9 Maggio 1978 – 9 Maggio 2020: furono il terrorismo internazionale e le brigate rosse ad uccidere Aldo Moro?

Il vile agguato di via Fani, l’eccidio dei 5 agenti della scorta ed il sequestro dell’Onorevole Moro, i luoghi della strage, le rivendicazioni delle Brigate Rosse, i 55 giorni di prigionia dello statista di Maglie, gli appelli drammatici dell’ostaggio, i dubbi dell’opinione pubblica e degli inquirenti sulla loro “autenticità”, il rifiuto della trattativa, il triste epilogo con il rinvenimento – il 9 maggio del 1978 – della salma di Moro in via Caetani, al centro di Roma e tra le due sedi della Democrazie Cristiana e del Partito Comunista: tempi e momenti che scandirono una delle pagine più drammatiche in cui lo Stato si rivelò nudo e sconfitto davanti alla follia dei terroristi.

Ai funerali, che si tennero il 13 maggio, la famiglia non partecipò in segno di protesta contro lo Stato che aveva fatto poco o niente per salvare Aldo Moro

Le indagini di quei 55 giorni furono contrassegnate da una serie di errori, omissioni e negligenze “, furono parole pesanti quelle pronunciate dall’Onorevole Sergio Flamigni, parlamentare del PCI dal 1968 al 1987, nonché membro delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta sul Caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia[1]

Le ipotesi dei collegamenti delle BR con organizzazioni terroristiche straniere secondo Ferdinando Imposimato[2]

Più avanti, il coinvolgimento del terrorismo internazionale nella vicenda eversiva italiana è stata sostenuta dagli inquirenti romani fin dal 1981, vale a dire alla conclusione della prima indagine sul Caso Moro e sugli altri efferati delitti compiuti dalla Brigate Rosse.

Questo collegamento tra le BR e le organizzazioni terroristiche straniere fu caldeggiato con determinazione il 7 marzo 1981 da Ferdinando Imposimato, magistrato, politico e avvocato italiano, nonché presidente onorario aggiunto della Corte suprema di cassazione, durante una conferenza tenutasi presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.

Imposimato coniò il termine “euroterrorismo”, tra l’incredulità e il sospetto di alcuni settori dell’apparato di risposta dello Stato: nell’esperienza italiana, la questione relativa ai collegamenti internazionali del terrorismo si è posta drammaticamente per la prima volta con la strage di via Fani e il sequestro di Moro.

Per il magistrato, apparvero evidenti alcune analogie tra il sequestro e l’uccisione dello statista pugliese e il sequestro e l’omicidio del presidente degli industriali tedeschi Hans Martin Scheleyer catturato ed ucciso, sei mesi prima, dai militanti della RAF (Rote Armee Fraktion).

Apparvero simili nelle due tragiche vicende, le modalità dell’agguato (blocco dell’auto della vittima ed eliminazione della scorta), il modus operandi per la riconsegna dei corpi delle vittime (portabagagli automobile), collocazione “simbolica” della salma della vittima, il contenuto delle richieste dei rapitori (liberazione di terroristi), la linea politica ed ideologica delle due organizzazioni. Riepilogando il tutto, per Imposimato le Brigate Rosse adottarono taluni moduli operativi sperimentali dalla predetta Rote Armee Fraktion).

A rafforzare l’ipotesi di un coinvolgimento di gruppi stranieri, gli ordini in lingua tedesca impartiti nel corso dell’agguato, un uomo notato all’interno di un bar in via Stresa che si sarebbe espresso in italiano ma con accento tedesco. Inoltre, a confermare questa ipotesi, la questione relativa al possesso, da parte delle BR e della banda Baader Meinhoff, dello stesso materiale bellico frutto di un furto commesso dall’Anarchistiche Kampf Organizzation ai danni dell’esercito elvetico tra il 1972 e il 1974. Infine, un dato obiettivo per Imposimato e comprovante la colleganza tra le due organizzazioni criminali, quello relativo al rinvenimento, il 18 aprile del 1978, nel covo di via Gradoli, di due targhe automobilistiche tedesche e di documenti di identità provenienti da uno stock sottratto al Comune di Sala Comacina. Da questo stock, secondo il magistrato, provenivano i documenti trovati in Germania in possesso della terrorista Elisabeth Von Dick, coivolta nel sequestro presidente della Confindustria Hanns Martin Schleyer e dell’altro componente della banda Baader Meinhoff, Rolf Meissler.

Per Ferdinando Imposimato anche il 21 marzo 1978 rappresentava una data molto importante e legata alla sua teoria: nel pomeriggio di tale data, nelle vicinanze di Viterbo, il Roberto Lauricella notò un pulmino giallo con una targa tedesca e una Mercedes beige con targa tedesca e con a bordo cinque persone. La targa del pulmino PANY 521, risultava appartenere ad una Volvo di proprietà di Norman Ehahalt, famoso componente di un gruppo anarchico tedesco. La questura di Viterbo dispose una battuta lungo la strada in direzione di Roma imboccata dai due autoveicoli, ma senza successo. A definire in maniera completa questo “quadro”, era la circostanza che il criminale tedesco Willy Peter Stoll aveva tenuto dei fitti contatti con uno dei leader delle Brigate Rosse italiane almeno fino alla scoperta della base di via Montenevoso a Milano nell’ottobre del 1978.

L’interrogativo posto all’inizio di questo articolo, pur giungendo da un periodo che sembra davvero lontanissimo, è ancora attualissimo considerate le omissioni che hanno costellato questa triste vicenda: la morte di Aldo Moro ed il suo ricordo – ogni anno – tornano prepotentemente alle cronache sia per lo spessore umano che contraddistingueva lo statista pugliese, sia per i dubbi e le trame imperscrutabili che hanno accompagnato questo caso.


[1] Sergio Flamigni (2015), Patto di omertà, Kaos Editore

[2] Conferenza del Dott. F. Imposimato, Consigliere Istruttore del Tribunale di Roma, tenuta il 7 marzo 1985 presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.

Fonte foto: ilfoglio.it

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.