Viaggio in Uzbekistan

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Sono stato recentemente in Uzbekistan, attuando un vecchio progetto che avevo da tempo, legato alla fama leggendaria di Samarcanda. Ne riporto una limitata descrizione e ne riferisco i sorprendenti pregi.

L’Uzbekistan è un paese al centro dell’antica via della seta, una storica stazione di posta per nomadi, mercanti e invasori. Ha subito nei secoli la conquista di Alessandro Magno, dei Persiani, dei Mongoli, degli Ottomani e dei Bolscevichi. Ha patito le devastazioni di Gengis Khan e di Tamerlano. Con tutto ciò, dopo l’autonomia politica conseguita nel ‘91, appare ordinato e pacifico, dall’economia modesta ma sana.

Istantanee

Le sue città non hanno tuguri ma nemmeno grattacieli, verso l’alto spiccano i minareti. Essi destano meraviglia per la loro possanza e la loro altezza. Non sono semplici strutture ausiliarie delle moschee volte a diffondere la voce del muezzin, ma sono costruzioni simboliche che ostentavano da un lato la grandezza del Khan di turno, dall’altro esprimono tutt’ora l’ascesa dell’anima verso i cieli di Allah.

Le strade sono pulitissime: non una carta straccia, un mozzicone di sigaretta, una bottiglia di plastica.

Non ci sono mendicanti.

Il traffico è incanalato lungo ampi viali periferici, nelle strade interne circolano scorrevolmente le auto private, fra le quali predomina la casalinga marca Chevrolet come in Italia un tempo la Fiat.

Gli edifici pubblici, molti dei quali religiosi, sono stati in gran parte trasformati in mercati e ostentano con naturalezza i tradizionali tappeti e le storiche sete ma la loro architettura è rimasta intatta o rispettata nelle ricostruzioni.

Un turista al mio fianco manifestava ad alta voce la sua disapprovazione citando il passo evangelico: “la mia casa è di preghiera e voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. Giudizio ingiusto. Sono stati diversamente utilizzati quegli edifici che non adempivano più ai compiti originari, che per la loro funzione di sinagoghe o scuole coraniche e persino mausolei erano stati dismessi. La destinazione mercantile non deve essere apparsa sacrilega perché il commercio è sempre stato ed è tuttora la risorsa principale del paese e ne rispetta le tradizioni.

Pazienza e fede

Lo zelo deli Uzbeki nel curare, conservare, proteggere o riprodurre il proprio patrimonio artistico ha richiesto una dedizione inimmaginabile. Si pensi che a coprire di maioliche un metro quadro di parete occorreva una settimana, un mese se realizzato a mosaico. L’incisione di una sola colonna lignea della moschea di Kiva poteva comportare l’impegno d’una intera vita.

Questo mi ha portato alla mente l’impegno degli artigiani del medioevo italiano nell’intarsiare un pergamo o un rosone marmorei: un miracolo di pazienza e di fede.

I depliant turistici segnalano giustamente le mura di Khiva e le fortificazioni di Bukara, ma al visitatore italiano, che ha visto le mura di Lucca, Di Palmanova, di Montagnana, di Cittadella e di Corinaldo, non destano meraviglia.

L’architettura araba è quella che ispira le madrase, le Moschee e i mausolei. Qui si coglie un’interessante originalità. Anche se l’architettura civile e religiosa può apparire uniforme e ripetitiva ma questo non ne diminuisce lo splendore. Le costruzioni sono geometriche: grandi parallelepipedi alleggeriti da archi e loggiati e arricchiti da ampi portali, in genere attorniano una piazza o un leggiadro giardino ove lo spirito può riposare in meditazioni e contemplazioni.

Le decorazioni ricoprono le pareti interne ed esterne con disegni geometrici, con astratte fioriture, con scritte coraniche vergate nel fantasioso alfabeto arabo. La materia è prevalentemente la maiolica. Si tratta di formelle accostate o di veri e propri mosaici, la cui loro bellezza ed eleganza è indescrivibile. I colori (in prevalenza celeste, verde e rosato) si armonizzano e danno loro una luce  che muta con la luce ambientale. Nella più grande piazza di Samarcanda una scalea consente alla gente di godere di questo spettacolo d’arte seduta per il tempo che crede.

Durante la mia visita serale si è svolto un gioco di luci artificiali, che mi è parso un po’ Hollywoodiano e di gran lunga meno esaltante di quello naturale.

L’impressione suggerita nel complesso da tanto fulgore artistico è come già detto quello d’una grande uniformità che inizialmente lascia ammirati sì, ma perplessi? Una breve riflessione ne rivela il segreto.

Quello stile che si ripete da secoli, che si è salvato o è rinato dopo le distruzioni di Gengis Khan o i furori mutevoli di Tamerlano o della natura come il mutato corso del fiume Amudarya che ha cambiato il destino di Khiva) esprime il desiderio d’un popolo dalla storia tormentata di conservare un segno immutabile del proprio spirito e della propria identità. Si pensi che solo nel XVI secolo una moschea si è arricchita di centinaia di colonne come quella di Cordova.

Idealmente, alla fine del mio viaggio, ho confrontato l’uniformità dell’architettura Uzbeka, intatta nei secoli, con la mutevolezza di quella europea e soprattutto italiana, e non mi è parsa una stranezza, ma uno dei tanti aspetti della ricchezza dello spirito umano e della creatività della Storia.

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