«Scotti! Gli spaghetti sono scotti», sentenziava Raffaella Pavone Lanzetti in «Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto» mortificando il povero marinaio Gennarino Carunchio.
La cottura: il momento della verità per chi cucina, perché puoi aver preparato la ricetta migliore del mondo, ma se sbagli cottura è la fine.
La cucina deve il suo nome al cuocere: «culinam veteres coquinam dixerunt quia ibi colebant ignem» (Gli antichi chiamavano la cucina cucina perché lì adoravano il fuoco) affermava Varrone.
È il dominio del fuoco: un problema che la specie umana ha iniziato a porsi sin dalla sua scoperta, il nostro più grande salto evolutivo.
Bruciato fuori, crudo dentro
La cottura, che si può definire anche come l’esposizione controllata di un alimento ad una fonte di calore, oltre a sanificare gli alimenti, ha lo scopo di renderli commestibili e digeribili, affinché il nostro corpo li trasformi in nutrimenti, e gradevoli ai nostri sensi.
Con le attuali cognizioni scientifiche sappiamo che il calore si trasmette in tre modi: per conduzione quando ne avviene il trasferimento per contatto da una fonte di calore, per convezione, quando il calore si trasmette mediante un fluido come l’aria, l’acqua o una materia grassa liquida, e per irraggiamento per esposizione alle onde elettromagnetiche emesse dalla fonte di calore.
Nella cottura si ha una combinazione dei tre modi di trasmissione del calore mediata da uno strumento di cottura che può essere una griglia, una teglia o una pentola che servono appunto, assieme alla regolazione dell’intensità del calore, a gestire l’esposizione dell’alimento al calore perché un alimento posto a diretto e prolungato contatto con una fonte di calore carbonizza.
Occorre anche tener conto della struttura dell’alimento e della sua composizione che influiscono sulla trasmissione del calore (conducibilità termica) dal suo esterno al suo interno.
Un taglio di carne ad esempio è composto, in misura variabile, da tessuto muscolare striato, da tessuto adiposo e da tessuto connettivo i quali hanno conducibilità termica e si modificano a temperature differenti.
Ecco perché quando cuociamo una bistecca su di una griglia rischiamo di bruciarla fuori ed averla ancora cruda dentro.
La struttura dell’alimento determina anche la scelta del modo migliore per cuocerlo: per concentrazione, quando vogliamo trattenere i liquidi all’interno dell’alimento (come nella carne alla griglia o in un bollito), per espansione, quando vogliamo estrarre le sostanze nutritive da un alimento (come nel caso del brodo) o mista quando le due operazioni: concentrazione ed espansione, si alternano, come nel ragù.
L’arrostimento e la bollitura
L’arrostimento, la cottura per conduzione ed irraggiamento, e la bollitura, cioè l’immersione in un liquido bollente che, per convezione, trasforma integralmente l’alimento, sono i due sistemi di cottura più antichi.
Indispensabile per cuocere anche gli alimenti più coriacei, i legumi ed i cereali, la bollitura è declinata ancestralmente al femminile ed è contornata di elementi esoterici e alchemici: la strega cattiva delle fiabe ha sempre un paiolo sul fuoco in cui bollono sostanze misteriose.
Myriam, sorella di Mosè, era un’alchimista e da lei ha preso il nome quella cottura detta «a bagnomaria» che rappresenta una delle evoluzioni della bollitura visto che tra l’acqua bollente e l’alimento da cuocere è interposto un altro recipiente più piccolo che viene riscaldato dall’acqua stessa e trasmette il calore per convezione.
Un’altra evoluzione della bollitura è la stufatura che sfrutta, in un recipiente chiuso come la pentola tajine marocchina, i liquidi presenti nell’alimento.
La frittura
La frittura, che nell’Antica Roma è arrivata dall’estremo oriente mediata prima dagli Egizi e poi dai Greci, è la naturale evoluzione della bollitura con la sostituzione, per la sua maggiore conducibilità del calore, di una materia grassa liquida e bollente (olio vegetale o grasso animale) all’acqua o al brodo.
A differenza dell’acqua, la materia grassa si altera con l’esposizione al calore fino a raggiungere il suo «punto di fumo» cioè la temperatura, variabile da materia grassa a materia grassa, oltre la quale essa produce una sostanza volatile tossica per l’organismo umano: l’acroleina.
Affumicatura e cottura al vapore
A metà tra una tecnica di conservazione e la cottura, l’affumicatura, che determina un significativo abbattimento della carica batterica, si giova della combustione del legno non resinoso i cui fumi vengono convogliati in un apposito ambiente, l’«affumicatore», in cui ne viene gestita la temperatura che può andare dai 26° (affumicatura a freddo) ai 90° (affumicatura a caldo).
La cottura a vapore, invece, tipica della cucina orientale, si giova dell’evaporazione di un liquido (acqua e brodo) e, oltre che nelle «vaporiere» a cestelli impilati, può essere effettuata in forno ed è anche una delle tecniche accessorie della panificazione.
Un ponte tra sapienza popolare e scienza
Oggi non ci stupisce che la cottura sia oggetto di ricerca scientifica: da Pierre Gilless de Gennes a Giorgio Parisi, Premi Nobel per la Fisica, da Hervé This dell’Institut national de la recherche agronomique (INRA) a Davide Cassi, professore di Fisica dell’Università di Parma, perché la scienza è in grado di rivelarci tutti i segreti della cottura.
Eppure se qualcuno ci dicesse che non siamo capaci di cuocere «due uova al guscio», come fece Ada Boni nella prefazione a «Il Talismano della felicità», lo prenderemmo come un’offesa.
È il fascino della cottura, assieme dotta e popolare, che fece dire a Giuseppe Gioachino Belli: «Voi, fijjo caro, ne sapete poco. Che mme parlate de lingua latina, Mattamatica, Lègge, Mediscina!… sò ttutte ssciaparie: studi pe ggioco. Cqui è ddove l’omo se conossce: ar foco. Cqui ar fornello un talento se scutrina. La prima scòla in terra è la cuscina».
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