
Non è il tempo a mancare, siamo noi a perderlo. Lo rincorriamo, lo misuriamo, lo vendiamo, ma lo viviamo davvero? Seneca ci avvertiva: “Non abbiamo poco tempo, ne sprechiamo molto”. E se la vera trappola fosse proprio l’illusione di averne sempre abbastanza?
Il tempo che possediamo e quello che ci possiede
Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo, eppure lo trattiamo come se fosse infinito, dimenticando che il futuro è solo un’ipotesi e il passato una memoria distorta. Viviamo costantemente in un’assenza di presente, persi tra il rimpianto di ciò che è stato e l’ansia di ciò che sarà.
Sant’Agostino si chiedeva: «Cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se devo spiegarlo, non lo so più». È forse la grande illusione dell’uomo moderno: crede di dominarlo con orologi, agende, scadenze, ma è il tempo a possedere lui.
La nostra società lo ha trasformato in una moneta di scambio: più ne hai, più sei ricco. Ma in questa corsa, più lo rincorriamo, più ci sfugge. Come il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, continuiamo a ripeterci «è tardi, è tardi!», senza chiederci per cosa.
La trappola del tempo produttivo
Nel mondo del lavoro, il tempo è poi un ingranaggio che non si può fermare. Ci viene chiesto di venderlo, di dividerlo in ore, in turni, in slot misurabili, eppure è l’unica cosa che non possiamo mai riavere indietro.
Ci hanno convinto che esista un tempo che vale e uno che non serve a nulla. Il tempo del profitto, del rendimento, del sacrificio, quello sì che ha valore. Ma il tempo del riposo, della riflessione, della semplice esistenza? Quello viene visto come uno spreco, una perdita. E così viviamo nell’ansia di dover sempre fare qualcosa, come se ogni secondo non produttivo fosse un peccato.
A dire il vero, il problema non è avere poco tempo, ma non abitare il tempo che abbiamo. È come possedere una casa e non viverci mai dentro. Ogni istante è una stanza che attraversiamo di corsa, senza fermarci mai abbastanza per sentirne il calore.
Il lavoro moderno è l’esempio perfetto di questo paradosso. Si vendono i minuti della nostra vita “al ribasso”, ma non si tiene conto del fatto che non tutte le ore valgono allo stesso modo. Un’ora passata con chi amiamo non è uguale a un’ora in coda nel traffico. Un’ora di creatività non vale quanto un’ora di alienazione. Eppure, chi paga il nostro tempo lo tratta come se fosse tutto uguale, comprandolo al minimo possibile e pretendendo il massimo rendimento.
E allora, quanto vale davvero il nostro tempo? E, soprattutto, per chi stiamo vivendo le nostre ore?
L’illusione dell’eternità e l’arte dell’ozium
Ci comportiamo come se il tempo fosse infinito, come se la vita fosse una corsa a ostacoli dove la meta si sposta sempre un po’ più in là. «Lavoro ora per godermela dopo», ci diciamo. Ma quel dopo esiste davvero? O è solo una promessa che facciamo a noi stessi per giustificare un presente che non ci appartiene?
Gli antichi Romani avevano una parola per il tempo libero: ozium. Non era il vuoto improduttivo che intendiamo oggi, ma il momento di svago dedicato alla riflessione, alla crescita interiore, alla creazione. Il contrario di neg-ozium, da cui deriva la nostra parola “negozio”, il fare affari, il lavorare. L’ozio era la condizione necessaria per pensare, per essere.
Eppure, oggi l’ozio è quasi un peccato. Se non stiamo facendo qualcosa di utile, se non stiamo producendo, lo stiamo sprecando. Ma cosa succederebbe se invece imparassimo l’arte del dolce far nulla?
Perdere un’ora a contemplare il cielo. A parlare con qualcuno senza fretta. A leggere senza uno scopo preciso. A respirare senza pensare già a quello che dobbiamo fare dopo. A vivere il presente senza essere prigionieri delle scadenze.
Smettere di inseguire il tempo e iniziare a viverlo
Seneca ci ha lasciato un monito che suona più attuale che mai: “Non è vero che abbiamo poco tempo, la verità è che ne sprechiamo molto”. Ma sprecarlo non significa stare fermi. Significa investirlo male, darlo a chi non lo merita, usarlo per cose che ci svuotano invece di riempirci.
Abbiamo paura di fermarci perché pensiamo che il tempo sia qualcosa che va sempre rincorso. Ma la verità è che non scappa. Siamo noi a fuggire da lui.
E allora, forse, la vera libertà non è cercare di possederlo, ma lasciarsi possedere dal momento presente. Perché l’unico tempo che esiste davvero è quello che riusciamo a sentire nelle vene, prima che svanisca per sempre.
Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay
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