Telecibo

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La mattina di domenica 3 gennaio 1954, con l’annuncio letto dagli studi di Milano da Fulvia Colombo (la prima di quelle che sarebbero state chiamate «signorine buonasera») la RAI Radiotelevisione italiana iniziava le sue regolari trasmissioni.

Dire che l’impatto della televisione sul Paese è stato totalizzante appare persino riduttivo riguardando ogni aspetto della vita sociale, politica e culturale ed è persino scontato che il cibo, dal suo acquisto alla sua consumazione passando ovviamente per la cucina, non potesse essere risparmiato.

Il rapporto tra cibo e televisione, tuttavia, non è stato immediato anche se negli ultimi tempi è enormemente cresciuto.

La televisione al Bar

Sin dal suo esordio, la televisione si è caratterizzata per la specificità del suo rapporto con gli spettatori. Non quello anarchico della radio, che discretamente fa da sottofondo alla vita quotidiana («Con la radio si può scrivere, leggere o cucinare, non c’è da stare immobili, seduti lì a guardare» canterà Eugenio Finardi in «Amo la radio») e neppure quello assorbente del Cinema, fruibile solo al buio di una sala (come nelle scene memorabili di «Nuovo Cinema Paradiso» di Tornatore), ma un mezzo di comunicazione e d’intrattenimento che lascia allo spettatore la libertà di farsi completamente catturare dalle immagini o, viceversa, di fruire lo spettacolo televisivo in un un contesto di tipo sociale che, inizialmente e per l’elevato costo degli apparecchi televisivi, fu quello dei Bar, dove la televisione si mise in concorrenza con il gioco delle carte e con il biliardo.

Rispettosi di questa specificità, i primi palinsesti, che occupavano la fascia oraria serale naturalmente vocata allo svago dopo una giornata dedicata al lavoro, posero al centro lo sport, il dibattito politico, il Cinema ed il Teatro uniti ad una nuova forma di spettacolo tipicamente televisiva: il quiz, che ebbe come icona Mike Bongirno.

E la cucina?

Sino alla prima metà degli anni ’60, quando grazie al boom economico le famiglie poterono permettersi un proprio televisore che da allora si trasformò in un commensale vista la naturale propensione a collocarlo in cucina o nel tinello, la cucina continuò ad occupare le trasmissioni radiofoniche come già aveva fatto prima della nascita della televisione, con le rubriche di Ada Boni.

Il cibo iniziò a farsi strada in TV mediato dalla pubblicità, assorbendo buona parte degli spot di Carosello, e dalla documentaristica.

«Viaggio nella valle del Po», documentario in 12 puntate realizzato nel 1957 da Mario Soldati, è stato il primo reportage enogastromico televisivo.

Nel 1967 sarà invece Elena Fabrizi, la Sora Lella, ad insegnare a fare la spesa e a cucinare i piatti della tradizione romana in un inserto della trasmissione di Giulio Macchi «Linea contro linea».

I tempi per una trasmissione interamente culinaria, tuttavia, non erano ancora maturi perché mancava un elemento essenziale: l’uniformazione del linguaggio.

Il superamento dei dialetti come specificità della cucina televisiva

In una cucina popolare infarcita di dialettalismi (come li chiamava Pellegrino Artusi) mentre quella colta era ancora legata alla lingua francese, era praticamente impossibile anche solo descrivere una ricetta senza prima superare l’ostacolo linguistico.

Come si fa a fare cucina televisiva se lo stesso taglio di carne o la stessa varietà di pesce hanno nomi diversi nei dialetti?

Per fare il suo ingresso nelle case degli italiani, fieri possessori del «proprio» televisore senza più bisogno di condividerlo se non per esibizione di agiatezza, occorreva completare quell’omologazione della lingua che avrebbe relegato i dialetti allo spettacolo comico ed espunto i francesismi dalla nostra cucina.

Un’operazione culturale iniziata con i primi telegiornali ed i primi spettacoli teatrali in televisione e che ebbe per protagonisti, ai due opposti, il Maestro Alberto Manzi, con la sua trasmissione di alfabetizzazione di massa «Non è mai troppo tardi» e Mike Bongiorno di cui Umberto Eco, nel 1961 ebbe a dire in «Verso una civiltà della visione?»: «Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi».

Da «A Tavola alle 7» a «MasterChef» passando per «Almanacco del giorno dopo»

Se «A Tavola alle 7», del 1971, condotta da Ave Ninchi e Luigi Veronelli, è stata la madre di tutti i programmi televisivi interamente dedicati alla cucina, la rubrica «In cucina» condotta da Vincenzo Buonassisi come inserto di «Almanacco del giorno dopo» è stata l’ultima trasmissione culinaria trasmessa in bianco e nero.

Dopo di loro, come un fiume che rompa gli argini, la cucina tracimerà in televisione occupandola in ogni modo, da ultimo come competizione con la fortunata serie di «MasterChef» che sin dall’inizio ha incollato al video oltre 4 milioni di spettatori a puntata, con uno share del 20%.

Un format in cui il pubblico è sollecitato a fare il tifo per questo o quel concorrente, in cui la cucina è «Food Entertainment», intrattenimento puro ed in cui, parafrasando un famoso aforisma di Jerome K. Jerome moltissimi telespettatori potrebbero dire di sé: «mi piace la cucina, mi affascina completamente; potrei rimanere seduto per ore e ore a guardare qualcuno che cucina».

Il filo conduttore che lega tutti i programmi televisivi culinari è in un’intuizione di Umberto Eco che già nel citato saggio del ’61 affermava che «la TV presenta come ideale l’uomo assolutamente medio».

In televisione, infatti, la cucina è sempre semplificata, ammiccante ed anche dei grandi Chef viene privilegiato il lato umano, la loro capacità di spettacolarizzare un’attività tutto sommato materiale ed in alcuni casi anche abbastanza noiosa come la preparazione dei pasti.

La cucina televisiva non è solo intrattenimento

È educazione alimentare e gastronomica, strumento di formazione attraverso i canali tematici, mezzo per far conoscere culture culinarie altrimenti ignote ai più.

Come e più del web, che presuppone una partecipazione dell’utente come ricercatore d’informazioni in base a delle chiavi che già possiede, la televisione si è trasformata in un colossale e forse inaspettato narratore del cibo in tutte le sue forme ed in tutte le sue sfaccettature.

Uno strumento insostituibile nella cultura di massa a cui si deve in gran parte la trasformazione della cucina da attività materiale ad atto culturale.

Un merito che neppure i più feroci detrattori della televisione, quelli che l’accusano di ogni nefandezza contemporanea, possono negarle.

Foto di Jan Vašek da Pixabay

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