Una vita per il violino: intervista a Sofia Manvati

sofia manvati

Far musica è solo questione di talento? A rigor di logica potrebbe sembrare così, ma per diventare professionisti non basta. È quanto racconta Sofia Manvati, violinista di 24 anni, tutti dedicati al violino. Originaria di Erba (provincia di Como), ha proseguito i suoi studi a Cremona, capitale mondiale della liuteria e punto di riferimento per tutti gli strumentisti ad arco del mondo. Ha qui conseguito, con il massimo dei voti, lode e menzione, le lauree di primo e secondo livello al Conservatorio C. Monteverdi, sotto la guida di Laura Gorna; al contempo si è perfezionata con Salvatore Accardo all’Accademia Stauffer. Molto dedita alla musica da camera, vanta una registrazione discografica del “Quatour pour la fin du temps” di Olivier Messiaen con l’Euritmia Quartet. Tra concerti e studio, si impegna quotidianamente per portare la classica verso un pubblico più giovane e dinamico, facendosi strada tra le sfide e i cambiamenti del mondo della musica professionale. 

Come ti sei avvicinata al violino?

Non sono nata in una famiglia di musicisti, ma grazie ai miei genitori, che sono restauratori, ho avuto la possibilità di stare sempre a stretto contatto con l’arte. Il violino è stato per me una vera e propria folgorazione sulla via di Damasco, quando per la prima volta vidi un bambino suonare a un saggio di musica di una scuola elementare. Completamente ipnotizzata, esclamai: «Mamma, voglio suonare il violino!». 

Quando hai capito che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro? 

Ero una bambina molto vivace, e mi è stato detto più volte che non avrei mai potuto fare la musicista; insomma, per me il violino era un compagno di vita, ma non avevo ancora incontrato una figura che mi stimolasse abbastanza da cominciare a studiare seriamente. Un giorno mi capitò però di ascoltare la grande violinista americana Hilary Hahn in concerto: rimasi folgorata dalla sua performance, al punto che decisi di intraprendere la carriera musicale professionale.

Quali sono state le persone che più hanno segnato il tuo percorso?

Ci sono state varie figure: innanzitutto la mia famiglia, che mi ha supportato dal primo giorno e mi spinge sempre a superare i miei limiti; ho poi avuto la fortuna di conoscere Mariana Sirbu, grande violinista rumena. È stata lei ad insegnarmi il metodo e la disciplina, non solo nello studio ma anche nell’interpretazione dello stile e nell’uso del vibrato. Nel 2016 sono poi entrata nella classe di Salvatore Accardo all’Accademia Stauffer: ho così cominciato a entrare in contatto con la realtà cremonese, che mi ha ispirato moltissimo. 

Che cosa ti ha dato la “patria della liuteria”?

Moltissimo: in ogni angolo della città si respira musica. Alla Stauffer si è creata una sorta di famiglia, con cui ho imparato il rispetto reciproco e l’importanza della musica da camera, alla quale mi dedico tuttora con passione. Accardo ha sempre cercato di comunicarci un senso di rispetto per il compositore, evitando di imporsi alla musica. L’umiltà nei confronti dei capolavori del passato è stata davvero fondamentale per la mia crescita musicale, e lo è tuttora. 

Vieni spesso chiamata dall’Auditorium Giovanni Arvedi per suonare gli strumenti storici del Museo del Violino di Cremona: che cosa hanno in più rispetto ai violini moderni?

Tutto sta nella qualità e quantità di armonici, che conferiscono una produzione del suono più veloce, nonché un timbro ricco e potente. Ogni strumento è poi completamente diverso dall’altro: io immagino che siano come persone, con mille sfaccettature. Per questo, è molto importante non forzare la propria personalità su di essi, ma cercare di adattarsi e tirar fuori ciò che possono fare. Suonare questi meravigliosi violini mi stimola molto, è come avere tra le mani un pezzo di storia della musica.

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Il violino richiede tanto tempo e dedizione, forse più di altri strumenti: quali sono le strategie che hai trovato per riuscire ad essere costante?

Durante il liceo c’è stato un periodo in cui avevo deciso di impormi ritmi di studio devastanti: sei ore al giorno e nessuna pausa ammessa! Con il tempo ho però capito che questa autodisciplina innaturale non giova né al corpo, né tantomeno allo spirito. Ora cerco di ottimizzare e concentrare al massimo il tempo che ho a disposizione per studiare, che con gli anni diminuirà sempre di più. 

Come procede il tuo percorso al momento?

Ho passato questi ultimi due anni a Bruxelles, dove ho conseguito un secondo master con Philippe Graffin. Con lui ho avuto modo di approfondire il repertorio francese del 900, concentrandomi in particolare sulle sei sonate di Ysaÿe. Al momento sto seguendo un ulteriore corso di specializzazione presso il MUK di Vienna con Pavel Vernikov; inoltre, sto facendo diversi concerti in giro per l’Europa, sia come solista che insieme al pianista Giorgio Lazzari, con il quale formo il Duo Rodin.

Progetti futuri?

Il mio obiettivo principale è sicuramente quello di portare la mia musica, ovvero la classica, ad un pubblico sempre più giovane. Stare sul palco è ciò che mi fa stare bene, e penso che il benessere sia estremamente importante in una società come quella odierna. La nostra generazione è così proiettata verso il futuro che ci dimentichiamo di vivere il presente: credo che la musica sia in grado di rallentare questa frenetica corsa, permettendoci di vivere il momento e di godere della sua immortale bellezza. 

Ti vedi più come solista o professionista in un’orchestra? 

Al giorno d’oggi, la tendenza del mercato della musica classica è quella di poter avere a disposizione musicisti poliedrici, in grado di fare un po’ tutto. Non esistono più categorie così nette: ad esempio, una grande spalla d’orchestra può essere anche solista, e magari dedicarsi alla musica da camera nel resto del tempo. È quindi cruciale evitare di essere settoriali, cercando di assorbire il più possibile durante il proprio percorso di studi.  

Perciò bisogna sapersi adattare…

Sicuramente: è importante conoscere il mercato per proporsi al meglio, specialmente nella fase di transizione tra studente e professionista. Il self-management, unito ad un utilizzo consapevole dei canali social, è diventato un aspetto che, a parer mio, tutti i giovani musicisti dovrebbero affrontare.

Coltivi altre passioni oltre alla musica? 

Sono sempre stata molto appassionata di disegno, tanto che da piccola ero un po’ indecisa su cosa fare da grande! Secondo me, per essere un buon musicista è fondamentale avere altre passioni e vivere tante esperienze diverse, specialmente da giovani. Solo le vicissitudini della vita possono conferire alla musica quell’incanto tipico dei grandi interpreti.

Foto per gentile concessione di Tony Hassler

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