L’escluso con gli occhiali d’oro

l'escluso

Nella prima pagina di Gli occhiali d’oro (1958), l’autore Giorgio Bassani — attraverso la voce del ventenne israelita che fa da narratore interno — dice: «Athos Fadigati […] l’otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in via Gorgadello, a due passi da piazza delle Erbe, e che è finito così male, poveruomo, così tragicamente, proprio lui che da giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra città dalla nativa Venezia, era parso destinato alla più regolare, più tranquilla, e per ciò stesso più invidiabile delle carriere». 

La prima immagine che ci viene restituita del dottor Fadigati è quella di un uomo finito male anche se nella sua vita sembravano esserci tutti i presupposti per un’esistenza serena. Bassani utilizza le parole «tranquilla» e «regolare», due aggettivi legati tra loro perché in una dimensione intransigente come quella della borghesia ferrarese degli anni Trenta, non si può vivere tranquilli se non conformandosi alle regole imposte dalla società del tempo. Ma Fadigati non può conformarsi. Si tratta di un individuo fuori dall’ordinario da diversi punti di vista. Un uomo coltissimo e originale che all’inizio affascina i ferraresi dell’alta borghesia, poi li incuriosisce e infine li indigna. 

Originalità e esclusione

In un primo momento la diversità del dottore sembra essere ben accolta. Questo solo perché appare come una versione potenziata delle virtù che dovrebbe avere qualsiasi buon cittadino: «Erano piaciuti i suoi modi cortesi, discreti, il suo evidente disinteresse, il suo ragionevole spirito di carità nei confronti dei malati più poveri». Ma anche i suoi occhiali d’oro scintillanti, la sua «pinguedine niente affatto sgradevole» e la modernità ordinata del suo ambulatorio concorrono a renderlo attraente e rassicurante. 

Le cose cambiano quando la società inizia a riscontrare le prime “irregolarità” nel suo stile di vita. Ciò che suscita maggiore perplessità nei ferraresi è il fatto che pur essendo il classico “buon partito” il dottore non abbia intenzione di prendere moglie. La sua solitudine attira il pettegolezzo e quando la sua omosessualità viene fuori la società lo biasima, ma non lo esclude del tutto. Decide bensì di scindere il medico abile e riservato del giorno dall’uomo misterioso e scandaloso che sopraggiunge la sera. Lo tratta come se fosse due persone diverse, il dottor Jekyll e Mr. Hyde, anche se ben presto l’emarginazione di Hyde lascerà sempre meno spazio all’accettazione di Jekyll.

Il diverso, la colpa, l’attesa

I destini di Fadigati e del narratore si incrociano nel 1937. A quest’altezza tutti sanno da tempo dell’omosessualità del dottore e in Italia si stanno già manifestando le prime avvisaglie antisemitiche che porteranno alle leggi razziali. Sono due drammi molto diversi quelli dei due personaggi. Drammi che tuttavia condividono il vero tema di Gli occhiali d’oro: l’esclusione del diverso, colpevolizzato per la sua diversità. Come scrive Cristiano Spila in Perennemente indietro a guardare — La lunga elegia del romanzo di Ferrara:  «La squallida vicenda del dottor Athos Fadigati, che da stimato professionista decade fino a diventare un escluso, […] rivela per gradi al giovane ventenne israelita la disumana atroce situazione del reprobo, del reietto, dell’alienato, in cui egli stesso si trova per la “colpa” di essere un giudeo». 

La vicenda del dottore diventa il metro su cui il coprotagonista misura il proprio senso di esclusione. Ma non solo: rappresenta l’emarginazione in generale. La sofferenza di Fadigati e poi quella del giovane israelita esplicitano, per usare ancora le parole di Spila, «la vicenda dell’uomo che, dall’esilio sociale e dalla solitudine, dalla cacciata di un mondo che gli garantisce una realtà, si protende nel buio, “là in fondo”, ad attendere un mutamento che non viene». Ma se Fadigati, ormai intollerante anche a se stesso, decide di morire, la storia del narratore ha un esito diverso. Per un attimo, davanti al cimitero israelita, egli sente scemare il suo senso di esclusione. A prevalere adesso è il senso di appartenenza, l’amore per le proprie origini e l’orgoglio del la propria identità. Armi potenti che se anche non impediscono di escludere, consentono di non sentirsi esclusi.

Foto di Manfred Antranias Zimmer da Pixabay

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