Fakhreddine Khotbi: i miei diritti violati

Fakhreddine vive a Tozeur, sud-ovest della Tunisia, ha 28 anni ed un appello da diffondere: che sia fatta salva la sua libertà di espressione e d’informazone.

L’appello

“Sono un cittadino tunisino, vivo a Tozeur, sud-ovest della Tunisia. Ho lavorato come giornalista per una stazione radio locale e sono un cittadino socialmente attivo. Sono stato umiliato e perseguito politicamente dalle autorità tunisine senza una vera ragione. Ho perso la mia dignità, sono stato ferito psicologicamente e fisicamente. Pochi mesi fa sono stato colpito con un coltellino e preso a bastonate da uno sconosciuto, sono salvo per miracolo; dopo essermi ripreso scoprii di essere stato citato in tribunale per aggressione, nel frattempo hanno anche minacciato il mio avvocato. Ho fatto appello al tribunale per poter essere ascoltato, ma il mio caso viene ripetutamente posticipato. Non mi sento più al sicuro nel mio paese. Mi appello alla vostra umanità, vi chiedo di aiutarmi, firmate la mia petizione e divulgate la mia storia” ( 22 febbraio 2019, piattaforma di petizioni online ‘GoPetition’).

I fatti

“Nel marzo del 2017 appresi, lavorando come giornalista, di alcune truffe ai danni della città di Tozeur da parte dei ministri dell’agricoltura e del turismo tunisini: si trattava dell’appropriazione indebita di un’importante somma di denaro destinata ad un’opera di bonifica di vecchie oasi presso la regione, grazie alla quale alcune comunità di agricoltori avrebbero trattato grande beneficio.
Feci fin da subito quello che il mio lavoro mi richiedeva di fare: cercai di capire la realtà delle cose, ne parlai con i miei colleghi giornalisti e chiesi delucidazioni al rappresentante del Ministero preposto all’ambito agricolo. Ebbi presto conferma del marcio burocratico e politico quando provarono dapprima a corrompermi, per poi passare alle minacce e alle maniere forti, come i diversi strattoni che mi diedero alcuni dei loro poliziotti. Una firma del giudice permise il loro operare indisturbato, nonché di mettere a tacere una vera e propria violazione dei miei diritti. In questo modo, da allora, io sono diventato un nemico dello stato, un cittadino sotto sorveglianza, tenuto sotto controllo, seguito e, se necessario perseguito”.

“Oggi ho paura”

Fakhreddine ha 28 anni e la sua vita da uomo libero ed appassionato giornalista è ormai un lontano ricordo. “Da più di due anni le autorità tunisine interferiscono per porre fine alla mia carriera, minacciano e danno istruzioni a stazioni radio, riviste e tv locali, impedendo una mia potenziale assunzione. Non sono più in grado di condurre una vita normale, ho paura di camminare da solo per le strade della città in cui sono nato e cresciuto; sono stato deriso, minacciato, preso a bastonate. Una volta mi è stato conficcato un coltello nella gamba”. Fakhreddine mi mostra il referto ospedaliero della tomografia cerebrale che gli hanno effettuato in seguito al colpo in testa: priorità urgente, ma fortunatamente l’esame non riporta alcuna lesione al cervello”.

Ha provato a chiedere aiuto, ha contattato centinaia di persone, provando anche a raggiungere importanti organizzazioni. “E’ assurdo, ciò che manca per far si che la mia situazione venga presa in seria considerazione da parte delle organizzazioni è la conferma del mio status di ‘cittadino sotto sorveglianza’ da parte delle autorità tunisine, le stesse che si preoccupano di negare la propria responsabilità”.

La richiesta di aiuto

Amnesty International sostiene da tempo la sua petizione, in particolare la sezione tedesca Amnesty International Cuxhaven. “Ho persino provato a chiedere asilo in Europa, presentando la mia domanda l’ambasciata in Svizzera, ma questa è stata rifiutata perché ritengono (cita testualmente mostrandomi il documento) che la mia situazione di pericolo non sia tale da richiedere l’intervento delle autorità svizzere. Ho presentato la mia domanda anche presso l’ambasciata tedesca in Tunisia, sperando di poter spiegare personalmente la mia situazione, tuttavia si sono rifiutati di ricevermi anche solo per un minuto, sia come giornalista e cittadino tunisino,  che come membro di Amnesty, con tanto di prove alla mano”.

Fakhreddine è solo, ma non il solo

“Questa è la realtà, ma non riguarda solo la mia persona. Sono molti i cittadini ed i giornalisti che subiscono simili trattamenti: le autorità svuotano di fatto i nostri diritti, in particolare quello alla privacy, privandoci della possibilità di vivere come cittadini liberi. Credo che un giornalista in Tunisia possa svolgere il proprio lavoro tranquillamente a patto che lo faccia a metà: raccontare una verità a metà, raccontarla solo se priva di scomodità, raccontare il bello, evitando di raccontare il marcio, applaudire, sorridere e ringraziare. Raccontare una verità scomoda significa andare incontro anche ad una vita scomoda, correndo il rischio di perdere il loro beneplacito e con esso la garanzia della salvaguardia dei propri diritti, in cambio del carcere o della persecuzione politica”.

Cosa avviene in Tunisia?

“Ad essere sinceri dopo la rivoluzione avvenuta tra il 2010 ed il 2011, eravamo ottimisti, la fine della dittatura, la costruzione di un nuovo paese, un paese costrito nel rispetto della legge, di tutti i diritti, civili e politici, un paese nel rispetto delle libertà, individuali e collettivi. Purtroppo i fatti rivelano che solo le maschere in realtà hanno perso la propria funzione, nell’essenza nulla è cambiato: stessi imbrogli burocratici, la corruzione dilaga, e la mafia è inarrestabile. Questa è solo una mia percezione, forse anche per quello che sto vivendo e vedendo, ma credo che in generale la situazione dei diritti umani sia addirittura peggiore di prima. Loro possono fare qualsiasi cosa corrompendo o minacciando”.

Oggi in Tunisia, purtroppo, continuano gli abusi del passato: la tortura, secondo i gruppi non governativi tunisini, è ancora “diffusa, in tutte le sue manifestazioni”. Sebbene in misura minore rispetto a prima, lo stato limita ancora le libertà civili – per esempio, perseguendo e in alcuni casi incarcerando blogger e rapper per discorsi pacifici ai sensi di leggi che non sono state riformate.

Spero di tornare presto alla mia vita

“Oltre ad essere un giornalista, sono anche membro di Amnesty International ed opero attivamente nella mia città; io ho il diritto ed il dovere di capire ed informare sui casi di violazione dei diritti umani. L’ho fatto diverse volte, e con il mio lavoro di giornalista ho sempre sentito mio l’interesse ed il piacere di concentrarmi su tutto ciò che di positivo e di bello avviene nel mondo e nella mia città, ma non posso fare a meno di dire la verità ed individuare casi di oppressione o di ingiustizia. Quando lo fai, diventi un nemico dello stato.

La petizione è la mia unica speranza: raccogliendo il numero di firme necessario posso inviare una lettera aperta alle Nazioni Unite e all’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) in Svizzera e pregarli di aiutarmi in qualche modo. Ho raccolto 150 firme, ma devo raggiungerne 1000″.

“Parlate di me”

“Hanno preso i miei diritti e distrutto il mio futuro. Chiedo solo di tornare ad essere libero, poter lavorare e tornare a vivere la mia vita come un normale cittadino”.

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