Diciamocelo francamente: il dibattito sulla legge elettorale è tutt’altro che appassionante, non aiuta gli ascolti tv e non fa vendere più copie ai giornali. E per le sue, diciamo così, tecnicalità, non è neanche troppo digeribile per i non addetti ai lavori.
Per la politica, però, la nuova legge elettorale è forse l’ultima chiamata e le sue norme possono diventare questione di vita o di morte per i cosiddetti partitini, alcuni dei quali nati dopo le scissioni degli ultimi tumultuosi mesi scanditi dalla decadenza di Berlusconi e dalla conquista del Pd da parte di Renzi, con le profonde ripercussioni sul partito e le fibrillazioni sul governo guidato da Letta.
E per gli italiani? Non siamo così convinti che di questi tempi tra le loro priorità ci sia la riforma del sistema di voto, anche se da molti viene ritenuta la prima contromisura per riconciliarli con la politica dopo i guasti profondi del Porcellum, la legge cioè dei nominati, “il male assoluto” l’ha definita Letta .
Forse è così, ma è solo una piccola rata dell’auspicato risarcimento al Paese dopo anni di immobilismo, di riforme mancate a causa della feroce contrapposizione tra gli schieramenti, di malaffare, di uso spregiudicato di fondi pubblici a proprio uso e consumo. A latitare, peraltro, sono stati anche il buon senso e un po’ di sano pragmatismo che ci avrebbero fatto uscire dalle secche traghettandoci verso una nazione finalmente moderna, ma questo è un altro discorso e coinvolge l’intera classe dirigente e, perché no, i comportamenti di ciascuno di noi.
La battaglia che si sta giocando sulla legge elettorale, frutto del patto Renzi – Berlusconi, non è sulle preferenze, sulle soglie di sbarramento e per il premio di maggioranza, sulle circoscrizioni da ridisegnare ma tra chi vuole cambiare le cose e chi invece mira a mantenere lo status quo.
Questa è la vera partita ed ecco perché diventa cruciale per il nostro futuro che “Italicum” e riforme costituzionali arrivino a destinazione entrambi.
Perché si possa giocare, e non importa se lo spettacolo non sarà proprio esaltante, il governo deve andare avanti almeno per un anno, il tempo necessario per i complessi passaggi parlamentari, e fare cose.
Quindi è essenziale che la maggioranza trovi la quadra sul quel benedetto patto di coalizione, che la squadra di governo si rinnovi (e Renzi dovrebbe sporcarsi le mani inserendo alcuni dei suoi) e che la nuova road map non sia interrotta da imboscate o choc improvvisi, pena la fine di ogni percorso riformatrice. Pre – condizione, ovviamente, un accordo tra Letta e Renzi che devono mettere da parte i reciproci sospetti e smussare le ambizioni personali per “portare a casa”, nella distinzione dei rispettivi ruoli, un risultato che, allora sì, potremo definiremo storico. E che frutterà ai due una dote politica formidabile.
Nessuno però si illuda: nelle prossime settimane, durante l’iter parlamentare delle riforme costituzionali e dell’Italicum (ora all’esame della Camera, poi toccherà al Senato e, in caso di ulteriori modifiche, tornerà a Montecitorio …è il bicameralismo perfetto, bellezza!), ci saranno nuove polemiche, novità dell’ultim’ora e, magari, qualche colpo di scena. Ma sia chiaro a tutti: è l’ultima chance per fare dell’Italia un Paese un po’ più normale.
di Andrea Pancani
Vicedirettore del Tg La7 e conduttore del programma Omnibus
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