Intolleranza gastronomica

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La cucina italiana di questo scorcio di millennio sta attraversando una fase d’intolleranza gastronomica: il minimo scostamento dalla «tradizione» scatena infatti orde di haters. E poco importa che la vittima di turno sia uno Chef che ha alle spalle decine di anni di esperienza o che questi odiatori seriali ignorino gran parte della storia della cucina.

Ad alimentare questa intolleranza contribuisce, e non poco, la moltiplicazione dei disciplinari di produzione dei nostri piatti tradizionali che finiscono col cristallizzarli nel gusto contemporaneo quasi che per la nostra cucina popolare non ci sia possibilità di evoluzione.

La panna è estranea alla tradizione italiana

Per i nuovi puristi l’uso nei piatti salati della panna di latte sarebbe un ingrediente estraneo alla tradizione italiana: roba anni ’80 o, al massimo, dozzinale francesismo.

Nulla di meno vero.

L’impiego della panna di latte (o fior di latte secondo la dizione secentesca) è attestato nella nostra cucina almeno dalla fine del ‘600 ed è suggerito anche dal napoletano settecentesco Vincenzo Corrado smentendo, peraltro, l’uso tipicamente settentrionale della panna.

Impiegata prevalentemente per legare le salse, la panna trovava uso anche nelle cosiddette farse, i ripieni della pasta fresca, e così Vincenzo Agnoletti, romano di nascita, ma parmigiano di adozione, la inserì ai primi dell’800 anche nei suoi tortellini alla bolognese.

Panna e tortellini sono quindi un abbinamento molto più antico di quanto comunemente si pensi.

Quanto alla panna nella carbonara, oggi ritenuta uno scempio, di diverso avviso dovevano essere Gualtiero Marchesi e Luigi Carnacina che non ebbero remore ad utilizzarla per rendere più cremosa la salsa all’uovo come del resto suggerivano i manuali di cucina del passato.

Sul pesce non va mai il formaggio

Cospargere un piatto di pasta con le vongole con una generosa spolverata di formaggio espone al rischio di essere additati come rozzi e incivili, ma gli scialatielli, la pasta fresca amalfitana che prevede nel suo impasto basilico e pecorino, sono perfetti con le cozze e gli altri frutti di mare, vongole incluse.

Quando e perché sia nata questa incompatibilità tra pesce e formaggio nella cucina italiana non è dato sapere perché nel linguaggio popolare burro e alici sono sinonimi di binomio perfetto, mentre l’abbinamento di pesce e formaggio risale addirittura ad Apicio, col suo piatto di formaggio e pesce salato, e la cucina ebraica italiana prevede i filetti di sogliola ai capperi con burro fuso e fontina.

La cipolla nell’amatriciana

Secondo il relativo disciplinare «La “Amatriciana Tradizionale” a differenza di altre salse analoghe non prevede l’impiego di ingredienti quali aglio cipolla o pancetta utilizzati nella maggiori parte dei condimenti/salse per pasta».

Agli amanti delle sue varianti popolari non resta che ripiegare su denominazioni alternative come «matriciana» e «amatriciana alla romana» e invocare la protezione di Aldo Fabrizi, Ada Boni o Adolfo Giaquinto, che invece la cipolla ce la mettevano eccome.

Il ketchup sulla pasta

Ne «La Cena» di Ettore Scola il capo cameriere Diomede si rifiuta di portare il ketchup ad una coppia di turisti giapponesi che vogliono metterlo sulla pasta. Eppure il ketchup è facilmente riconducibile alla secentesca «salsa alla spagnola» di Antonio Latini che fu uno dei più affermati cuochi napoletani della sua epoca, mentre l’odierna salsa al pomodoro arriverà solo due secoli dopo. La scena del film di Scola realizza un vero e proprio cortocircuito. Da un lato i giapponesi, convinti di condire la pasta con una salsa contemporanea che invece ha duecento anni, dall’altro il capo cameriere che si rifiuta in nome di una «tradizione» che però è assai più recente.

Carne e zucchero

Se vedeste qualcuno cospargere di zucchero un arrosto di carne probabilmente inorridireste.

Eppure l’uso dello zucchero nei piatti salati, soprattutto di carne, è una pratica diffusa nell’Alta Cucina italiana e internazionale ed un genio della cucina come Escoffier, nel dettare la sua ricetta del prosciutto glassato, definiva la caramellatura della carne di maiale cosparsa di zucchero appetitosa e dal sapore molto gradevole.

Il motivo per cui questa pratica non era applicata nella cucina popolare italiana (ma le rape glassate della cucina ebraico-romanesca la prevedono) era esclusivamente economico perché sino alla diffusione, ai primi del ‘900, di quello estratto dalle barbabietole lo zucchero è stato un ingrediente carissimo e raro, spesso sostituito dal più economico miele anche nei dolci.

Nella cucina contemporanea si vanno diffondendo invece i sali bilanciati: miscele di sale e zucchero in proporzione variabile che riducono l’apporto del sale e rendono i piatti più armoniosi.

Qualcuno vi vede un’invenzione contemporanea, ma in realtà sono solo la standardizzazione di una pratica ultracentenaria.

Distinguere il gusto dalla tradizione

Gusto e tradizione in cucina sono mutevoli nel tempo: gli odierni odiatori non difendono realmente la «tradizione», ma il loro gusto personale nobilitato da un passato spesso inesistente o quantomeno più recente di quanto realmente essi suppongono.

In fondo è come la musica in cui ogni sonorità che differisce dal gusto corrente è vista con diffidenza e, in musica come in cucina, tutto si riduce all’assolo di Marty McFly nella famosa scena di «Ritorno al futuro»: «Penso che ancora non siate pronti per questa musica… Ma, ai vostri figli piacerà!».

Foto di Hans da Pixabay

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