il Padre ha voluto realizzare per Lui e cioè, lasciare che l’uomo sia modellato amorevolmente dalla tenerezza di Dio. Mentre si reca a Gerusalemme Egli più volte ammonisce i suoi discepoli esortandoli a “pensare secondo Dio” e non secondo gli uomini; intende, così, metterli in guardia da una grande tentazione, quella di instaurare col Padre una relazione puramente “formale” e che porta irrimediabilmente alla sterilità. Per evitare tale rischio, il Maestro propone ai discepoli, e quindi anche a noi, la sua stessa ‘esperienza filiale’: Egli, infatti, vive del Padre e della sua Parola, sino a divenire l’incarnazione di questa Parola che ancora oggi è capace di sconvolgere, scuotere, interrogare. Questa parola è capace di rompere gli schemi umani perchè viene considerata come pura follia.

E la voce di Gesù, quindi, si veste di toni accesi: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Coloro che secondo logiche umane sono ‘i lontani’ da Dio, per la logica divina invece, sono i primi ad entrare nel suo regno, dal momento che essi sono in grado di ascoltare la sua Parola. Gesù ci dice che chi crede nell’amore del Padre compie meraviglie con Lui, a prescindere dalla propria debolezza e fragilità.

A noi, quindi, affaccendati nell’attivismo frenetico e impegnati nel programmare le nostre ‘cose’, Gesù rivolge la sua Parola, perché seguendoLo possiamo ascoltare la voce del Padre e lasciare che attraverso la nostra vita, fatta anche di peccato, possa essere testimoniato il suo Amore, quello che più di ogni altro dona gioia e felicità al nostro cuore. Per questo invochiamo Maria, prima discepola del Maestro e prima operaia solerte e zelante nella vigna del Signore. Ci piace contemplarla nell’Annunciazione. Il suo sì a Dio, emblematico e solenne, possa diventare il nostro sì, generoso ed incondizionato, attraverso il quale poter collaborare con Lei alla realizzazione della nostra vocazione e alla diffusione del Regno di Dio già qui in terra.

Fra’ Frisina

Foto: viedellospirito.it

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