L’arte racconta: il mosaico di Teodora nella Basilica di San Vitale a Ravenna

Commissionata dal vescovo Ecclesio e realizzata grazie al finanziamento del ricco banchiere Giuliano Argentario, la Basilica di San Vitale fu consacrata nel 547 dall’arcivescovo Massimiano.

I lavori, iniziati durante il regno ostrogoto di Teodorico e durati circa vent’anni, restituirono un elegante edificio a pianta ottagonale originariamente preceduto da un quadriportico.

La Chiesa fu innalzata in un momento cruciale per la storia dell’architettura, proprio quando il tramonto del tardo antico apriva la strada alla prima decade dell’arte bizantina.

San Vitale è uno dei più illustri esempi di monumenti paleocristiani tanto da essere stata inserita nel 1996 tra i siti dell’UNESCO.

Sotto questo profilo si pone in linea con le altre Basiliche di quel periodo: a Costantinopoli, odierna Istanbul, c’era Hagia Sophia cioè Santa Sofia oppure la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco (oggi Piccola Santa Sofia) che trasse ispirazione proprio da San Vitale; a Ravenna c’era invece la famosa Basilica di Sant’Apollinare in Classe, anch’essa consacrata dall’arcivescovo Massimiano.

Ma per quale ragione questo ponte tra Costantinopoli e Ravenna, due luoghi all’apparenza tanto lontani? Dobbiamo fare un piccolo passo indietro nella storia.

Nel 527 era succeduto al trono d’Oriente Giustiniano, nipote di Giustino, affiancato dalla bella e volitiva consorte Teodora. Il sogno del nuovo imperatore era di riportare tutto il mediterraneo sotto l’autorità romana riconquistando i territori occidentali in mano ai barbari.

Nel 535, Giustiniano diede il via alla guerra greco gotica: diciotto anni di lunghe battaglie al termine delle quali i bizantini, guidati prima da Belisario e poi da Narsete, riuscirono a sconfiggere i nemici riprendendo i domini in Italia.

Una vittoria, certo, ma non un trionfo.

Le alterne vicende della guerra avevano infatti indebolito non poco la salute e le casse del popolo, senza contare le innumerevoli vittime. Fra l’altro non fu nemmeno una conquista duratura .

La Restauratio Imperii aveva però confermato nuovamente Ravenna come capitale, anche se questa volta dell’impero bizantino in Italia.

Ed è proprio in questo contesto che s’inserisce l’edificazione della Basilica di San Vitale, una delle principali attrazioni della città emiliana.

L’ente ecclesiastico che ne ha la custodia, scrive infatti che “entrare in San Vitale è una specie di esperienza mistica. San Vitale t’inebria, ti avvolge e ti culla”. E’ un luogo unico al mondo, una delle poche costruzioni di quel periodo a essere rimasta inalterata fino ad oggi.

E allora varchiamo anche noi la soglia d’ingresso e lasciamoci avvolgere da quell’atmosfera sensoriale. Incamminiamoci virtualmente fra le sue mura e raggiungiamo il presbiterio.

Lì, in un tripudio di oro e luminosità, troveremo due mosaici, l’uno di fronte all’altro, raffiguranti proprio Giustiniano e la moglie Teodora.

Sarebbe naturale dedicare la nostra attenzione all’Imperatore d’Oriente ma non lo faremo. Non questa volta.

Il vero mistero è racchiuso nella figura di Teodora. Ballerina, cortigiana, sovrana. Una figura avvolta nelle nebbie del passato.

Per alcuni l’unico vero uomo dell’impero.

Il pannello di Teodora

Quando il visitatore entra in San Vitale, sente come se avesse varcato il passaggio tra due mondi.

All’esterno la Basilica si presenta in modo semplice, senza tanti fronzoli, con mattoni a vista e pareti rivestite da finestre, ma è l’interno a lasciare stupiti. Ricchi e raffinati mosaici dalle tessere vibranti che giocano, in un vortice di colori e luci, con i raggi che penetrano dalle vetrate: ogni tessera, colpita dal sole, s’irradia in mille intense sfumature.

Forse già un simbolismo: il buon cristiano deve infatti mostrarsi umile nelle manifestazioni esteriori del suo essere prediligendo la cura della profondità della sua anima, la spiritualità. Il fedele entra nella Chiesa proprio per abbandonare il fardello dei suoi peccati e trovare ristoro nella luce salvifica di Cristo.

L’intera area del presbiterio è rivestita da mosaici con temi figurativi diversi fra i quali spiccano i due pannelli, leggermente concavi, dedicati ai sovrani d’oriente.

Realizzato tra il 546 e il 547, un anno prima della morte dell’Imperatrice, il mosaico di Teodora è inserito nella parete destra dell’abside, in posizione speculare rispetto al pannello raffigurante il marito Giustiniano con il suo seguito.

La coppia imperiale è raffigurata nell’atto di portare all’altare le offerte del pane e del vino nel giorno della consacrazione della Basilica.

La scena s’inserisce nella tradizione del rilievo storico romano; il fine propagandistico è evidente ed è rafforzato dal fatto che si tratti di una cerimonia simbolica. In verità Giustiniano e consorte non si recarono a Ravenna né il giorno della consacrazione né i successivi.

Ma, si sa, l’immagine raramente prescinde dall’intento politico e, infatti, il mosaico serve a ricordare il ruolo dell’Imperatore d’Oriente nel panorama religioso: egli è il legittimo signore del mondo cristiano al punto che, in una sorta di teofania, i capi coronati dei due sono sormontati da aureole che li fanno sembrare delle apparizioni quasi celesti.

Teodora occupa la posizione centrale del pannello a lei dedicato.

Indossa un prezioso diadema di perle e gemme, una lunga veste bianca e una clamide color porpora e oro; sull’orlo del mantello sono ricamati i Re Magi che portano i doni, forse una chiara allusione alla stessa imperatrice che sta offrendo il calice del vino per la cerimonia. Di fatto il tema dell’adorazione dei tre saggi ricorre altre volte in tutta la città di Ravenna, basti pensare alla raffigurazione musiva in Sant’Apollinare nuovo.

Accanto a Teodora sono poi rappresentate Antonina e Giovannina, rispettivamente la moglie e la figlia del generale Belisario, e una serie di altre donne agghindate con abiti dalle fogge variopinte e gioielli preziosi ma pur sempre con il capo coperto, come esige il rispetto del luogo.

Le dame di corte sembrano quasi perdersi a vista d’occhio oltre la tenda.

A precedere l’imperatrice sono invece due figure maschili con indosso una tunica coperta da un mantello legato da una fibula; il primo dei due dignitari tiene la mano destra alzata per aprire una tenda, impreziosita da disegni ornamentali, che lascia intravedere una stanza buia.

Niente è lasciato al caso. I gesti e le pose sono in perfetta sintonia con il cerimoniale di corte che prevedeva fossero proprio i funzionari maschili a dirigere il corteo.

Le figure non sono tuttavia inserite in uno spazio concreto, d’altronde l’interesse primario non era il realismo bensì l’esaltazione del ruolo imperiale.

La prospettiva spaziale è del tutto assente tanto che i personaggi, nella loro bidimensionalità, sembrano sovrapporsi e pestarsi i piedi l’un l’altro.

Per esempio, osservando la porta con la tenda alzata, sono ben visibili le diverse dimensioni degli stipiti -quello a destra è giustamente più piccolo perché maggiormente arretrato- tuttavia l’architrave appare orizzontale. Inverosimile.

Anche il corteo, che capiamo muoversi da destra verso sinistra, è sciolto da ogni profondità; tutte le figure sembrano tendere alla geometria, sono frontali e senza alcuna materialità corporea. Persino le vesti, in assenza del chiaroscuro, tendono alla stilizzazione.

Dalla tenda sollevata si scorge poi una piccola fontana posta in cima a un capitello corinzio sostenuto da una colonna scanalata; l’acqua che zampilla, anche qui senza alcuna prospettiva coerente, probabilmente simboleggia la purificazione, la rinascita, la vita.

In tutta questa staticità a risaltare è solo la figura di Teodora che è inserita in una nicchia dal catino a forma di conchiglia. Il fondo oro, tipico dei mosaici, restituisce un ambiente quasi astratto che le dona la fama di un’Imperatrice capace di trascendere il tempo stesso.

Ma chi era davvero Teodora?

La figura di Teodora

Quando si legge della vita di Teodora come imperatrice d’Oriente, salta subito agli occhi il ruolo centrale che ebbe in ogni decisione politica e personale del marito Giustiniano.

È descritta come una donna elegante dalla bellezza enigmatica e dall’indole caparbia. Si fece portavoce dei diritti dei più umili e lottò per l’emanazione di leggi più severe nei confronti dei proprietari dei postriboli fondando, contestualmente, case di riabilitazione per le prostitute che si fossero riscattate.

E questo perché Teodora aveva vissuto in prima persona i disagi di una vita alla rincorsa di un futuro migliore.

Al contrario di quanto sarebbe lecito supporre, l’Imperatrice d’Oriente non nacque fra gli agi e le ricchezze di una famiglia benestante; nemmeno il luogo di nascita è noto, l’unica certezza è che da piccola si trasferì a Costantinopoli.

Il padre, Acacio, aveva trovato lavoro all’Ippodromo come guardiano di orsi al soldo dei Verdi, una delle quattro fazioni che -insieme agli Azzurri, i Bianchi ed i Rossi- si contendevano il dominio delle corse.

In realtà, le dispute dei quattro schieramenti non si giocavano solo fra le mura del circo ma rispecchiavano a pieno titolo lo spaccato politico della città tanto da orientare, e in taluni casi preoccupare, i vari imperatori.

Ad ogni modo, quando Teodora era ancora piccola, il padre morì e la madre, trovatasi improvvisamente in disgrazia con tre figlie da crescere, si risposò immediatamente sperando che la carica del defunto, generalmente tramandata per linea maschile, passasse di diritto al nuovo marito.

Ma non fu così. I Verdi designarono un altro candidato abbandonando la famiglia di Acacio al suo destino.

La vedova allora ideò un piano per perorare la sua causa: si presentò davanti alla platea dell’Ippodromo con le sue bambine, coronate da ghirlande di fiori, che tendevano le manine chiedendo aiuto.

Di fatto quella fu la prima apparizione pubblica di Teodora innanzi alla gente che un giorno avrebbe governato.

Malgrado la scena commovente, i Verdi se ne lavarono ancora una volta le mani mentre furono gli Azzurri, loro acerrimi rivali, a raccogliere quella preghiera offrendo un lavoro, di pari livello, alla famigliola.

Una scelta mossa davvero dalla compassione? O dalla semplice competizione? Fatto sta che la futura imperatrice crebbe in quell’ambiente equivoco e affascinante diventando, ben presto, una ballerina e un’attrice di mimo apprezzata dalle folle più per le doti fisiche che per quelle artistiche.

Non a caso la sua bellezza ammaliatrice varcò senza difficoltà le mura dell’Ippodromo: in tutta la città, gli uomini parlavano del potere seduttivo della ragazza e dei suoi grandi occhi magnetici mentre le donne, quando la incontravano per strada, facevano gli scongiuri disprezzandone le larghe vedute in tema di costumi e compagnie.

Teodora sognava però un futuro meno incerto e così, quando le si presentò l’occasione, decise di partire con il suo amante Ecebolo, un funzionario imperiale che era stato inviato nella Pentapoliin Cirenaica come governatore.

L’idillio tuttavia durò ben poco e, quando l’amante la cacciò, la giovane si ritrovò a vagare per le terre d’oriente mantenendosi con gli unici mezzi che conosceva.

Ed ecco la svolta epocale. Nel suo peregrinare giunse ad Alessandria e lì fece amicizia con il Patriarca Timoteo, convinto monofisita, che la avvicinò alle questioni religiose e metafisiche. Fu un incontro fondamentale che scatenò in lei una profonda crisi mistica e la indusse ad abbracciare pienamente le idee del vescovo.

Da quel momento tutto cambiò. Svanì di colpo la ballerina che calcava palcoscenici e frequentava giri dissoluti: Teodora iniziò a condurre una vita diversa dal passato, certamente più discreta.

E poi arrivò il 522, l’anno in cui conobbe lui, Giustiniano, il nipote dell’Imperatore Giustino.

Il futuro sovrano aveva all’epoca quarant’anni -Teodora circa la metà- ed era benvoluto dalla corte, dal popolo e anche dalla Chiesa grazie alle sue idee ortodosse e alla sua devozione. Di fatto, era il secondo uomo dell’impero.

S’innamorò perdutamente di Teodora e la rese la sua amante conferendole addirittura il titolo di Patrizio. Ma non si limitò a questo perché, ad un certo punto, decise di sposarla.

A tal motivo si adoperò presso lo zio per l’abrogazione di una legge che vietava ai senatori di sposare donne di rango inferiore che avessero svolto mestieri, come l’attrice, allora considerati disonesti.

Un ostacolo burocratico che era fortemente sostenuto dall’Imperatrice Eufemia, contraria all’unione scandalosa fra il nipote e una cortigiana. E pensare che Eufemia stessa era stata una schiava prima d’incontrare Giustino!

In ogni caso il destino mescolò le sue carte e l’Imperatrice morì liberando la strada da ogni impedimento. Così, venuta meno la legge e ottenuta di fatto l’approvazione imperiale, Giustiniano e Teodora convolarono a nozze e, alla morte di Giustino, furono incoronati nella Basilica di Santa Sofia.

Un’ascesa così vertiginosa che alcuni pensarono a un maleficio, a una pozione d’amore, a un qualche tipo di filtro che Teodora avesse somministrato al suo amante per ottenere le nozze.

C’è però da dire che la gran parte delle notizie ad oggi tramandate, riguardanti in particolare la gioventù licenziosa di Teodora, derivano da una fonte non sempre attendibile. Parliamo dello storico bizantino Procopio di Cesarea che, nel libello “Storia segreta”, si espresse senza mezzi termini nel condannare la coppia imperiale.

Che siano informazioni vere o calunnie infondate, certo è che Teodora fu davvero la più fidata consigliera del marito e seppe gestire quel ruolo con grande dignità.

Basti pensare che nelle questioni religiose mantenne una politica a due facce: mentre lei tendeva la mano ai monofisiti, cercando di favorirli e proteggerli, Giustiniano propendeva per gli ortodossi. In questo modo i due riuscirono ad accontentare tutta la compagine sociale, dalla borghesia all’aristocrazia.

Ci furono, tuttavia, anche vicende di dubbia interpretazione come quelle legate al funzionario Giovanni di Cappadocia o all’amicizia con Antonina, moglie di Belisario, finanche al caso delle accuse mosse al famoso generale.

Eppure, al di fuori di queste circostanze che richiederebbero uno studio a parte, gli storici sono perlopiù concordi nel confermare l’incredibile fermezza e il singolare acume di Teodora.

Fu lei, infatti, nel 532 a sedare la rivolta di Nika orientando le scelte del marito nella giusta direzione. La sommossa, che rischiava di spodestare Giustiniano a favore di un usurpatore, era partita proprio dall’Ippodromo e, dopo cinque giorni di saccheggi e violenze, era arrivata alle porte del palazzo; l’Imperatore, non vedendo altra soluzione, aveva iniziato a organizzarsi per la fuga.

La nave era già pronta per salpare ma Teodora si rifiutò categoricamente di abbandonare la città. Procopio narra che l’Augusta dichiarò solennemente: “quand’anche non rimanesse altra via di salvezza che la fuga, non vorrei fuggire. Coloro che hanno portato una corona non devono sopravvivere alla sua perdita. Mi piace l’antico detto che la porpora è il più bello dei sudari. Io resto!”.

Incoraggiato da quelle parole, Giustiniano abbandonò ogni proposito di fuga e trovò la forza per reprimere la rivolta. Furono uccise circa trentamila persone ma il trono, grazie alla risolutezza di Teodora, fu salvo.

La donna fu veramente il braccio destro dell’Imperatore e quando morì, nel 543 forse per un cancro allo stomaco, Giustiniano non perse solo una compagna di vita ma anche una spalla politica: la principale ispiratrice delle sue decisioni come lui stesso l’aveva definita più volte.

Il ricordo di Teodora non si spense certamente con la sua dipartita ma riuscì a cavalcare i secoli restituendoci l’immagine di una donna senza dubbio misteriosa che seppe dosare fascino, scaltrezza e intelligenza.

Una donna che visse due vite, diverse ma intense, e che ancora oggi ci osserva da lì, dal suo mosaico nella Basilica di San Vitale, con il suo contegno regale e con quei grandi occhi scuri che incantarono Giustiniano, l’Imperatore d’Oriente.

Foto 1 di mbscuola da Pixabay

Foto 2 di crilaman da Pixabay

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