Referendum. La fine dell’unità sindacale

Referendum

Referendum. I risultati dell’ultima consultazione nazionale sono stati fallimentari per chi lo ha proposto. In particolare per la CGIL, organizzazione proponente di quattro quesiti su cinque. Va riconosciuto però al suo segretario Landini di aver ammesso la sconfitta. Anche se si è guardato bene dal dimettersi. Diversamente ha fatto la segretaria del maggior partito di opposizione, che ha sponsorizzato tutti e 5 i quesiti. Elly Schlein infatti si è presentata sorridente davanti ai giornalisti declamando addirittura vittoria.

Secondo la segretaria, il numero degli elettori che hanno votato SI al referendum sarebbe un avviso di sfratto al governo. Ma, nell’entusiasmo, si è sbagliata di fare bene i conti. Perché solo nel primo quesito il numero dei SI è più o meno pari ai voti ottenuti dal cdx alle ultime politiche. Gli altri quattro stanno sotto. Soprattutto il quarto, quello non sindacale ma prettamente politico. Dove i SI sono risultati solo 9 mln, contro i 12,3 del risultato del cdx del 2022.

I numeri ‘veri’ del fallimento del referendum

Ecco invece, secondo noi, numeri veri della debacle relativamente ai primi quattro quesiti del referendum. In Italia ci sono 20,7 mln di lavoratori dipendenti (17 nel privato e 3,7 nel pubblico). Più un altro 1,5 mln in cerca di lavoro o che lo ha perso negli ultimi tre anni. Totale: 22,2 mln di lavoratori dipendenti o disoccupati in cerca di lavoro. Quindi, almeno 10 mln di questi lavoratori o si sono astenuti o hanno votato NO ai quattro quesiti sul lavoro. Sempre che i 13,7 mln di pensionati da lavoro dipendente si siano tutti astenuti. Altrimenti il dato del referendum sarebbe ancor più catastrofico (e secondo noi lo è).

Per miglior comprensione del lettore facciamo presente che anche il pensionato è “tesserabile” dalle OOSS. Quindi dovrebbe essere in linea con le loro disposizioni. Ma, contando i pensionati, su 36 mln di “sindacalizzabili” (22,2+13,7) solo 12 mln hanno seguito il richiamo della CGIL di Landini. Uno su Tre.

Sul quinto quesito del referendum i dati sono ancor più negativi per i proponenti

Il 5° quesito del referendum, invece, era relativo a un problema “politico” e non sindacale. Era stato proposto da +Europa, radicali, Rifondazione comunista e altri gruppuscoli. Ma è stato subito abbracciato con entusiasmo dalla segreteria del PD. Anche rinnegando la linea del partito che sinora voleva introdurre lo jus culturae. Cioè il requisito di una scolarizzazione di almeno cinque anni in Italia. Non la pura e semplice residenza di pari periodo.

I numeri “reali” in tal caso hanno detto: astenuti 70%; NO: 11%; SI: 19%. In sostanza oltre l’80% degli italiani è contrario a facilitare l’italianizzazione degli stranieri regolari. Figuriamoci cosa pensano degli irregolari.

I dati confermano che in Italia qualsiasi iniziativa sindacale può avere successo solo se tutte le organizzazioni si presentano unite. Come si vedrà, ciò non è accaduto.  Inoltre e soprattutto, hanno certificato un distacco del maggior partito di opposizione dalle esigenze degli elettori.

Altri dati confermano il declino della tutela sindacale dei lavoratori

Il problema è che nell’Italia del terzo decennio del XXI secolo, l’azione sindacale si sta rivelando assolutamente insufficiente. Secondo i dati riportati dal Corriere della Sera, infatti, in Italia il lavoro privo di tutele o sotto tutelato continua a crescere. Guardiamo il settore dei servizi, dove sono impiegate 16,7 milioni di persone (il 69,9% dei lavoratori censiti in Italia) e dove la maggioranza è donna (51,7%). In tale segmento, i contratti precari sono il 33%. Quasi il 50% nel settore della ristorazione.

I dati, poi, sono addirittura teorici. Perché il tasso di copertura contrattuale nel terziario è sotto l’80%.  Per quasi 2 milioni di lavoratori non si sa nemmeno quale sia il contratto nazionale del terziario che gli si applica. I loro diritti quindi, sono privi di una protezione legale adeguata.

L’altra faccia del problema è che le OOSS continuano a presentarsi in ordine sparso nell’affrontare la situazione. La CISL, secondo sindacato nazionale, infatti, ha bypassato i referendum per sedersi al tavolo del governo. Impegnandosi invece nella battaglia referendaria, Landini ha voluto spaccare l’unità sindacale e ha perso sonoramente.

Il ricordo del referendum del 1985 sui 4 punti di ‘contingenza’

Nel frattempo, invece, martedì è entrata in vigore la nuova legge sul lavoro nata dall’accordo tra CISL e governo Meloni. Oggetto: la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese. Sostanzialmente, la fine della “lotta di classe”, di marxista memoria. Ma si sappia che sono modalità già sperimentate in Germania sin dal lontano 1951.

In sostanza, previo accordo sindacale aziendale, alcuni rappresentanti dei lavoratori potranno sedere nei consigli di amministrazione. Gli accordi riguarderanno la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva. Le quote azionarie possedute dai dipendenti saranno date dall’ammontare dei premi di produttività che saranno trattenuti a tal fine. Per la sua attuazione, il governo ha stanziato 70,8 mln/esercizio 2025 da destinarsi agli utili dei dividendi da distribuire ai nuovi azionisti. Nonché alle agevolazioni fiscali per i medesimi a fronte dei loro nuovi introiti.

A nostro parere, la nuova legge potrebbe essere un banco di prova per rinnovate iniziative unitarie sindacali. Ma i nostri capelli bianchi ci rendono pessimisti. Abbiamo ancora nelle orecchie un altro referendum proposto dalla sola CGIL nel lontano 1985. Quello sull’abolizione di quattro punti di “contingenza” (altri mondi!). All’epoca il segretario nazionale era l’ex comandante partigiano Bruno Trentin . Quando si accordò con il governo per la definitiva abrogazione della “scala mobile”, fu costretto alle dimissioni. Potremmo mai essere ottimisti?

Foto di Vilius Kukanauskas da Pixabay

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