Nei cuori pieni di potenza, di ricchezza e di prestigio non c’è posto per la fede

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Uno spirito entrò in me” (Ez2, 2-5), dice Ezechiele nella prima lettura di oggi, manifestando la volontà di obbedire all’invito di Dio, quello cioè, di porsi in ascolto della sua Parola e di compiere una missione molto impegnativa: “Io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me; quelli ai quali ti mando sono figli testardi dal cuore indurito; sono una genia di ribelli”. Tuttavia, se da un lato tale missione si prospetta difficilissima, dall’altro certamente non sarà priva di frutti: “Ascoltino o non ascoltinodice il Signore ad Ezechiele – sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”.

Al nostro protagonista, quindi, è richiesta coerenza, fedeltà, perseveranza nel portare avanti questa difficile missione che certamente sarà sostenuta dall’intervento di Dio. Quello di Ezechiele, come quello di tutti i profeti dell’antico testamento, era un ministero molto impegnativo che mirava soprattutto a sanare le trasgressioni che il popolo praticava nei confronti della Sacra Alleanza stipulata con Dio. Lo stesso ministero, con tutte le sue difficoltà, è affidato ad ogni credente nel giorno del proprio Battesimo attraverso il conferimento del ministero regale, sacerdotale e profetico, un mandato quest’ultimo, che ha la caratteristica peculiare di annunciare il mistero di Cristo con la diffusione del Vangelo; altre parole, diverse da quelle di Cristo, non si annunciano.

Tutti i Profeti dell’Antico Testamento, infatti, annunciavano soltanto la Parola del Signore. Ma che cos’è questo carisma? Il carisma profetico non è altro che un dono di Dio consegnato gratuitamente a coloro che gli sono fedeli. Sfogliando le tante pagine dell’Antico Testamento si comprende bene come l’azione dei Profeti era sì, un atto di obbedienza a Dio ma anche espressione dell’amore di Dio per l’uomo. Il carisma dei profeti, infatti, aveva un duplice aspetto: il primo, riguardava la rivelazione di alcune situazioni in procinto di accadere: i profeti, quindi, si facevano voce del Signore e avvertivano il popolo a sostenere questi accadimenti rimanendo saldi nella fede in Dio.

Il secondo aspetto, invece, riguardava la denuncia dell’infedeltà del popolo: i profeti, a nome di Dio, a volte anche con toni abbastanza accesi, richiamavano apertamente il popolo a ravvedersi e a convertirsi all’amore di Dio. Ed oggi, possiamo parlare ancora di profetismo? Certamente, se esso lo consideriamo come un dono dello Spirito Santo, da investire soprattutto nell’ambito della testimonianza di Gesù. E a proposito, l’esempio che l’Apostolo Paolo ci consegna nella seconda lettura di oggi (2Cor 12, 7-10) è illuminante. Paolo avvertiva forte la voce della sua umanità che gli suggeriva erroneamente di annunciare il Vangelo attraverso la forza e la determinazione. Ma Dio intervenne ed aiutò Paolo a tenere in scacco la voce della sua carne, facendogli riscoprire l’inestimabile dono dell’umiltà. La spina a cui accenna l’Apostolo era una martellante agitazione sensuale. Paolo domandò più volte di essere liberato, ma Gesù non lo fece perché doveva bastargli la sua grazia. Paolo, allora, comprese l’utilità di quella sofferenza inaudita, concessa da Dio perché egli non montasse in superbia a causa delle rivelazioni ricevute.

Ecco perché Paolo, e assieme a lui tutti i valorosi testimoni di Cristo sanno che quando si è deboli è allora che si è forti. La debolezza, infatti, ci accompagna all’umiltà, alla preghiera, alla vigilanza e all’amore per il prossimo. Anche Cristo, ci dice Paolo, venne a noi nella debolezza (2Cor 13,4) e per questo fu crocifisso. Poteva venire a noi con la forza, affiancato da legioni di angeli sterminatori (Mt 26,53) ed invece Egli ha preferito la povertà e la ristrettezza. Nacque, infatti, in una stalla, si guadagnò il pane nella falegnameria di Giuseppe, camminò a piedi per città e villaggi, si circondò di discepoli senza cultura e, infine, morì su una croce dei romani. Quando si recò a Nazareth dovette gridare: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Un profeta, infatti, è un uomo al servizio di Dio, la sua forza è solo Dio e per questo non si ammanta di prestigio o di onorificenze. A Nazareth compariva la debolezza dei suoi natali e, dunque, quanto operava non poteva certamente venire da Dio.

Secondo gli abitanti di Nazareth, infatti, la venuta del Messia doveva avere i toni della solennità e del prestigio. Ecco perchè si scandalizzavano di lui, e a causa della loro poca fede là Gesù fece solo pochi miracoli. Nei cuori pieni di potenza, di ricchezza e di prestigio non c’è posto per la fede. E quante volte gli uomini hanno girato le spalle a Cristo per seguire la logica del potere? Quando si tratta di difendere la verità, carissimi, dobbiamo avere il coraggio di andare sempre fino in fondo e costruire il nostro futuro soprattutto attuando l’insegnamento di Gesù.

Divulghiamo con coraggio gli ideali cristiani attraverso l’educazione, la mitezza, il rispetto e seminando la cultura dell’amore e della verità laddove il Signore ci chiama ad operare. Il mondo che ci circonda, laico e lontano da Dio, pensa che l’ideale del cristiano sia la debolezza; ma noi sappiamo che non è così: dietro quella presunta debolezza si cela un grande precetto che Gesù continua a lasciarci in eredità e che spesso anche noi, purtroppo, dimentichiamo: “Amate i vostri nemici” (Mt5,44). Aveva ragione S. Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”. Invochiamo la Vergine Maria perché sorregga la nostra debolezza e ci aiuti ad amare sinceramente ogni fratello. Amen.

Fra’ Frisina

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