L’atteggiamento dei cristiani non può essere regolato dalla legge del taglione

rambo-2-la-vendetta_11654

Il perdono non è una novità portata dal cristianesimo e la domanda di Pietro rivolta Gesù, che troviamo nel Vangelo di questa domenica (Mt 18, 21-35), ce lo rivela chiaramente. Il dialogo tra Pietro e Gesù ha a monte la tematica della correzione fraterna, lezione già abbondantemente trattata dal Divino Maestro domenica scorsa e che vede nell’esercizio del perdono continuo il cuore e il centro del messaggio cristiano.

Pietro ha seguito con molta attenzione l’insegnamento del Maestro ed è rimasto affascinato dalla lezione di Gesù: chi sbaglia prima va esortato personalmente; se sbaglia nuovamente, va ripreso alla presenza di testimone; infine, se recidivo, intervenga la comunità. Una “santa pazienza”, diremmo, da esercitare nei confronti di chi sbaglia. E Pietro, allora, chiede: “Quante volte bisogna perdonare?” La domanda dell’Apostolo è impregnata di giudaismo e non poteva essere diversamente dal momento che in tema di perdono ogni scuola rabbinica rispettava le sue regole, attribuendo al perdono una visione prettamente legalista e formale. Tuttavia, la maggior parte dei rabbì esortava i propri discepoli a perdonare almeno tre volte, ricalcando, così, l’esempio di Dio che, secondo la mentalità dell’antico Israele, concedeva il suo perdono solo tre volte. Pietro sa bene che la tematica del perdono è molto cara a Gesù; pertanto, gli presenta una specie di “tariffario”, grazie al quale i discepoli potranno fare meglio degli altri: perdonare cioè, fino a sette volte. Pietro rivela, così, la sua intraprendenza e, anche stavolta, non conosce appieno la difficoltà di ciò che propone.

Infatti, chi di noi riuscirebbe a perdonare un’offesa per “sette volte”? Si ha difficoltà a perdonare tre volte, figuriamoci sette! Pietro, dicendo ‘sette volte’, vuole strafare e interviene perché conosce bene le intenzioni di Gesù che sul perdono ha un concetto piuttosto ‘esagerato’. Infatti, alla domanda di Pietro il Maestro risponde che bisogna perdonare fino a “settanta volte sette”, cioè, sempre. Vestiamo per un attimo i panni di Pietro oppure quelli degli Apostoli che hanno udito sbigottiti dalle labbra di Gesù questa emblematica risposta. La nostra riflessione ci porterebbe a dire che o si tratta di uno scherzo oppure l’espressione di Gesù è volutamente esagerata per far capire che il perdono non è assolutamente una questione di calcoli o di conteggi, ma una disposizione della mente e del cuore che nasce da una certezza, quella cioè, di aver sempre ricevuto da Dio un perdono più grande delle nostre mancanze.

Da questa verità ricaviamo sane coordinate per impostare la nostra vita sull’amore. Tutto ciò porta inevitabilmente ciascuno di noi a dimenticare le offese ricevute, a creare una mentalità di riconciliazione attraverso la non violenza e la non vendetta. In un cuore rapito dall’amore di Dio non c’è spazio per il male, non c’è posto per quel diabolico desiderio di augurare agli altri lo stesso male che ci è stato inflitto. A noi, quindi, il difficile compito di perdonare senza fare calcoli o conteggi. Al contrario, saremo sempre in debito con Dio. Ce lo insegna la parabola narrata dal Vangelo di oggi il cui messaggio ci aiuta a comprendere cos’è veramente il perdono cristiano. Il perdono che Gesù vuole inculcare nella mente dei suoi discepoli non è basato sul concetto di ‘giusta retribuzione’. Da esperto rabbì, Gesù sa bene che Dio, nei nostri confronti e per nostra grazia “non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 102).

Il Dio annunciato da Gesù Cristo altro non è che clemenza e misericordia senza limiti. Pertanto, l’atteggiamento dei cristiani non può essere regolato dalla legge del taglione (occhio per occhio) o dal concetto di retribuzione (io ti pago per ciò che hai fatto); sarebbe un agire umano impostato su una certa logica di vendetta (io do a te ciò che tu hai dato a me, nel bene e nel male). Le nostre relazioni, invece, devono essere illuminate dal rapporto che Dio intesse con l’uomo; relazione questa che, come ci ricorda il libro del Siracide nella prima lettura di questa domenica (Sir 27, 33; 28,9), trova la sua forza e il suo vigore nella fedeltà all’Alleanza. Se Dio ama e perdona sempre, chiediamoci perché l’uomo non debba fare altrettanto? Abbandonare “l’uomo vecchio” (di paolina memoria) significa conformarsi in tutto alla pedagogia di Dio, basata questa, solo sull’amore. Sì, è difficile! Ma non è impossibile! Ce lo insegnano i Santi il cui messaggio ogni giorno possiamo vivere ed incarnare.

Lo ribadiamo, il perdono non è la novità portata dal cristianesimo. La ‘folle perseveranza’ nel perdonare, l’imperterrita intenzione di realizzare il Regno di Dio attraverso la pace, la costante e personale dedizione a questo Regno al fine di costruire una nuova società attraverso la propagazione della cultura della vita, la tenace difesa e custodia del bene comune attraverso le armi della non violenza, tutto ciò ed altro ancora, rappresentano la novità apportata da Cristo e dal suo Vangelo.

Sul perdono, infine, vorrei proporvi una bellissima pagina di S. Francesco di Paola, mio Padre Fondatore che esorta: “Deponete ogni odio e inimicizia, guardatevi diligentemente dalle parole più aspre e, se ne uscissero dalla vostra bocca, non vi rincresca di rimediare. E così, perdonatevi a vicenda e non pensate più all’ingiuria ricevuta. Il ricordo della malvagità è, infatti, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana”.

Fra’ Frisina

Nella foto Sylvester Stallone in una scena di Rambo 2 – La vendetta: silenzio-in-sala.com

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.