Palermo: la requisitoria del Pm Tartaglia sul caso Calogero Mannino

mannino-Palermo. Il PM Roberto Tartaglia si è lanciato in una squisitissima requisitoria, ripercorrendo gli episodi più salienti della vita del senatore Calogero Mannino, che nel 1991 sulla base delle dichiarazioni del pentito Rosario Spatola, venne indagato per concorso esterno in associazione mafiosa dal sostituto procuratore di Trapani Francesco Taurisano ed arrestato il 13 febbraio 1995.

Mannino venne scarcerato nel gennaio 1997 per scadenza dei termini di custodia cautelare.

In aula pure l’aggiunto Teresi e i sostituti Di Matteo, Tartaglia e Del Bene, oltre al referente territoriale del Coisp ed alcuni esponenti del mondo dell’associazionismo antimafia.

Mannino è stato messo spesso in relazione con l’omicidio di Giuliano Guazzelli, militare del nucleo investigativo di Palermo che lavorava al fianco del colonnello Giuseppe Russo, indagando sul clan dei Corleonesi.

Proprio Guazzelli era stato incaricato dal procuratore di Agrigento di indagare sulla partecipazione dell’onorevole Calogero Mannino al matrimonio del figlio del boss di Siculiana, Gerlando Caruana.

Guazzelli, soprannominato il “mastino” per la sue capacità investigative, si era trasferito nella città dei templi, per indagare su presunte irregolarità nella gestione della banca di Girgenti e sull’omicidio di Salvatore Curto, (politico del Partito Socialista Italiano) e ben presto era diventato grande conoscitore della “Stidda”, organizzazione mafiosa in competizione con Cosa Nostra nell’agrigentino.

Per quanto riguarda le misteriose amicizie di Mannino, Guazzelli sottopose un primo rapporto al procuratore Vajola, ma esso venne cassato e il maresciallo dovette rifarlo.

Qualche tempo dopo tuttavia fu ritrovato il documento originale presso la caserma di Agrigento ed il figlio Riccardo riferì ai magistrati che il padre gli aveva confidato “le carte di Mannino sono state messe a posto dal Messana”. Disse pure che Mannino aveva manifestato al padre timori per la sua incolumità, “o ammazzano me o ammazzano Lima”.

Ebbene Lima fu freddato nel marzo del 1992 e il Guazzelli il 4 aprile 1992, sulla strada Agrigento-Porto Empedocle sulla sua auto Fiat Ritmo.

A rivendicare l’attentato fu la Falange armata, che in una nota scrisse “Tenendo fede all’annuncio fatto, il comitato politico della Falange Armata, in piena autorità e perfetta convergenza, si assume la paternità politica e la responsabilità morale dell’azione condotta ancora in Sicilia contro il maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli”. Le stesse parole furono usate per l’omicidio Lima meno un mese prima, da un ignoto interlocutore che telefonò all’Ansa di Bari alle 11:25 del 5 aprile 1992.

Mannino, durante un intervista rilasciata ad Antonio Padellaro, disse “Per il maxiprocesso fu raggiunta una specie di accordo con il potere politico. Voi – disse Cosa Nostra – ingabbiate la mafia perdente e alcuni marginali della mafia vincente. Ma l’accordo è che alla fine di questo iter c’è la Cassazione, che ci rimetterà in libertà. Noi nel frattempo ce ne restiamo buoni e calmi continuando a fare i nostri affari. Ma il Governo non ha rispettato i patti e Andreotti ha fatto approvare una serie di leggi repressive”. Poi aggiunse “ho orrore di restare in questa condizione di condannato a morte. Sento che sto per perdere la ragione. Maledico il giorno in cui ho iniziato a fare politica”.

Insomma, la morte di Guazzelli sarebbe servita per dare un segnale a Mannino, almeno questo è ciò che pensa Roberto Tartaglia, il quale ha sottolineato che con quel delitto Cosa Nostra ha voluto colpire “l’uomo di azione di Calogero Mannino, l’uomo-cerniera tra Mannino e Subranni”, visto che “era stato incaricato da Mannino e Subranni di occuparsi anche della mediazione tra i due per la soluzione del delicatissimo problema del pericolo di morte per Mannino”.

Per il Pm l’omicidio dimostra al Ros e a Mannino che il problema “è serissimo” e quindi “comporta la necessità di quella interlocuzione piena ed occulta con i vertici di Cosa Nostra che infatti, di lì a pochissimo, gli uomini di Subranni, Mori e De Donno, avvieranno con Vito Ciancimino”.

Poi Tartaglia spiega che l’obiettivo della Falange Armata “non era quello di depistare, ma quello di destabilizzare”.

Anche il gip Pier Giorgio Morosini nel decreto di rinvio a giudizio del processo sulla trattativa Stato-mafia aveva dichiarato “Dall’esame delle fonti indicate si ricavano elementi a sostegno di una ipotesi di esistenza di un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai paesi dell’est dell’Europa. Nel perseguimento di questo progetto Cosa Nostra sarebbe alleata con consorterie di ‘diversa estrazione’, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messinese). E nelle intese per dare forma a tale progetto sarebbero coinvolti ‘uomini cerniera’ tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti deviati dei servizi di sicurezza e della massoneria”.

Tartaglia si è poi soffermato sulle otto pagine anonime inviate a 39 figure istituzionali tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992 (pure Borsellino ne ricevette copia) del “Corvo2”, che “descrivevano complessivamente l’instaurazione di un canale di comunicazione, in seguito ed a causa dell’omicidio di Salvo Lima, tra esponenti politici, tra cui Mannino, e i vertici di Cosa Nostra”.

Borsellino si interessò della questione tanto che il 25 giugno 1992 incontrò Carmelo Canale, Mori, De Donno.

Il Pm ha infine insistito sulle ansie di Subranni affermando “prima, i carabinieri fecero filtrare una notizia all’Ansa, secondo cui quell’anonimo era carta straccia. Poi, dopo la morte di Borsellino, Subranni chiese addirittura alla procura di archiviare l’inchiesta sull’anonimo”.

Stesse preoccupazioni investirono l’agente dei Servizi segreti Angelo Sinesio che chiese più volte al pm Alessandra Camassa quali fossero le ultime indagini di Borsellino e l’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada si incontrò diverse volte con Subranni e Mannino. Tartaglia insiste “Non può davvero sfuggire il motivo per cui Contrada, indicato nelle agende come presente ai primi incontri Mannino-Subranni, fosse fino a tal punto interessato a sapere a quali risultati su Mannino e sul Corvo 2 fosse arrivato con la sua indagine Paolo Borsellino prima di morire”.

Adesso non ci tocca che attendere l’8 novembre per il proseguimento della requisitoria.

di Simona Mazza

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