Il bicameralismo perfetto va in soffitta. Referendum permettendo

boschirenziLa Camera dei Deputati ha approvato il testo definitivo della riforma costituzionale che trasforma il sistema parlamentare italiano in bicameralismo imperfetto. La riforma ha avuto un iter complesso, per la natura “rigida” della nostra Costituzione che richiede l’approvazione da parte delle due Camere dello stesso testo in due sedute differenti, trascorso un periodo di riflessione di almeno tre mesi; inoltre, poiché il Senato della Repubblica aveva emendato il testo approvato in prima lettura dalla Camera, quest’ultima ha dovuto pronunciarsi nuovamente. Per cui, alla fine, le “letture” della proposta di riforma sono risultate sei. 

La modifica principale, al sistema costituzionale introdotto nel 1947, è quella che abolisce il bicameralismo perfetto, cioè la presenza contemporanea di due camere (Camera dei Deputati e Senato) con le stesse funzioni ed elette nello stesso modo. La recente la modifica, infatti, attribuisce alla sola Camera dei deputati il potere di accordare o revocare la fiducia al governo in carica; pone – soprattutto – il Senato in posizione subordinata nel processo di formazione delle leggi, in quanto sarà titolare esclusivamente di un blando potere di veto sospensivo sulle leggi approvate dalla Camera dei Deputati. Ciò colloca l’Italia in linea con le altre democrazie parlamentari europee, nell’ambito delle quali nessuna prevede il bicameralismo perfetto.

La riforma, inoltre, riduce il numero complessivo dei parlamentari (in precedenza 945, oltre ai senatori a vita), con riduzione dei costi a carico del bilancio dello Stato. Il numero dei senatori eletti, infatti, da 315 passa a soli 95 e il sistema di elezione è radicalmente modificato. I rappresentanti della Camera alta, infatti, non saranno scelti direttamente dal popolo ma tra i consiglieri regionali e i sindaci delle maggiori città, senza aggravio di costi a carico dello Stato. Per tale motivo, la durata del mandato dei senatori è collegata a quella dell’istituzione di provenienza.

Poiché la riforma abolisce la potestà del Presidente della Repubblica a sciogliere il Senato (gli rimane quella di sciogliere anticipatamente la Camera dei Deputati, rispetto al termine di cinque anni), il Senato si configura, quindi, come un organo permanente i cui componenti ruotano nel tempo. Resta ferma la competenza del capo dello Stato a nominare cinque senatori (in aggiunta ai 95 eletti), non più a vita, ma in carica per una durata di sette anni.

Proprio per la sue nuove modalità di elezione, il Senato non rappresenterà più il popolo italiano nel suo complesso ma le istituzioni territoriali dello Stato ed eserciterà solo funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Nell’iter di esecutività delle leggi, è stata introdotta la facoltà del Presidente della Repubblica di richiedere un giudizio di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale – le cui prerogative, in tal settore, risultano accresciute – prima della promulgazione. Resta immutata la procedura di modifica della Costituzione che pertanto, continuerà a richiedere due approvazioni dello stesso testo legislativo costituzionale, sia da parte della Camera che del Senato.

Novità ci sono, inoltre, nel procedimento di elezione del Presidente della Repubblica. Dopo il terzo scrutinio, non sarà più sufficiente la maggioranza assoluta dell’assemblea, per eleggere il Capo dello Stato, ma i tre quinti della stessa. Dopo il sesto infruttuoso scrutinio, basteranno i tre quinti dei votanti. Riduzioni del quorum sono invece previste per la validità dei referendum abrogativi: non più la metà più uno degli aventi diritto ma la metà più uno dei votanti delle precedenti elezioni politiche.

Oltre alla fine del bicameralismo perfetto, l’altra caratteristica principale della riforma è la netta separazione tra le competenze legislative regionali e quelle statali, eliminando la legislazione concorrente Stato-regioni prevista nella Carta del 1947 e accresciuta con la riforma costituzionale del 2001. Tale operazione è stata effettuata riaccentrando allo Stato le materie concernenti la sicurezza, l’energia e il governo del territorio. Anche nelle materie di competenza regionale, tuttavia, lo Stato potrà legiferare quando ritiene che ricorra l’esigenza di una disciplina unica (cosiddetta “clausola di supremazia”). La riforma costituzionale, infine, abolisce definitivamente le province e il CNEL, ritenuti “enti inutili” e costosi.

E’ sicuramente una riforma costituzionale corposa, quella recentemente adottata dal Parlamento, che produrrà sicuramente uno snellimento dei tempi nell’iter di approvazione delle leggi e una chiarezza sulle competenze dei vari organi costituzionali e territoriali della repubblica. Anche l’eliminazione delle province costituisce una vera “rivoluzione” nella concezione stessa dello Stato italiano e delle sue autonomie territoriali.

Poiché, tuttavia, nelle ultime letture del suo iter di approvazione, la modifica costituzionale non ha conseguito la maggioranza qualificata dei due terzi degli aventi diritto, essa sarà soltanto pubblicata ma non promulgata. Entro sei mesi, infatti, dovrà essere indetto il referendum confermativo (di cui è già stata preannunciata la richiesta da più parti), con il rischio di azzerare tutto l’iter percorso e di ricominciare da capo. Un’evenienza già verificatasi nel 2006 su un progetto presentato dal centro-destra e che, a differenza dell’attuale, accresceva le competenze regionali, pur mantenendo ampi spazi alla legislazione concorrente.

di Federico Bardanzellu

foto: adnkronos.it

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