Verso una riforma elettorale sbagliata

Democrazia, termine del quale spesso si abusa, significa letteralmente “potere del popolo”. Il sistema che più garantisce al popolo questo potere è quello di delegare ad alcuni soggetti (nel nostro caso deputati e senatori) a determinare quali siano i voleri del popolo. Appare evidente che le elezioni siano il momento più delicato, perché con queste immediatamente si identificano i soggetti che rappresentano il popolo e quindi la volontà di esso. Per una effettiva realizzazione della democrazia bisogna tener conto di due principi. Il primo è che quanto  più gli eletti rappresentano il popolo, tanto più questi risultano frastagliati. Un sistema come quello di una volta che permetteva a partiti e a partitini di esistere all’interno della Camera e del Senato dava la risposta più reale della rappresentatività del popolo, creando però dei problemi di governabilità. Per questo si è deciso di mettere uno sbarramento, proprio per evitare l’insorgenza di micropartiti che, potendo rappresentare l’ago della bilancia, assumono un potere che non è  direttamente derivato dalla loro dimensione (e quindi dalla rappresentanza del popolo), ma dal loro potere ricattuale. Un esempio per tutti è quanto è successo nell’ultimo Governo Prodi. Oltre alla rappresentatività la cosa pubblica necessita di governabilità, quindi il partito che ha preso il maggior numero di voti deve essere in condizione di avere una consolidata maggioranza, proprio per evitare i ricatti di cui sopra. Ecco quindi che il nostro sistema prevede che i partiti di maggioranza abbiano una reale maggioranza di seggi, anche oltre la reale rappresentatività del popolo. Il secondo principio è la scelta della persona fisica atta a rappresentare i votanti. In passato era il cittadino che individuava il proprio rappresentante scrivendone il nome sulla scheda elettorale. Questo sistema ha però creato, per vincere, la necessità di costosissime campagne elettorali che, evidentemente, non potevano che essere finanziate nella migliore delle ipotesi dalle lobbies e nella peggiore dal malaffare. Per evitare ciò si sono moltiplicati i collegi rendendoli piccolissimi e sostanzialmente proponendo un candidato unico. Inoltre per radicare ulteriormente la trasparenza si è sostanzialmente delegata ai partiti la possibilità di “nominare” i parlamentari introducendo un sistema di liste rigide dove gli eletti erano quelli che, primi in lista, avrebbero occupato i seggi conquistati dalla compagine politica. Da qui il finimondo e l’accusa che i partiti, così facendo, diventano i padroni dei parlamentari, non rispettando quindi i criteri di democrazia. Pur essendo oggettivamente vera l’accusa, bisogna tener presente che i partiti non possono che formare le liste con i propri dirigenti e i dirigenti diventano tali proprio con il consenso degli elettori di quel partito. In buona sostanza o si opta per la soluzione delle preferenze con le disastrose conseguenze che abbiamo visto nella prima repubblica, oppure si trova una soluzione che comunque svincola l’eletto dalla capacità economica e soprattutto dalla già acquisita notorietà.In realtà quello si vuole fare è sostituire un “porcellum” con un altro “porcellum”, cioè si vogliono modificare le leggi non per conferire maggior democrazia ma per spostare regole (sbarramenti e confini di collegi) al fine di sovvertire i risultati elettorali. In parole povere il ragionamento è: con questa legge elettorale non vinco quindi, invece di cercare consenso, modifico la legge riducendo o aumentando il collegio a seconda di dove sono più conosciuto e diminuendo il limite minimo per lo sbarramento, così potrò sedere in Parlamento. 

Sara Citterio

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