Lavoro oggi, in Italia non è più il sovrano dell’esistenza

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Lavoro. Francesco Delzio è un quarantenne docente universitario e manager pubblico/privato di successo. Ha recentemente pubblicato: “L’era del lavoro libero. Senza vincoli né barriere. Siamo pronti a questa rivoluzione?”. I contenuti del libro sono stati analizzati martedì 23 maggio, a Roma, nella splendida cornice del Fauno Urban Resort. Uno splendido villino all’Aventino progettato dall’arch. Lucio Passarelli negli anni sessanta.

L’incontro è stato allestito dall’associazione “VisioneRoma” ed ha avuto come oggetto un libero confronto tra l’autore e il sociologo Domenico De Masi. Ha moderato Claudio Minelli, coordinatore dell’associazione organizzatrice dell’evento. Lo stesso è stato trasmesso in diretta dalla storica emittente radiofonica locale “Radio Roma”.

Considerazioni di Francesco Delzio sulle nuove dinamiche del lavoro

Delzio ha sintetizzato in poche parole la tematica principale del suo libro. Cioè che il lavoro non è più il sovrano assoluto dell’esistenza dell’italiano medio. L’uomo della strada, leggendolo, può porsi alcune domande. «Questo scenario non è ancora troppo lontano? È relativo ad oggi o già riflette il domani?». L’autore si è detto consapevole delle perplessità del lettore. Ma, in realtà, il libro descrive un futuro già in atto. Il covid ne ha solo accelerato la presenza. Gli attuali richiedenti lavoro, infatti, oggi chiedono alle imprese quale formazione dovranno acquisire e quanta flessibilità potranno ottenere. Il problema della quantificazione dello stipendio o dell’orario di lavoro è divenuto secondario.

La consapevolezza di tale fenomeno è molto scarsa non solo nell’opinione pubblica ma anche nel mondo dell’impresa. I modelli organizzativi degli imprenditori italiani sono infatti molto arretrati, rispetto al resto dei paesi industrializzati. Lo smart working è stato subìto dalle imprese che ancora sperano di tornare completamente all’era pre-covid. Non comprendendo che è un’innovazione che fa risparmiare. E inoltre va incontro alle esigenze di flessibilità del lavoratore.

Il divorzio tra la politica e il mondo del lavoro

Tra la politica italiana e il mondo del lavoro, poi, è in atto addirittura un divorzio. In Italia non esiste un partito laburista né altri partiti che pongono il lavoro al centro della loro missione. Con buona pace dell’art. 1 della Costituzione, secondo cui “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Il fenomeno rischia di provocare una bomba sociale. La mancanza di politiche attive del lavoro da parte dello Stato ne è uno dei motivi principali. Il decremento demografico ne limiterà quantitativamente i danni sociali ma con conseguenze nefaste sul lato dei conti dello Stato.

L’Italia, inoltre, è sorprendentemente indietro per quanto riguarda il miglioramento della qualità dell’ambiente di lavoro. Solo il 5% dei lavoratori è soddisfatto del proprio lavoro e delle sue ricadute in termini di qualità della vita. È il dato più basso tra i paesi industrializzati. L’imprenditoria italiana è troppo focalizzata sui benefici immediati della gestione dell’azienda. Non considera i costi per il miglioramento della qualità dell’ambiente come un investimento a medio e lungo periodo. Invece è proprio tale fattore che, già oggi, potrebbe incrementare la produttività del lavoro.

Le previsioni del sociologo Domenico De Masi

Domenico De Masi ha preso spunto delle affermazioni di Delzio per estremizzarne le conclusioni. Secondo il sociologo, sin dai tempi dell’invenzione della ruota l’essere umano ha mirato all’affrancamento dalla fatica e quindi dal lavoro. Negli anni novanta Steve Jobs ha ideato lo smart working sostanzialmente con lo stesso fine. Oggi in molti paesi si sta introducendo la riduzione dell’orario di lavoro e la settimana cortissima. Sono due elementi che consentono di lavorare meno per produrre di più.

Nel 1930 John Maynard Keynes espose le sue previsioni economiche per i successivi 100 anni. Previde una drastica diminuzione degli occupati nell’industria per far posto al lavoro nei servizi. Ciò si è assolutamente avverato. Sulla scia dell’economista britannico, De Masi ha esposto la sua previsione per i prossimi 20 anni. Azzardando una drastica diminuzione anche degli occupati nei servizi per far posto al lavoro “creativo”.

Lavoro ‘creativo’ ma per pochissimi nello scenario di De Masi

Grazie all’intelligenza artificiale – secondo De Masi – il grosso del lavoro verrà svolto da pochi creativi. Costoro si occuperanno soltanto di predisporre i programmi informatizzati per i robot. Rimarranno soltanto i lavori concernenti la cura della persona, dell’ambiente e il turismo. Il sociologo ha solo vagamente accennato che, nel breve e medio periodo, i lavori di fatica potranno essere svolti dai miliardi di migranti dal terzo mondo.

De Masi sembra addirittura godere del fenomeno da lui descritto. Afferma anzi, da buon napoletano, che l’ozio creativo sia il massimo che si possa richiedere dalla vita. Non dice, però l’inesorabile conseguenza del suo assunto: 1) il lavoro enormemente produttivo di pochissimi creativi frutterà solo a quei pochissimi. Ingigantendo a dismisura le disuguaglianze sociali. 2) Come vivrà l’enorme massa dei disoccupati? 3) Chi contribuirà per le loro pensioni o per un eventuale reddito di cittadinanza, tanto magnificato da De Masi?

Saranno le aziende ha trovare la ‘quadra’ dei fenomeni in atto

Delzio si discosta dalle conclusioni di De Masi, riaffermando il tema del sottotitolo del libro. Cioè la necessità di governare la rivoluzione in atto. Il sottoscritto ne ha approfittato per domandargli quale fosse, secondo lui, la soluzione “reale” del fenomeno. Non senza aver puntualizzato che quegli Stati europei più avanti di noi sul lato della qualità del lavoro già registrano molti “inoccupati” in meno. Di conseguenza – ha proseguito chi scrive – una soluzione deve necessariamente esistere.

L’autore ha risposto che, almeno in Italia, la soluzione – comunque parziale – sarà quella più soddisfacente alla parte datoriale. Non a quella dei richiedenti lavoro. Con buona pace delle aspirazioni di maggior flessibilità e qualità del lavoro di quest’ultimi. Saranno gli imprenditori a definire i nuovi equilibri secondo le proprie strategie aziendali. Necessariamente, quindi, soltanto a livello locale e settoriale. Un metodo, però, che l’autore già afferma di non condividere.

Foto di Lukas Bieri da Pixabay

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