Vita ardimentosa di una prof, il nuovo libro di Isabella Pedicini

Isabella Pedicini, storica dell’arte e docente nei licei, appassionata di cibo e di fotografia, autrice di diversi saggi sulla storia della fotografia e dell’arte contemporanea. A proposito di se stessa, scrive “guardo, osservo, sgrano gli occhi, trascrivo, invento, divago e prendo appunti”. Ha scritto un libro in cui racconta – anche ironicamente – che cosa significhi ed implichi essere una prof.

Isabella, nel tuo libro Vita ardimentosa di una prof, racconti con un tono che oscilla tra polemica e ironia l’impervio cammino del precariato. Come è nata l’idea di farne un libro?

L’idea ha origine dai dialoghi che, negli anni, ho avuto in classe con i mei studenti e che, di volta in volta, ho riportato su Facebook come frammenti della vita tra i banchi. L’editore Laterza si è accorto di questo materiale che, giorno dopo giorno, ho raccolto e mi ha chiesto di trasformarlo in un libro in cui intrecciare le ore di lezione al percorso a ostacoli imprescindibile, oggi, per accedere all’insegnamento.

Oggi i docenti sono sempre più spesso vittime di ignobili aggressioni da parte di studenti e di genitori. Si tratta di  una questione complessa e grave che va risolta applicando sanzioni pesanti. Che cosa pensi al riguardo?

Negli ultimi tempi, la violenza fisica e verbale nei confronti dei docenti, da parte di alunni e genitori, è un fenomeno purtroppo diffuso ed è emblema del deprezzamento, a livello sociale, della figura dell’insegnante. Allo stesso tempo, rivela la rottura del patto generazionale tra professori e genitori per cui, ad esempio, la valutazione negativa di un’interrogazione non è più vista come una parte fisiologica del processo di apprendimento, ma piuttosto come un’offesa insormontabile a cui rispondere con la brutalità. Ancora più grave quando poi è una madre o un padre ad avventarsi contro un docente. Oltre gli insegnanti, aggrediti e vilipesi, tali violenze danneggiano infatti anche i ragazzi che così assistono allo sgretolamento di due figure fondamentali per la loro crescita: quella del professore e quella del genitore.

Nel tuo libro si affaccia anche il punto di vista di Isabella studentessa. Che rapporto hai avuto con la scuola e con i tuoi docenti? 

Non sono mai stata una studentessa modello. Tutt’altro. Ero indocile, polemica, davo filo da torcere ai mei professori. Ho frequentato un liceo classico e ho approfondito maggiormente le materie che mi interessavano e a cui i docenti – quelli bravi – mi hanno fatto appassionare. In seguito mi sono accorta che la scuola superiore mi ha fornito delle basi solidissime per lo studio universitario e una forma mentis che, ancora oggi, mi aiuta a orientarmi nel mondo.

Esiste, secondo te, l’insegnante perfetto? Tracciane un ritratto.

L’insegnate perfetto non esiste, così non esiste il medico perfetto, l’architetto perfetto o l’artista perfetto. Esiste però il bravo insegnante,  ovvero colui che dimostra di credere nel proprio lavoro di educatore, di essere onesto con gli alunni e, ovviamente, culturalmente preparato.

Che idea ti sei fatta dell’attuale generazione di studenti?

Insegno storia dell’arte, una disciplina che, negli istituti superiori italiani, è relegata solitamente agli ultimi tre anni del quinquennio per due ore a settimana. Ho a che fare, dunque, con ragazze e ragazzi che hanno tra i quindici e i diciannove anni: un’età delicatissima di edificazione della propria identità. I ragazzi di oggi (e mi trovo molto senile nell’uso di quest’espressione) non sono poi molto distanti dagli adolescenti di ieri, presi anche loro dalle questioni che caratterizzano quell’età (le amicizie solide, i primi amori, l’emancipazione dai genitori ecc). Tuttavia, grazie a internet, questi ragazzi hanno molte più possibilità rispetto a quante ne potessero avere in passato i loro coetanei. Nel bene e nel male. Per questo storicamente forse sono più fortunati, ma anche più esposti e più fragili.

Che rapporto hai con i social networks?

Un rapporto ambivalente poiché mi rendo conto che i social possono offrire molto, allargare il nostro sguardo, metterci in contatto con nuove e interessanti realtà geograficamente lontane, ma allo stesso tempo possono fagocitarci e creare dipendenza. Cerco, pertanto, di usarli con moderazione e spirito critico, provando a non farmi travolgere dalle informazioni con qui ognuno di noi viene, quotidianamente, bombardato e impegnandomi a non sacrificare la vita reale per quella virtuale.

Che cosa vuoi fare da grande?

Continuare a scrivere e a insegnare. Non smettere mai di studiare, di informarmi, di conoscere il mondo attraverso i libri, i viaggi, le città e le storie che ogni persona ha da raccontare.

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