La sfida dei pizzaioli all’European Pizza Show

pizza

Non so se dipenda dal fatto che vivo gran parte dell’anno all’estero, ma il cibo è diventato per me una questione importante. Non fraintendetemi: non mi sono trasformata in una gran cuoca e non dedico alla cucina molto tempo, ma ora sono esigente nella scelta delle materie prime e faccio la spesa prestando attenzione ai prodotti che acquisto. Quando scelgo un ristorante mi aspetto che i piatti rispettino la cucina che dichiarano di rappresentare: recentemente, in un ristorante “italiano”, mi è stato servito un colloso intruglio di spaghetti al (presunto) ragù d’agnello arricchito da un battuto di menta e prezzemolo. Ho dovuto reprimere l’impulso di entrare in cucina e prendere a mestolate il cuoco. 

Stesso discorso vale per la pizza: o la sai fare ed usi prodotti buoni oppure preparerai una cosa che vorrai chiamare pizza ma che pizza non è. Tempo fa mi sono trovata davanti una margherita con il prezzemolo al posto del basilico… il pizzaiolo è salvo per miracolo, la pala da pizza è molto più pesante del mestolo.

La pizza è una cosa tanto seria che prepararla nel 2017 l’Unesco ha iscritto “L’arte del pizzaiuolo napoletano” nella lista dei beni intangibili patrimonio dell’umanità. E dal 2017 si tiene a Londra l’European Pizza Show, competizione nella quale i migliori pizzaiuoli europei (usare il termine campano è d’uopo) si sfidano in due categorie: pizza tradizionale e pizza contemporanea.

Di tutto questo non sapevo niente fino a che il mio amico Vincenzo Abbate, che fa il pizzaiolo a Londra, anzi, come mi correggerebbe lui, che è un pizzaiuolo, mi ha detto che avrebbe partecipato alla sfida: dei 150 partecipanti, Vincenzo era uno dei 42 finalisti che si sono sfidati a suon di pizze margherita, preparandole dal vivo davanti alla giuria ed al pubblico, all’Exel London, un enorme spazio dedicato alle fiere. 

Così sono andata a fare il tifo ed ho scoperto un mondo.

Dopo essere rimasta incantata ad osservare i gesti con cui i pizzaiuoli preparavano la pasta, tirandola semplicemente con le mani (io fatico pure con il mattarello), ho fatto un giro tra i vari stand che offrivano degustazioni di pizza, mozzarella, focaccia, vino, formaggio. 

Ho assaggiato un po’ di tutto, poi la mia attenzione è stata attratta dalla farina: è l’elemento base per la pizza eppure non l’avevo mai considerato con attenzione. 

Ho scoperto che ci sono almeno 4 tipi di farine diverse da usare per le pizze, ho scoperto che se uso la farina 00 non riuscirò mai a fare un pan di Spagna soffice come quello dei pasticcieri, ed ho scoperto che esiste la “cintura del grano”,  un’area del midwest americano dove il clima permette la produzione di grano con caratteristiche particolari. Tutta questione di proteine, ha cercato di spiegarmi Antonella delle farine Caputo: a seconda della concentrazione di proteine, la farina è più o meno capace di assorbire i liquidi. Essendo io profondamente ignorante in materia, questo è il massimo dell’informazione che sono riuscita a cogliere.

Mentre mi immergevo nel mondo della farina, la competizione tra pizzaiuoli era terminata, i giudici avevano deciso e si stava preparando per la proclamazione dei vincitori in due categorie diverse: pizza tradizionale, la pizza napoletana classica per intenderci, e pizza contemporanea ossia quella con il “cornicione” molto alto. Vincenzo gareggiava nella prima.

Ho raggiunto Vincenzo che, indossata la giacca da pizzaiolo, aspettava la proclamazione.

Dopo aver letto il nome di tutti i finalisti, finalmente siamo arrivati al podio.

Vincenzo non si è classificato né terzo né secondo. 

“Eh niente,” mi ha bisbigliato Ammi in un orecchio, “non ce l’ha fatta.”

“Aspetta, manca ancora il primo posto.” gli ho risposto.

“…. ed il vincitore per la miglior pizza tradizionale napoletana è…. Vincenzo Abbate!”

Ad onta di quello che si dice in merito all’esuberanza dei napoletani, ho gridato molto più io di Vincenzo, che ha alzato le braccia, ha sorriso, ha abbracciato i suoi amici ed è andato a farsi premiare con una compostezza che io, che non avevo vinto niente, non avevo.

“Qual è il segreto della tua pizza eccezionale, Vincenzo?” gli ho chiesto quando sono riuscita ad abbracciarlo, dopo la premiazione.

“E qual è? Non lo so. Tanto lavoro, credo.”

“Ma sei felice?”

“E sì, molto.” mi ha risposto sempre con molta compostezza.

“Meno male, perché non lo sembri!” gli ho detto per provocarlo.

“Sai, ci sono tanti sacrifici e tanta fatica dietro questa vittoria,“ ha continuato lui, “turni massacranti, mani che impastano quando il mondo dorme. Adesso stringo questo premio e rivedo ogni passo, ogni notte trascorsa a lavorare mentre gli altri dormivano. Rivedo chi mi è stato accanto e chi si è allontanato: a volte è proprio grazie ai distacchi che emerge la parte migliore di noi. E poi, lo sai, penso a mio padre. Questa vittoria è un dialogo che non si sente ma che io vivo dentro ogni giorno.”

Ecco, forse il segreto della pizza di Vincenzo è tutto qui: nel suo animo delicato, buono quanto la sua pizza.

(Per mangiare la pizza di Vincenzo, dovrete andare a Mercato Metropolitano che a Londra ha diverse sedi. E dovrete sperare che, quel giorno, ci sia lui all’opera.)

Image by Hans from Pixabay

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