Le Scuole d’ Arte e Mestieri del comune di Roma: un grande futuro dietro alle spalle

Quando, il 20 settembre 1870, lo Stato italiano entrò in Roma tramite la breccia di Porta Pia, ponendo fine al potere temporale dei Papi, si pose il problema di dare alla Capitale un’istruzione laica, in linea con le finalità politiche del nuovo Stato. Nel 1871, prima ancora degli “storici” licei classici della Capitale (Visconti, Mamiani, Tasso, Umberto I) fu aperta la Scuola comunale di Arte e dei Mestieri, intitolata a Nicola Zabaglia, geniale muratore del ‘600, capo mastro della Fabbrica di San Pietro e inventore di numerose macchine per l’edilizia. Quella scuola esiste tuttora ed attualmente è ubicata in Via San Paolo alla Regola, presso Campo de’ Fiori.

Quattro anni dopo, in Via Farini, sorse la scuola tecnica comunale Ettore Rolli, dal nome del botanico che volle finanziarla con una donazione annua di 500 lire di allora; la sua sede attuale è in Via Macedonia, al quartiere Appio Latino. Nel 1885, in Via San Sebastianello (dietro Piazza di Spagna), fu inaugurata la scuola Arti ornamentali, allo scopo di fornire le basi per accedere al Museo Artistico Industriale, una raccolta di manufatti, vetri, ceramiche, stoffe dipinte, calchi in gesso, fotografie ed altro. Quando il museo fu soppresso e il suo patrimonio suddiviso negli altri musei di Roma, la scuola rimase, per formare allievi e futuri artigiani artistici. Nel 1887 la sede fu trasferita a Via di San Giacomo – dove esiste tuttora – nei locali di un antico palazzo del XVII secolo. A completare, in Roma, l’offerta formativa nel settore artistico ed artigianale giunse più tardi la Scuola Scienza e tecnica, attualmente in Viale Glorioso, a Trastevere.

146 anni di formazione artistica per giovani e meno giovani

Le quattro scuole comunali d’arte e mestieri hanno seguito quindi un percorso di quasi un secolo e mezzo, formando generazioni di artisti che hanno dato un’impronta significativa alla cultura italiana e a Roma, in particolare. Un nome tra tutti: Mario Mafai, allievo della Scuola Arti ornamentali e poi fondatore della “scuola romana” di pittura, la più importante corrente pittorica italiana del XX secolo, insieme a Scipione, Renato Marino Mazzacurati e Antonietta Raphaël. Tuttora, le quattro scuole costituiscono una delle più accreditate realtà formative nel settore artistico ed artigianale, radicate nel contesto storico e sociale della città, con i loro laboratori, le attrezzature e le biblioteche.

Alla Zabaglia sono presenti corsi di pittura, mosaico, affresco, modellazione della ceramica, illustrazione e grafica, nonché corsi dedicati alla conservazione e al restauro di materiali che vanno dal marmo ai pellami e al mosaico. Alla Ettore Rolli si tengono corsi di fotografia con varie specializzazioni, tra cui quella di reportage fotografico, di grafica, informatica e progettazione e di realizzazione di vetrate artistiche. Nella scuola Arti ornamentali, i corsi più apprezzati sono quelli di pittura, oreficeria, cesteria, arazzo, tessitura, moda, arredamento d’interni, incisione, restauro del mobile e della ceramica. La scuola Scienza e Tecnica, nel tempo, si è caratterizzata sulle tematiche del verde secondo lo stile dell’ecocompatibile, allestendo corsi di erboristeria, arte e arredo dei giardini, erbari e paesaggi minimi, moda con materiali riciclati, ma anche fotografia, informatica, web master e web design. Attualmente, il numero degli allievi varia dai 700 ai 900 l’anno.

Problemi di bilancio e di riconoscimento degli attestati di qualifica

Nonostante il glorioso passato e la qualità dell’offerta formativa, le quattro scuole d’Arte e Mestieri, quasi quarant’anni fa, hanno perso la loro “battaglia per la vita”. La regione Lazio, autorizzata in base alla legge 845/1978, non riconobbe alcun valore legale ai diplomi e agli attestati da esse rilasciati. Fu l’inizio del declino. Sorse poi, nell’ordinamento italiano, la frenesia delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni che sta a mettendo a rischio le basi stesse dello Stato sociale nato dalla Costituzione, nemmeno fossimo ai tempi di Quintino Sella e di Marco Minghetti.

Così qualcuno si è messo a fare due conti ed è emerso che i contributi degli allievi coprono meno di un quarto dei costi di funzionamento delle quattro scuole; che i corsi possono essere attivati con la presenza di un minimo di sei allievi ma che difficilmente si raggiunge il numero di 12-14 alunni per corso. Di qui a all’assunto ragionieristico che il Comune possa essere in grado di mantenere il servizio solo quadruplicando le rette e/o allestire corsi – a parità di contributo/allievo – con un minimo di allievi moltiplicato per quattro, il passo è breve. E’ il problema che si pone tutti gli anni, in sede di approvazione del Bilancio comunale.

Unica soluzione: l’inserimento nel sistema della Formazione professionale

L’amministrazione Veltroni, poco prima di dare le dimissioni, giunse alla conclusione di inserire le Scuole d’Arte e Mestieri nel sistema della Formazione Professionale comunale, che gestisce altri nove Centri di Formazione, riconosciuti dalla Regione Lazio, anche per quanto riguarda la legalità del titolo di studio. Con Alemanno, il settore venne trasferito dal Dipartimento delle Politiche scolastiche ed educative a quello della Formazione e del Lavoro. Poi, però, non si è fatto alcun passo. Quest’anno, la crisi è divenuta più acuta.

Con il jobs act, infatti, non è più possibile stipulare contratti occasionali per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche e solo 11 docenti delle Scuole d’arte sono contrattualizzati a tempo indeterminato (sia pure part time). Altri ottanta circa hanno sinora operato con le modalità più stravaganti (co.co.co; co.co.pro; partita iva, ecc.), spesso riscuotendo lo stipendio dopo mesi e mesi. L’amministrazione Raggi avrebbe dovuto fare un concorso, come si è fatto per la “buona scuola” ma non lo ha fatto e ora non sa che pesci prendere. Nel frattempo i docenti sono scesi in piazza e solo pochi corsi sono stati attivati.

Per le Scuole d’Arte e Mestieri di Roma Capitale, dopo 146 anni, si profila “un grande futuro dietro le spalle”, come per il ciclista Gibì Baronchelli che, a soli ventun anni, al Giro d’Italia, riuscì quasi a battere Merckx. Poi però non vinse nulla di straordinariamente importante e gli fu affibbiato tale soprannome.

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