Un “8 marzo” di guerra, vera

8 marzo

Quest’anno, al di là di ogni polemica o riflessione sull’attualità o meno di questa ricorrenza, non sarà di certo una festa perché le donne sono in guerra.

Donne-soldato in azione

Le donne ucraine si uniscono alla resistenza, quelle che vivono invece in altre nazioni europee sostengono i loro parenti, inviando aiuti di vario tipo e cercando per loro una via di fuga.

Anche le donne afgane, rifugiate in tutto il mondo, combattono per riconquistare libertà e diritti che di recente le sono stati sottratti con la violenza.

Tramontata definitivamente la dimensione del “sesso debole” e superato il pregiudizio della “fragilità femminile”, si assiste in questi giorni ad autentiche azioni di forza e di coraggio senza precedenti da parte di donne-soldato ucraine in tuta mimetica e giubbotto antiproiettile, chiamate ad arruolarsi per difendere la loro nazione dall’invasione russa, reclutate sulla base di due requisiti: l’età (tra i 18 e i 60 anni) e una buona salute.

Munite di capacità materiale e tenuta psicologica, non solo si addestrano ad usare la mitragliatrice, ma imparano a gestire il primo soccorso, a inserirsi la spirale per il timore di gravidanze in caso di stupro etnico, ma anche a gestire la comunicazione difendendo il loro paese da attacchi informatici e da bufale informative, grazie alla capacità informatica acquisita negli ultimi anni anche grazie a blog personali.

Le donne italiane dell’ultima guerra  

Anche nell’esperienza italiana del periodo di chiusura della Seconda Guerra Mondiale, le donne diedero prova di grande coraggio e straordinaria capacità di combattimento e organizzazione, ma su queste eroiche peculiarità femminili prevale quasi sempre la memoria troppo corta.

E comunque, va anche detto che qui non mancano guerre, ove l’apparente tempo di pace si scorda delle donne impegnate contro la criminalità organizzata in alcune aree del meridione ed ove i delitti di omicidio per riciclaggio ed estorsione non risparmiano affatto le donne come bersaglio quando sfidano le mafie o decidono di collaborare con la giustizia.

La società civile italiana vanta da più di quarant’anni una legislazione a favore della parità tra uomini e donne, che è tra le più sofisticate ed evolute del mondo; eppure, inspiegabilmente, si fa ancora fatica a farle decollare nella dirigenza pubblica e privata, nonostante l’ormai enorme numero di esse impegnate in quasi tutte le attività professionali e impiegatizie disponibili e che fino alla metà del secolo scorso non avrebbero mai potuto immaginare di essere così presenti sul mercato del lavoro.

Il trinomio donna-madre-seduttrice

Anche la grammatica si sta sforzando di equiparare i ruoli nel tentativo di unificare le vocali maschili e femminili attraverso il poco gradito schwa, ma le polemiche superano di gran lunga l’obiettivo, che da parecchie persone è ritenuto inutile, riduttivo, dannoso per la lingua italiana e – di fondo – poco importante.

La verità è che il ruolo della donna nella società civile è a tutt’oggi più ancorato alla sua funzione antropologicamente fissata nel ruolo di dolcissima mamma, anche nel caso in cui la lavoratrice madre incarna la figura professionale di un generale di corpo d’armata di un esercito.

La chiave di lettura della dimensione sociale femminile andrebbe forse rivisitata in termini di minor aggressività e di serena acquisizione del metodo per avanzare e prevalere, imparando dagli uomini perché, in fondo, il lavoro lo hanno inventato loro, pur mantenendo il piacere della più scabrosa e intensa femminilità; come diceva Oriana Fallaci, che è stata la più grande femminista inconsapevole di esserlo, “Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non finisce mai”. Come non condividere?

Foto di Frauke Riether da Pixabay

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