Etruschi. L’enigma delle loro origini rappresenta uno dei problemi più dibattuti dell’archeologia. Nell’antichità era accettata praticamente senza obiezioni la fiabesca versione che fornì Erodoto, il “padre” della storia. Lo storico greco, infatti, riporta che al suo tempo (V secolo a.C.) la popolazione della Lidia pretendeva di aver colonizzato la regione costiera del mar Tirreno. Ciò sarebbe avvenuto sotto il regno di un certo re Atis, figlio di Mane. Questi, poiché il paese era stato colpito da una carestia, avrebbe ordinato a suo figlio Tirreno di prendere il mare con metà della popolazione, per colonizzare nuove terre.
«Dopo aver oltrepassato molti popoli – prosegue Erodoto – essi giunsero, infine, al paese degli umbri, dove fondarono città ed abitano anche oggi. E da allora non si chiamano più lidi, ma tirreni, dal nome del figlio del re che li aveva guidati» [1]. Poi il nome di tirreni è stato trasformato dai latini in “tusci”, per divenire infine quello di “etruschi”.
Prima degli etruschi, i villanoviani e i “protovillanoviani”
Gli archeologi (o meglio i “paletnologi”) del novecento la vedono in maniera più complessa. Tra il 1175 e il 960 a.C. si sarebbe diffusa in tutta la penisola una cultura detta “protovillanoviana”. Con questo singolare nome si indica una popolazione proveniente dall’Europa centrale e danubiana. Costoro adottavano il rito crematorio per venerare i loro defunti. Gran parte degli archeologi sostengono l’ipotesi che, oltre al rito crematorio, la cultura protovillanoviana abbia introdotto in Italia anche la lingua indoeuropea. Tra costoro vi è Massimo Pallottino[2], Marija Gimbutas [3]e l’antropologo David W. Anthony [4]. Doveva trattarsi di una lingua indoeuropea del gruppo occidentale detto kentum, da cui deriva la maggior parte delle lingue europee attuali [5]. Nel prosieguo si vedrà come le analisi genetiche abbiano confermato tale ipotesi.
Intorno al 900 a.C. nell’area poi abitata dagli etruschi (Lazio, Toscana parte della Campania ed Emilia-Romagna), subentra la cultura “villanoviana”. Anch’essa è portatrice del rito crematorio. Nella seconda metà dell’ottavo secolo a.C. il quadro cambia di nuovo. Sorge una monumentale architettura funeraria. Accanto al rito incineratorio prende sempre più piede quello inumatorio. Gli imponenti tumuli mostrano una sbalorditiva somiglianza con quelli dell’Asia Minore (antica Lidia). Le tombe a camera sono dipinte e contengono innumerevoli tesori di gioielleria antica. Appaiono oggetti di importazione come gli avori e le uova di struzzo. Nasce la tecnica architettonica dell’arco. Niente di tutto ciò si era visto nei poveri villaggi villanoviani e tra i loro tristi arredi funerari.
Gli archeologi dell’800 integrarono poi il racconto erodoteo con alcune considerazioni sulla lingua. L’etrusco era diverso dal latino, sicuramente di origine indoeuropea. Si giunse alla conclusione che l’etrusco avesse un’origine diversa, genericamente “mediterranea”. Tutto faceva supporre quindi l’arrivo di un nuovo popolo, in sintonia con quanto riferito da Erodoto. Negli anni trenta del ‘900, però, la tesi dell’origine orientale degli etruschi fu messa in discussione. Prevalse la tesi di Massimo Pallottino.
Analisi genetiche e loro esatto significato
Secondo Pallottino i popoli dell’Italia antica, compreso, quindi, quello etrusco, vanno considerati non più come entità predeterminate nel tempo e nello spazio. Bensì piuttosto come il punto di arrivo di una lunga e complessa “vicenda di formazione” [6]. Insomma, per Pallottino, gli etruschi del 700 a.C. altri non erano che i villanoviani evoluti e civilizzatisi quasi all’improvviso. Pallottino e i suoi discepoli, tuttavia, mantennero la tesi della “diversità” della lingua etrusca”. Continuarono cioè a non considerarla di origine indoeuropea.
Sinché, alla fine del XX secolo, fu possibile eseguire le più moderne analisi della genetica. Uno studio delle Università di Firenze, Jena e Tubinga, ha coinvolto ricercatori provenienti da Italia, Germania, Stati Uniti, Danimarca e Regno Unito. Si è proceduto all’analisi del genoma di 82 individui vissuti in 12 località dell’Italia centrale e meridionale dopo l’800 a.C. Ebbene, lo studio pubblicato su “Science Advances” non ha trovato, particolari differenze genetiche tra gli individui esaminati e le attuali popolazioni europee. In sostanza non sono emerse prove genetiche di una loro provenienza orientale.
In realtà, tale risultato, anziché chiarire il problema, lo ha complicato. “Science Advances”, infatti, non riesce a spiegarsi come mai questi individui, geneticamente affini al resto degli italici parlassero l’etrusco. Gli italici e i latini, come detto, parlavano una lingua indoeuropea del gruppo kentum, derivata dai loro antenati “protovillanoviani”. Quella degli etruschi sembra appartenere a una diversa famiglia linguistica. A nostro parere la risposta non è poi così difficile.
Gli etruschi, una civiltà introdotta da un’élite
La lingua etrusca non può che essere stata diffusa in Italia da parte di un’élite. Il DNA dei loro diffusori – probabilmente i “tirreni” del racconto di Erodoto – sfugge ancora alle analisi. Tale fenomeno è già ampiamente riscontrato e documentato da altre analisi paleogenetiche. L’esempio più vicino è la Sardegna dopo la conquista romana. Non sono emersi nelle analisi del DNA dei sardi attuali apporti genetici dei conquistatori romani, eppure gli autoctoni ne hanno interamente adottato la lingua, cioè il latino. Questo perché il DNA delle élites provenienti dall’esterno di un territorio si confonde nel mare magnum del genoma degli autoctoni. La diffusione della lingua della popolazione dominante, invece, procede autonomamente.
Anche in Etruria, quindi, ci deve essere stata una penetrazione di élites. Un ceto imprenditoriale e una classe di sacerdoti e sacerdotesse proveniente dall’oriente. Un’élite maggiormente organizzata e più civilizzata che ha imposto la propria lingua agli autoctoni “villanoviani”. Un’aristocrazia, cioè, che non ha avuto bisogno di imporsi anche dal punto di vista etnico. Ma solo grazie alla sua civiltà più evoluta. Il genoma rilevato dalle analisi invece non può che essere derivato dai discendenti dei “protovillanoviani” e dei villanoviani.
[1] Erodoto, I, 94.
[2] Massimo Pallottino, Etruscologia, p. 40.
[3] Marija Gimbutas, Bronze Age cultures in Central and Eastern Europe, Berlino, Boston, De Gruyter Mouton, 1965, pp. 339-345.
[4] David W. Anthony, The Horse, the Wheel, and Language, Princeton, Princeton University Press, 2007, p. 367.
[5]Claudio De Palma, La Tirrenia Antica, Vol. I, Sansoni, Firenze, 1983, p. 257.
[6] Massimo Pallottino, Genti e culture dell’’Italia preromana, Roma, 1981, p. 17.
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Grande confusione e le solite forzature, che Etruschi siano una civiltà introdotta da un’élite è ormai da considerarsi fantarcheologia, fantalinguistica e fantagenetica. È in pieno contrasto non solo con questo studio genetico menzionato, ma pure con le conclusioni di antropologia, archeologia e linguistica. La Tirrenia Antica di De Palma è un bel fantasy, niente di più. Falso che l’arrivo dei Tirreni sia già ampiamente riscontrato e documentato da altre analisi paleogenetiche. Non esiste una sola ricerca sul DNA antico che lo abbia documentato. Questo studio dimostra quanto sostiene archeologia da anni, Etruschi simili geneticamente ai Latini ed erano il risultato delle migrazioni dell’età del bronzo di lingua indoeuropea dall’Europa centrale verso l’Italia con lo strato paleoeuropeo presente in Europa dal neoliitico. Prove dell’arrivo di una elite dall’esterno non sono mai state trovate. Migrazioni dal Mediterraneo orientale ci saranno solo in epoca romana imperiale e non riguardano gli Etruschi ma la natura cosmopolita di Roma in epoca imperiale.
Gentile lettore, nell’articolo non c’è scritto “che l’arrivo dei Tirreni sia già ampiamente riscontrato e documentato da altre analisi paleogenetiche”. Si sostiene invece che: “Non sono emersi nelle analisi del DNA dei sardi attuali apporti genetici dei conquistatori romani, eppure gli autoctoni ne hanno interamente adottato la lingua, cioè il latino”. E’ vero che, come Lei afferma, “Non esiste una sola ricerca sul DNA antico che … abbia documentato” l’arrivo di élites. Per il semplice motivo, come da me affermato, che “il DNA delle élites provenienti dall’esterno di un territorio si confonde nel mare magnum del genoma degli autoctoni”. Non vedo quindi il contrasto con lo studio di cui si fa riferimento. Semplicemente non poteva – essendo tra l’altro abbastanza ristretto – rilevare altri apporti genetici di quelli che sono emersi. In ogni caso i contributi di qualunque lettore sono i benvenuti ma espressioni come “fantarcheologia, fantalinguistica e fantagenetica” sembrano più consoni a un bullismo da tastiera piuttosto che all’interno di opinioni espresse da un esperto della materia come Lei dimostra di essere.
Dimenticavo. Ritenere un bel “fantasy” l’opera più importante di Claudio De Palma è forse anche questo un po’ “sopra le righe”. Le leggo il curriculum dell’autore riportato nel testo: Professore di etruscologia all’Università Internazionale dell’Arte di Firenz e al Middlebury College del Vermont (USA), Ispettore onorario alle antichità di Firenze dal 1959, Presidente della Società italiana di archeologia mediterranea, accademico d’onore dell’Accademia delle arti e del disegno, membro dell’Istituto per la Storia e l’archeologia della Magna Grecia, partecipante ad attività di ricerca archeologica e a missioni scientifiche in Italia e all’Estero. Cordialmente
Claudia De Palma era un giornalista e uno dei tanti tutor degli studenti stranieri nelle tante università straniere a Firenze, non aveva alcuna qualifica accademica, e che la sua opera non goda di credito è un dato di fatto. Non si può usare questa ricerca genetica per tirare fuori per l’ennesima volta la favola dell’elite che avrebbe imposto la lingua, dato che questa ricerca dimostra che questa elite non è mai esistita. Prima o poi bisogna farsene una ragione, gli Etruschi erano europei, persino più europei degli italiani moderni, non si svilupparono grazie all’arrivo di una elite, la loro lingua era antichissima già presente dal neolitico e migrazioni dal Mediterraneo orientale ci saranno solo a partire da epoca romana imperiale e non riguardano gli Etruschi ma la natura cosmopolita di Roma in epoca imperiale.
[…] politiche dominanti e la lingua ufficiale da loro imposta. Il problema della diversità della lingua degli etruschi, per ammissione degli stessi genetisti, infatti, non è stato risolto nemmeno dalle loro ricerche. […]