Domenico Sica un magistrato nei “misteri d’Italia”

domenico-sicaDomenico Sica, ex magistrato e Alto Commissario Antimafia, è morto martedì mattina a Roma. Uno dei magistrati italiani che per anni fu al centro di tante importanti inchieste.  

Proprio per questa sua presenza, le lingue malevole lo soprannominarono: «Nembo Sic», «Giudice unico», «Assopigliatutto», «Rubamazzo».

Iniziò la sua carriera romana con una indagine che fece tremare i salotti bene della Roma anni sessanta. L’inchiesta “Number One” prese il nome da un noto locale notturno, frequentato da attrici e attricette, play boys  e giovani scapestrati imparentati con nomi altisonanti  della “Roma bene”, il tutto legato a traffici di cocaina.

Nel ‘73, ci fu il «rogo di Primavalle», atroce episodio di violenza nel quale perirono i due figli del segretario di una sezione Msi nel quartiere di Primavalle a Roma.

Sica individuò i responsabili negli ambienti della sinistra extraparlamentare, e pur con contorte dinamiche processuali, tra assoluzioni e condanne, si dimostrò che i colpevoli erano loro e che Sica aveva visto giusto.

Erano anni duri a Roma, tra violenti scontri di piazza con la polizia, agguati, ferimenti, omicidi giustificati solo dal far parte di gruppi di destra e la sinistra.

Nel frattempo si consolidavano le colonne clandestine del terrorismo. Le Br che iniziano ad organizzarsi, tra un omicidio e un ferimento, fino a mettere in atto il sequestro dell’Onorevole Moro.

Ma accanto alla politica e al terrorismo, Roma registrava una complessa attività della grande criminalità organizzata, il clan dei marsigliesi, i sequestri di persona, le prime avvisaglie dell’arrivo della camorra e della mafia sul territorio romano.

Indagini a cui Sica partecipò attivamente.

E poi Sica indagò su quelle inchieste che hanno preso nome come “misteri d’Italia” una fila sterminata, dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, alla loggia P2, l’attentato al Papa, la morte di Sindona.

Nel 1982 con l’omicidio a Palermo del Generale Alberto Dalla Chiesa viene Istituito “Alto Commissario per la lotta alla mafia”.

I primi responsabili provengono dagli alti gradi del Ministero dell’Interno, ma nel 1988 è Domenico Sica a prenderne la Direzione. Per la prima volta un magistrato assume i compiti che per legge erano esclusivamente demandati al Prefetto.

Questa nomina porta Sica ad uno scontro con Giovanni Falcone scatenando aspre polemiche.

La nomina di Falcone come responsabile dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo era stata bocciata dal CSM, e quindi si pensava che, magistrato per magistrato, chi meglio di Falcone avrebbe potuto assumere la direzione dell’Alto Commissariato per la Lotta alla Mafia?

Come si sa la storia andò diversamente in modo pilatesco, si scelse si un magistrato ma non Falcone. L’incarico venne dato a Sica.

Sotto la sua direzione si scatenò la polemica sul “Corvo di Palermo”.

Alcune lettere anonime arrivarono a Cossiga, alla Commissione Antimafia, alle segreterie dei partiti e ai giornali rivelando un fatto inquietante.

Un gruppo di magistrati e poliziotti, avrebbe dato “licenza di uccidere” al pentito Totuccio Contorno, per colpire i capi della mafia vincente, ovvero i corleonesi di Totò Riina.

I riscontri sembravano esserci, visto e considerato che alcuni mafiosi importanti facenti parte della mafia vincente, erano stati uccisi in quel periodo.

Anni dopo le inchieste smentiranno definitivamente la teoria del “corvo”.

La storia dei “corvi” contrassegnerà molti degli eventi palermitani, basti pensare a quelle arrivate prima della morte di Borsellino.

Sica con un gioco investigativo, sospetta di un magistrato della Procura Antonio Di Pisa e invitandolo al bar, gli prende le impronte digitali sequestrando un tazzina di caffè in cui Di Pisa aveva bevuto. Le indagini sembrarono dimostrare che quelle del “corvo” e quelle di Di Pisa corrispondevano.

In realtà anni dopo, Di Pisa fu scagionato. Le impronte non potevano dimostrare con certezza che fossero di Di Pisa. “Veleni palermitani”, che ancora oggi continuano a intossicare la lotta alla mafia.

Dopo questa esperienza Sica si allontana dalle cronache. Finirà la sua carriera come Prefetto di Bologna. Non rilascerà mai nessuna intervista, non scriverà libri, non racconterà nessun particolare della sua attività investigativa. Resterà in silenzio fino alla morte, portando con sè qualche segreto dei “Misteri d’Italia”. Segreti che negli anni sono rimasti tali.

di Gianfranco Marullo

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