Gli anagrammi di Galileo

galileo-galileiIl 15 febbraio 1564 nasceva uno dei più grandi astronomi della storia, ovvero Galileo Galilei. Oltre alle sue innegabili competenze nel campo scientifico, il genio pisano fu noto per i suoi “viaggi” nel mare magnum dell’Inquisizione, di cui aveva compreso la pericolosità.

Il rogo era sempre pronto ad accogliere quanti intendessero confutare antiche teorie bibliche, secondo cui la terra era al centro dell’universo e Galileo era uno di essi.

Il primo ad insinuare dubbi sulla teoria geocentrica fu l’astronomo polacco Nicola Copernico (1473-1543) che nell’opera “ Nic. Copernico de hypothesibus motuum caelestium a se costituitis commentariolus” ipotizzò che il sole si trovasse al centro dei pianeti e che fosse dunque il vero fulcro del sistema solare.

La tesi venne subito sposata da Galielo e Keplero, ma poiché erano notorie le persecuzioni a danno degli “eretici” , l’astronomo pisano escogitò un sistema di comunicazione criptata per gli scambi epistolari con Giovanni Keplero (1561- 1636).

L’EPISTOLA SEGRETA: L’ANAGRAMMA

img0704La prima missiva era un’incomprensibile sequenza di 37 lettere, anagramma della frase che annunciava la sua ultima scoperta astronomica: “smaismrmilmepoetaleumibunengttaurias”.

La soluzione dell’anagramma doveva essere “Altissimum planetam tergeminum observavi” ovvero: “Ho osservato il pianeta più alto triplicato”.

All’epoca, il pianeta “più alto” (più lontano) conosciuto era Saturno, che si mostrava al telescopio con qualcosa di strano ai bordi (le due anse degli anelli). Galileo lo aveva visto “triplicato” perché il suo cannocchiale non era abbastanza potente da risolvere l’immagine degli anelli da quella del pianeta, con il risultato che talvolta Saturno gli appariva come fosse fatto di tre sfere parzialmente sovrapposte

Il tedesco, famoso per le sue abilità enigmistiche, rispose “Salve, umbistineum Geminatum Martia proles!” che significa “Salve, furiosi gemelli, prole di Marte”.

Keplero intuì che Galileo aveva scoperto un paio di satelliti di Marte. Cosa che noi sappiamo essere del tutto impossibile per i telescopi dell’epoca (non per nulla furono trovati solo nel 1877).

In data 11 dicembre 1610 Galileo inviò un’altra lettera a Keplero, per mano di Girolamo de Medici (1574 – 1636) al tempo ambasciatore a Praga del Granduca di Toscana.

Nella missiva comunicò al collega una scoperta sensazionale con una frase latina in codice: “Haec  immatura a me iam frustra legantur o, y”. Keplero rispose con “Macula rufa in Iove est gyratur mathem, ecc”. ovvero: “C’è su Giove una Macchia Rossa che gira in modo matematico, ecc.”

Si tratta di intuizioni davvero singolari per l’epoca, visto che non vi erano ancora mezzi tanto potenti da poterne accertare la veridicità. Ricordiamo infatti che questa caratteristica gioviana fu osservata (da Giovanni Domenico Cassini, o forse anche dall’inglese Robert Hooke) soltanto a partire dal 1666.

Poiché Keplero non era riuscito a decifrare il senso della frase, la soluzione dell’anagramma gli venne inviata con un’altra missiva, il primo gennaio del 1611. Anche in questo caso si trattava di una frase scritta in latino: “Cynthia figuras aemulatur mater amorum”, che in italiano significa “ la madre degli amori imita le figure di Cinzia”.

SIGNIFICATO NASCOSTO

Nel 1610 Galileo aveva osservato che Venere, la madre degli amori,  presentava delle fasi proprio come Cinzia, l’antico nome della Luna. Aveva dunque scoperto che Venere non era una stella, ma un pianeta e che presentando fasi simili a quelle lunari necessariamente orbitava attorno al sole, confermando e dimostrando di fatto la veridicità della teoria eliocentrica copernicana.

Se avesse rivelato l’epocale scoperta, rivendicandone ila paternità, Galileo sarebbe certamente stato processato dalla Santa inquisizione, pertanto architettò il metodo di codifica dei messaggi.

Fu talmente bravo che tuttavia Keplero non riuscì a decifrarne i contenuti. Così, tre delle sue brillanti intuizioni non vennero recepite dal collega. Nonostante l’accortezza, Galileo fu condannato a morte dal Sant’Uffizio il 22 febbraio del 1633, pena commutata in confino dopo la ritrattazione delle sue teorie astronomiche.

Il destino beffardo volle che l’uomo che vide più lontano morisse cieco ad Arcetri  nel 1642.

di Simona Mazza

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